La Stampa - 25.08.2019

(Romina) #1
.

LA RISPOSTA

DEL CUORE

La politica davanti agli immigrati

chiude i cuori prima dei porti

LI


LETTERE

& IDEE

Gentile Maria Corbi,
la lettera che le sto inviando, forse non
ha i requisiti per poter essere accolta nella
sua rubrica. Ma poiché ritengo che in que-
sto momento l’argomento che tratto sia di
vitale importanza e richiede un confronto
pacato ma approfondito e ragionato, mi
permetto di sottoporgliela, lasciando a lei
valutare che uso farne.
Io sono favorevole ad accogliere i mi-
granti. Magari sbaglio ma ho le mie moti-
vazioni e vorrei che qualcuno provasse a
confutarle. Magari potrei anche cambiare
idea. Le motivazioni sono essenzialmente
due.
La prima è che tra coloro che lasciano
la loro terra sapendo di rischiare la vita,
la stragrande maggioranza lo fa per fug-
gire da situazioni dove i rischi per la vita
sono incombenti. Rischi dovuti a guerre
alimentate e fomentate tra l’altro
dall’industria bellica dei paesi sviluppa-
ti. Ma anche a cambiamenti climatici
che desertificano ampi territori, a causa
di uno sviluppo incontrollato dei Paesi
sviluppati. A distruzioni dell’ambiente
per lo sfruttamento delle loro risorse
quali uranio, petrolio, minerali rari, da
parte delle industrie dei Paesi sviluppa-
ti. Alla perdita delle loro terre da dove
vengono scacciati a causa del “land
grabbing” alimentato dai Paesi svilup-
pati e da tante altre cause ancora.
Pertanto ritengo che i Paesi sviluppati,
che devono il loro benessere a quelli sotto-
sviluppati, non possano sottrarsi alle loro
responsabilità. E debbano essere solidali,
accoglienti.
Il secondo motivo per cui sono favorevo-
le ad accogliere immigrati è che l’Italia si
sta spopolando. Si fanno sempre meno
bambini, i morti superano di molto le na-
scite, gli emigrati superano per numero gli
immigrati, almeno credo. O comunque è
questa la tendenza.
Interi paesi sono ormai popolati solo da an-
ziani pensionati e destinati a diventare lan-
de desolate piene di ruderi disabitati. Oc-
corre gente giovane, che faccia figli, che la-
vori e paghi i contributi anche per sostene-
re le nostre pensioni e di chi le avrà dopo di
noi. C’è bisogno di chi faccia riaprire le
scuole, gli uffici postali, bar e negozi, che
lavori la terra, che riporti la vita.
Per fare questo però occorre una politi-
ca che non chiuda i porti ma che regola-
menti l’immigrazione, in modo che vi sia-
no canali che sottraggano questi disperati
allo sfruttamento della criminalità sia du-
rante la tragedia dei viaggi per mare e per
terra, sia nella tutela del loro lavoro anche
nell’interesse dell’intera società. Mi chie-
do se ci sia la volontà di farlo da parte di tut-
te le forse politiche in campo.
L’assenza di regolamentazione alimen-
ta solo l’insicurezza, la paura, la rabbia, la
xenofobia, portando il Paese nel caos e a
un sempre più forte impoverimento.
La cosa non preoccupa tanto me che ho 87
anni, ma sono preoccupato per le nuove
generazioni, compresi figli, nipoti e quelli
che verranno.
Giorgio Bianchi

Caro Giorgio,
la tua lettera va benissimo per questa rubri-
ca, perché la situazione che ci hai illustrato si
può risolvere con una buona politica ma an-
che con un buon cuore. Hai ragione nel dire
che l’immigrazione è un’opportunità. E una
risorsa. Pensa alle tante persone anziane che
vengono accudite con dedizione da persone
che lasciano i loro Paesi, le loro famiglie e
vengono a lavorare da noi per potere dare un
futuro dignitoso ai loro figli. Ma anche a tutti
gli altri migranti che arrivano armati di dispe-

razione e buona volontà e lavorano senza ri-
sparmiarsi. Non rubano il lavoro a nessuno,
come certa politica vuole farci credere, ma
occupano posti, spesso, che gli italiani non
vogliono più. La politica fino a oggi ha gesti-
to malissimo una situazione che hanno fatto
diventare emergenza. Hanno permesso che
la suggestione negativa sui migranti diven-
tasse certezza. E così siamo arrivati a oggi
quando i porti e i cuori rimangono chiusi. Ma-
la tempora currunt. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

