Corriere della Sera La Lettura - 25.08.2019

(sharon) #1
DOMENICA25AGOSTO2 019 CORRIEREDELLASERALALETTURA 35

Iricami luminosi di Kosuth


escono da una selva oscura


diVINCENZOTRIONE

I


nunbrano di qualche anno fa Samuele
Bersanicantava: «Le mie parole sono (...)
nuvole sospese/ Gonfie di sottintesi/ (...) A
lungo spasimate e poicentellinate/ (...) So-
no lampi dentro a un pozzo cupo e abban-
donato/(...) Promesse dovute/ Che iltempo ti
perdoni per averle pronunciate». Ecco, le parole.
Un’autenticaossessione, perJosephKosuth, il
cui itinerario poetico da circacinquant’anni ruo-
ta intorno a questo enigma da interrogare.
Fine anni Sessanta.Kosuth sente la necessità
di superaretecniche e materiali tradizionali.Av-
verte il bisogno diromperecon il sociologismo
dellaPop Art econ l’inclinazioneformalistica del
minimalismo. Inoltre,convinto che sia impossi-
bile stringereunrapportoimmediatocon il
mondo, vuole portarsi al di là delleconcezioni
soggettivistiche e intuizionistiche dell’esperien-
za estetica. Guarda altrove.Studia la filosofia di
Lacan e diFoucault, Wittgenstein, de Saussure e
Chomsky, ponendo le basi per un’originalefor-
ma di iconoclastia.
Addio illusionismo. Addio rappresentazione.
Addio immagine. Addiocolori. Profeta di un
neo-ascetismo, l’artista statunitense —come di-
chiara nel libro-manifestoL’artedopolafiloso-
fia(1969) — siconcentra sulla scrittura, suitesti:
sulle parole, appunto. All’estroversione vitalisti-
caed espressiva perseguita dagli animatori delle
culturepost-informali sostituisceunatteggia-
mento freddo. Sulle orme del positivismo logico
moderno, assumecometema di indagine l’anali-
si deifondamenti propri del linguaggio, insi-
stendo sulcarattereconvenzionale e tautologico
di alcune proposizioni sintattiche. L’arte?Per Ko-
suth, si dà noncome strumento per intervenire e
incideresul presente, macome praticaconcet-
tuale. Non prodottogradevole, ma investigazio-
necapace di alimentare in chi guarda una ginna-
stica mentale: «Artecome ideacome idea».
Da questa filosofia nascono installazioni aset-
tiche dal punto di vistaformale:fotoin bianco e
nero, paroleredatte in un lettering impersonale.
Collage che intendono solo mettereinscena
complessi procedimenticoncettuali. Installazio-
ni che, spesso, propongono allo spettatore una
triplicelettura delreale: di un determinatoog-
getto — ad esempio, una sedia — si mostra la ri-
produzionefotografica, la definizione di quel-
l’oggettodata dal dizionario e, infine, l’oggetto
stesso. Si tratta di interventi «trinitari» che,co-
me ha osservatoRenato Barilli, sembrano rilan-

ciare un artificio già adottato nella stele diRoset-
ta: una pietra su cui un medesimotestoveniva ri-
portato in greco e nelle due lingue egizie fino ad
allora indecifrabili, il geroglifico e il demotico.
Nelcorso degli anni,Kosuth ha abbandonato
l’austerità delle «uscite» giovanili, percorrendo
due sentieri.Per unverso, ha arricchito ilreper-
torio dei suoi riferimenti, attingendo anchea
brani di scrittori, poeti e filosofi (da Dante a Bec-
kett).Per un altroverso, ha riscoperto un’inatte-
sa piacevolezza visiva. Iconoclasta inquieto, ha
scelto di riscriverecon tubi di neon aforismi, fra-
si, sentenze. Che ha decostruitoeimpaginato
con libertà. Le sue «tavole» si sono trasformate
in ricami luminosi. La sfida diKosuth:restituire
agli elementiverbali un misterioso fascino, un
vivido aspetto sensuoso. Fino a lambire levette
della meraviglia, dello stupore, dell’incanto. Me-
todo ecaos, allora.
Questi giochi tra rigoreeallegria ritornano
nell’operarealizzata per «la Lettura», nell’ambito
del ciclo su arte e poesia.Una fotografia nottur-
na. Alcentro, unacornice che custodisce una in-
tricata —forse, dantesca —foresta oscura. In fi-
ligrana, rimandi alle incisioni di Klinger e diKu-
bin. Da questo perimetro —come da un cuore
— partono fili elettrici, che illuminano un’erme-
tica frase di Beckett (del 1976): «Così a poco a po-
coquello che è strano, via».Uninvolontariover-
so oracolare.Unomaggio a uno scrittore che ha
abitato iterritori dell’assurdo; disarticolato i mo-
di dellacomunicazione ordinaria; pronunciato il
nulla attraverso personaggi in preda a un dram-
maticocupiodissolvi. Dunque, uno scrittore al-
l’apparenza lontano dal padredelconceptuali-
sm. Eppure, segretamente vicino.
Sindaisuoiannidiformazione,leggepoeti