MARIA CORBI

C

ome “l’Isola che non c’è” di Edoardo
Bennato (1980) il G7 “non può esi-
stere nella realtà” del 2019. L’ospi-
tante presidente francese ha corag-
giosamente messo carne al fuoco,
come gli incendi amazzonici. Ha fat-
to da tramite fra un grande assente, Vladimir Pu-
tin, e un ingombrante presente, Donald Trump.
Ha invitato una folta schiera d’invitati africani e
multilaterali, e di quattro Paesi strategici (India,
Spagna, Cile, Australia).
Il G7 è un Club esclusivo. Attira ancora chi non
ne fa parte. Oggi però gli manca una cosa essen-
ziale: ci sono i Sette soci fondatori, più Ue, ma
non sono un Gruppo. Memore delle due prece-
denti edizioni in era Trump (Italia e Canada), la
presidenza francese aveva rinunciato preventiva-
mente al comunicato finale. Meglio non provarci
neanche – tutti d’accordo a non essere d’accordo.
Lapidariamente, questo è il triste stato di salute
del G7. Né il lodevole attivismo di Emmanuel Ma-
cron, né la presenza di tanti altri leader mondiali,
compresi quelli di due Brics, Narendra Modi e Cy-
ril Ramaphosa, lo può mascherare.
I temi affrontati nelle sessioni allargate di oggi
(lotta alle diseguaglianze, partenariato G7-Africa),
per importanti che siano, non sono il piatto forte di
Biarritz. Lo è l’attualità internazionale su cui di fatto
si concentrano le discussioni in formato ristretto: cri-
si del Golfo, Russia-Ucraina, Brexit, rallentamento
dell’economia mondiale, guerre commerciali, cam-
biamenti climatici (compresa questione amazzoni-
ca), spese per la difesa. Su nessuno di questi è oggi
possibile trovare accordo fra i Sette.
La faglia apertasi due anni fa fra Usa e resto con
l’amministrazione Trump si è allargata e ramifica-

ta. A Biarritz il nuovo premier britannico, Boris
Johnson, cerca nel presidente americano una
sponda che lo rafforzi nel suo tentativo di ricatta-
re gli europei con la minaccia (suicida?) di Brexit
senza accordo; non chiaro da che parte si metta
su Iran e cambiamenti climatici. Il giapponese
Shinzo Abe, che ha grattacapi regionali per la rot-
tura della collaborazione intelligence con Seul, e
il canadese Justin Trudeau, sotto elezioni, naviga-
no a vista. Emmanuel Macron e Angela Merkel,
con Donald Tusk di conserva, fanno muro euro-
peo. Giuseppe Conte è impossibilitato – non cer-
to per colpa sua - a giocare un qualsiasi ruolo.
Questo è il G dei Sette in ordine sparso. Di una
cosa sola a Biarritz parlano tutti con identica pre-
occupazione (senza accordo, naturalmente): dei
grandi assenti, cioè degli altri tre Brics (Russia,
Brasile, Cina). Ma soprattutto di Cina e dello spet-
tro di una devastante guerra commerciale fra Pe-
chino e Washington, che innescherebbe una re-
cessione economica mondiale.
Dai grandi assenti vengono le sfide (di sicurez-
za-Russia, ambientali-Brasile ed economiche-Ci-
na) all’Occidente. Il G7 può sopravvivere ritro-
vando la solidarietà occidentale, con comunicato
finale, o allargandosi agli sfidanti (tanto le divi-
sioni ci sono già fra di noi), senza; o può dileguar-
si cedendo il passo ad altri formati. Per l’Italia, e
per gli europei, la prima alternativa sarebbe di
gran lunga preferibile. Altrimenti finiremmo
comparse e/o stritolati da un G2 economico
Usa-Cina o da un G3 strategico Usa-Cina-Russia,
con poca o nessuna voce in capitolo. Biarritz limi-
ta i danni e non è poco con i tempi che corrono;
ma alla lunga non basta. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

S

L

a trattativa fra Luigi Di Ma-
io e Nicola Zingaretti non è
dunque solo un duro nego-
ziato per il governo come
molti altri avvenuti nella
Storia della Repubblica.
Contiene un interrogativo senza prece-
denti nell’Ue: può un partito populista
con la maggioranza relativa dei seggi
in Parlamento creare una coalizione
con un partito appartenente ad una
delle grandi famiglie politiche euro-
pee? Ovvero, spinto dalla crisi giallo-
verde può il M5S trasformarsi fino a di-
ventare una forza centrista o addirittu-
ra entrare nel campo progressista?
Alcune indicazioni in tale direzione
vi sono: il voto a Strasburgo a favore
di Ursula von der Leyen alla guida del-
la Commissione europea ha dimostra-
to la convergenza fra grillini e forze
europeiste - Pd e Forza Italia - così co-
me l’ultimo intervento al Senato del
premier Giuseppe Conte ha esaltato
temi come il valore dello Stato di Dirit-
to, la difesa delle istituzioni, la fedel-
tà alle alleanze internazionali e la divi-
sione fra Stato e Chiesa che apparten-
gono al Dna dell’Italia repubblicana.
Ma ciò non toglie che i Cinquestelle so-
no ancora un movimento che preferi-
sce la democrazia elettronica a quella
rappresentativa, che aggredisce i cor-
pi intermedi come sindacati, Confin-
dustria e mezzi di informazione, che
predica la decrescita felice, è ostile al-
le grandi infrastrutture come la Tav
ed avversario del business. Per non
parlare delle posizioni filo-cinesi sul
tema strategico del 5G, distaccate sul-
la Nato e favorevoli ai gilet gialli che
mettono a ferro e fuoco il cuore di Pa-
rigi. Ciò significa che l’identità populi-

sta e anti-moderna resta il suo tratto
prevalente.
Da qui la maggiore sfida che Di Maio
ha davanti: se davvero vuole continua-
re sulla strada indicata dal premier
Conte al Senato deve cogliere l’occasio-
ne del negoziato con il Pd e la cornice
delle indicazioni del Colle per esprime-
re una piattaforma di idee capaci di de-
scrivere, con coerenza e coraggio, la
volontà politica di trasformarsi in for-
za centrista, capace di parlare alla mag-
gioranza degli italiani e di essere ri-
spettata nella Ue. I maggiori partiti eu-
ropei, conservatori o progressisti poco
importa, hanno in agenda lotta alle di-
seguaglianze, integrazione dei mi-
granti, governance digitale, innovazio-
ne tecnologica, difesa dai cambiamen-
ti climatici, taglio della spesa pubbli-
ca, riduzione del debito e aumento de-
gli investimenti, lotta al terrorismo ji-
hadista, rafforzamento della Nato,
nuovi equilibri con Russia e Cina. È su
questi terreni che i grillini hanno l’im-
portante opportunità di dimostrare di
volersi lasciare alle spalle l’identità ru-
dimentale di partito di protesta che ha
contribuito ad isolare l’Italia in Occi-
dente, ad aggravare la crisi economica
e a indebolire dal di dentro le istituzio-
ni repubblicane. Intraprendendo tale
strada, Di Maio può guidare la trasfor-
mazione moderata di una grande for-
za populista, creando un importante
precedente in Europa, e diventando
un modello politico in questa stagione
di transizione. Se invece preferirà rifu-
giarsi in soluzioni tattiche di basso pro-
filo - da un accordo minimo con il Pd a
una precaria riedizione del governo
con la Lega - tale opportunità sarà per-
duta e il populismo italiano resterà nel
solco degli estremi. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

DAI “FIGLI DI MATRIX” AI “FIGLI DI PUTIN”

LA SAGA TORNA NELLE SALE

IN COMPAGNIA DEL COMPLOTTISMO

Il numero del giorno

42,3 miliardi

Le tasse pagate da autonomi e piccole imprese nel 2018

Nonostante la dimensione aziendale delle
piccole imprese presenti in Italia sia molto
contenuta, il contributo fiscale ed economi-
co reso al Paese è rilevante. In materia di im-
poste, nel 2018 i lavoratori autonomi e le
piccole imprese hanno versato al fisco 42,
miliardi di euro (pari al 53% degli oltre 80

miliardi di imposte versate da tutto il siste-
ma produttivo). Tutte le altre, prevalente-
mente medie e grandi imprese, invece, han-
no corrisposto “solo” 37,9 miliardi (il 47%
del totale). In buona sostanza i piccoli han-
no versato 4,4 miliardi di tasse in più rispet-
to a tutti gli altri. A denunciarlo è la Cgia. "Co-

me dimostrano i dati – afferma il coordina-
tore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – l’appor-
to fiscale delle medie e grandi imprese è
molto inferiore alle attese. Tale risultato è
ascrivibile sia al loro esiguo numero sia all’e-
levata possibilità che queste realtà produtti-
ve hanno di eludere il fisco”.