eutilizzaversinellesueopere.
«Mi piace ilconcettodi poesia: quando è gra-
tuita e nonconforme acerte prescrizioniforma-
li. Come attività, la poesia in sé ha un enorme po-
tenziale artistico. Soprattuttocome significante
di unaforma tradizionale, al di là delle specifici-
tà delcontenuto. Ma la nozione stessa di poesia
rischia di risultare opprimentecome altrecate-
gorie prescrittive—pittura, scultura, litografia
— di cui ci siamo liberati quando ci siamo lascia-
ti alle spalle il modernismo. L’unico poeta da cui
ho imparato e di cui ho un profondo rispetto è
WallaceStevens».
Inchemodoscegliefrasieversineisuoila-
vori?
«Ah, ma non lo faccio. Non ho mai utilizzato la
poesia nei miei lavori. L’ho fatto solo in uncaso:
quando ho usato unverso di Byron nella mia in-
stallazione sull’isola di San Lazzaro degli Armeni
per la Biennale diVe nezia. Ma la mia scelta era
legata al luogo doveByron aveva trascorso tanto
tempo: non era un riferimento letterario. Lecon-
fesso che io sono un tipo da prosa».
Nelmomentoincuialcuneparoletratteda
undizionario,daunromanzo,daunapoesiao
daunsaggiofilosoficovengonoprelevatedal
lorocontestooriginarioperentrarenellesue
installazioni,accadequalcosadisorprenden-
te.Quelleparolerestanosestessee,insieme,
diventanoaltrodasé,acquistanoaltrevalen-
ze,sicaricanodisignificatiulteriori.
«È propriocosì. Le parole che entrano nei
miei lavori hanno questa doppia funzione. Mi in-
teressa laconnessione tra sistemi che si muovo-
nocontemporaneamente. La dialettica tra questi
territori semantici mi attira. Mi piacecostruire
opere chetengano il piede in duecontesti cultu-

rali diversi e che, nonostante ciò, stianocomun-
que in equilibrio».
Èunmodoperreinventarelatecnicadu-
champianadel«readymade»?
«L’arteviene sempredall’arte. La mia esten-
sione delreadymadeha rivelato ereso visibile il
potenziale di quel dispositivo di Duchamp. Mi ri-
feriscoaquando ho introdottol’“appropriazio-
ne” nelle mie prime operecomeOneandThree
Chairsdel 1965. Ma, per acquisireuna diversa
consapevolezza, bisogna iniziarecon leconget-
ture che hoformulato allora. Gli artisti lavorano
con significati, noncon forme ecolori. L’arte ri-
guarda la produzione di significato (anche quan-
do assume laforma della suacancellazione) e
non semplicemente l’invenzioneformale. E an-
cora: solo attraverso i significati,forma ecolore
diventano rilevanti per il processo di creazione
artistica. Ma attenzione! Oggièdifficile usarei
significaticome strumenti per affrontare le me-
desime domande che alcuni artisti pongonocon
la loro ricerca. Troppo spesso i medesimi signifi-
cati sono sfruttati dal mercato, chetende acon-
siderarli solocome brand».
Inchemodoèpossibilecombinarelettera-
turaeconcettualismo?
«Guardi il mio lavoro! Guardi quello che ho
fattoper “la Lettura”! Così potràvedereinche
modocombino letteratura econcettualismo!».
Inautunnositerràunasuaampiapersona-
lenellagalleriamilanesediLiaRumma.Unri-
tornosignificativodalpuntodivistaculturale
eaffettivo:conLiaRummahaunrapportodi
collaborazionedapiùdiquarant’anni.
«Sarà una mostra importante. Ho dedicato al-
cuni mesi a questo nuovoprogetto. La mia prima
mostra da Lia risale al 1971. La storia del nostro
dialogo professionale, da diversi punti di vista,
coincidecon la storia del mio lavoro. La mostra
si baserà sulconcettoditempo esistenziale in
Beckett (ancora Beckett!). Non utilizzeròlasua
scritturacome materiale, ma per me è decisivo
l’interesse per la sua opera letteraria».
Riaffiorerannoanchemotiviautobiografi-
ci.
«Negli ultimi anni, sono statocolpitodalla
morte di molti miei amici intimi. Questo ha avu-
toun violento impatto sulla mia ricerca. Mavor-
rei che il mio lavoro nonfosse mai macabro né
triste, ma insinuasse in chi lo osserva riflessioni,
dubbi».
©RIPRODUZIONERISERVATA

Padre del concettuale, profeta di un neo-


ascetismo, l’artista statunitense—che sarà


in mostraaMilano in autunno—cita


in quest’opera per «la Lettura» Samuel


Beckett. Cosìlo «scultore dei neon», che


ha rottoiponti con il sociologismo della Pop


Art, rende omaggio allo scrittore dell’assurdo


Padre dell’arteconcettuale, nato aToledo
(Ohio, Usa) il 31gennaio 1945 Joseph
Kosuth ha studiatoa Toledo, Cleveland e
NewYork. Hafondato(1967) la Lannis
Gallery, rinominata poi Museum of Normal

Art, uno dei primi spazi newyorchesi a
ospitarel’arteconcettuale. Ha pubblicato,
tra l’altro,L’artedopolafilosofia(1969;
pubblicato in Italia daCosta & Nolan).Con
un approccioteorico nel quale agiscono

filosofia, antropologia, psicoanalisi e critica
d’arte,Kosuth ha messo in discussione le
definizioni e i procedimenticonvenzionali
dell’arte: incentrando la sua ricercasul
linguaggio, utilizza parole ed espedienti

linguistici insieme a oggetti efotografie,
quali elementi di proposizioni che rivelano
visualmente lacomplessità deicodici
culturali ecoinvolgono attivamente lo
spettatore.

DaToledo,Ohio

(

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