H

a invitato una folta schiera d’invita-
ti africani e multilaterali, e di quat-
tro Paesi strategici (India, Spagna,
Cile, Australia).
Il G7 è un Club esclusivo. Attira
ancora chi non ne fa parte. Oggi pe-
rò gli manca una cosa essenziale: ci sono i Sette so-
ci fondatori, più Ue, ma non sono un Gruppo. Me-
more delle due precedenti edizioni in era Trump
(Italia e Canada), la presidenza francese aveva ri-
nunciato preventivamente al comunicato finale.
Meglio non provarci neanche – tutti d’accordo a
non essere d’accordo. Lapidariamente, questo è
il triste stato di salute del G7. Né il lodevole attivi-
smo di Emmanuel Macron, né la presenza di tanti
altri leader mondiali, compresi quelli di due
Brics, Narendra Modi e Cyril Ramaphosa, lo può
mascherare.
I temi affrontati nelle sessioni allargate di oggi
(lotta alle diseguaglianze, partenariato G7-Africa),
per importanti che siano, non sono il piatto forte di
Biarritz. Lo è l’attualità internazionale su cui di fatto
si concentrano le discussioni in formato ristretto: cri-
si del Golfo, Russia-Ucraina, Brexit, rallentamento
dell’economia mondiale, guerre commerciali, cam-
biamenti climatici (compresa questione amazzoni-
ca), spese per la difesa. Su nessuno di questi è oggi
possibile trovare accordo fra i Sette.
La faglia apertasi due anni fa fra Usa e resto con
l’amministrazione Trump si è allargata e ramifica-
ta. A Biarritz il nuovo premier britannico, Boris
Johnson, cerca nel presidente americano una

sponda che lo rafforzi nel suo tentativo di ricatta-
re gli europei con la minaccia (suicida?) di Brexit
senza accordo; non chiaro da che parte si metta
su Iran e cambiamenti climatici. Il giapponese
Shinzo Abe, che ha grattacapi regionali per la rot-
tura della collaborazione intelligence con Seul, e
il canadese Justin Trudeau, sotto elezioni, naviga-
no a vista. Emmanuel Macron e Angela Merkel,
con Donald Tusk di conserva, fanno muro euro-
peo. Giuseppe Conte è impossibilitato – non cer-
to per colpa sua - a giocare un qualsiasi ruolo.
Questo è il G dei Sette in ordine sparso. Di una
cosa sola a Biarritz parlano tutti con identica pre-
occupazione (senza accordo, naturalmente): dei
grandi assenti, cioè degli altri tre Brics (Russia,
Brasile, Cina). Ma soprattutto di Cina e dello spet-
tro di una devastante guerra commerciale fra Pe-
chino e Washington, che innescherebbe una re-
cessione economica mondiale.
Dai grandi assenti vengono le sfide (di sicurez-
za-Russia, ambientali-Brasile ed economiche-Ci-
na) all’Occidente. Il G7 può sopravvivere ritro-
vando la solidarietà occidentale, con comunicato
finale, o allargandosi agli sfidanti (tanto le divi-
sioni ci sono già fra di noi), senza; o può dileguar-
si cedendo il passo ad altri formati. Per l’Italia, e
per gli europei, la prima alternativa sarebbe di
gran lunga preferibile. Altrimenti finiremmo
comparse e/o stritolati da un G2 economico
Usa-Cina o da un G3 strategico Usa-Cina-Russia,
con poca o nessuna voce in capitolo. Biarritz limi-
ta i danni e non è poco con i tempi che corrono;
ma alla lunga non basta. —
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Da domani, e per tutta la settimana,
il dialogo con Maria Corbi sul tema della
lettera continuerà sulla pagina Facebook
de La Risposta del Cuore.

SUMMIT DEL G

IN ORDINE SPARSO

STEFANO STEFANINI

IL BIVIO

DEI POPULISTI ITALIANI

MAURIZIO MOLINARI

E

così, finalmente, è arrivata la confer-
ma ufficiale. Matrix n. 4 si farà, e do-
vrebbe arrivare nelle sale nell’estate
del 2021, con Lana Wachowski (già
regista con la sorella Lilly dei film pre-
cedenti) nuovamente nella “cabina
di regia” e alla sceneggiatura. E con Keanu Ree-
ves e Carrie-Ann Moss ancora nel cast da protago-
nisti. Anche se dalla Warner Bros non è trapelata
alcuna informazione sulla trama, l’annuncio è ba-
stato a scatenare i tantissimi fan di una trilogia ci-
nematografica (The Matrix, The Matrix Reloa-
ded, The Matrix Revolutions) che, nel corso degli
anni delle uscite – tra il 1999 e il 2003 – è arrivata
a incassare 1,6 miliardi di dollari al botteghino. E
ha segnato in maniera indelebile l’immaginario
collettivo, come è capitato soltanto a un altro cult
di fantascienza, Blade Runner.
Soprattutto, questa saga cinematografica, am-
bientata in un mondo ridotto a puro simulacro
“baudrillardiano” e a fondale virtuale dietro cui
si nasconde ben altro, può venire considerata co-
me un’incubatrice fondamentale di un fenomeno
poi dilagato, con cui oggi ci troviamo tutti danna-
tamente a fare i conti. Matrix è la «matrice» – e il
manifesto visivo nella cultura pop globale – del
complottismo e della paranoia cospirativa. Che
sono due componenti carsiche, ma in qualche mo-
do strutturali, del postmodernismo, e si sono sal-
damente incistate nell’America dell’innocenza
perduta successiva agli omicidi di JFK e “Bobby”
Kennedy. Gli Usa della «maledizione dei Kenne-
dy», da cui prese per l’appunto avvio tutta una se-
rie di ipotesi cospirative, a cui negli anni – anche a
causa della viralità e di un certo finto pluralismo
del web – si è aggiunto un inesauribile repertorio
di teorie del complotto. Se l’opera narrativa di

Don DeLillo è la versione sofisticata e alta (e, in
realtà, di smascheramento) della fobia cospirati-
va, il film delle sorelle transgender Wachowski
ne è la trasposizione sci-fi e di massa secondo gli
stilemi di una sottocultura nerd che si fa cultura
veramente mainstream.
La saga, disseminata di rimandi esoterici, pro-
pone un fantasmagorico compendio della forma
mentis del cospirazionismo, facendo appello – co-
me recitava la locandina americana del 1999 – a
«credere all’incredibile». E, infatti, è proprio ab-
bracciando questo principio controfattuale (on-
tologia autentica del cospirazionismo) che l’infor-
matico-hacker Thomas Anderson si converte
nell’Eletto Neo dopo avere inghiottito la «pillola
rossa» che dischiude la verità sullo stato delle co-
se. Con tanto di nemesi, poiché nel suo bestseller
del 2001 da decine di milioni di copie intitolato
“Figli di Matrix” il già portiere di una squadra di
calcio e, in seguito, “guru new age” David Icke so-
steneva che il film è pieno di messaggi in codice
per la razza aliena che domina il pianeta. Ovvia-
mente, i rettiliani, le cui schiere annoverano i Ro-
thschild (capi supremi della specie di invasori ex-
traterrestri), la famiglia reale britannica, Oba-
ma, il Papa, i Bush, i Clinton, Soros, gli Illuminati,
gli ebrei, e chi più ne ha più ne metta.
E, così, da padre Augustin Barruel – il primo teo-
rico certificato del complottismo, secondo il qua-
le la Rivoluzione francese era una gigantesca con-
giura ordita da philosophes e logge massoniche –
alla Matrice illusoria al servizio delle macchine
non c’è praticamente soluzione di continuità. Dai
«figli di Matrix» ai «figli di Putin»: fermate il mon-
do, voglio scendere.
@MPanarari —
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DOMENICA 25 AGOSTO 2019 LA STAMPA 19
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