Corriere della Sera La Lettura - 25.08.2019

(sharon) #1

DOMENICA25AGOSTO2 019 CORRIEREDELLASERALALETTURA 5


Okaida è una gang nata incarcereche ha
esteso il suo potere alle periferie di João
Pessoa, Brasile. «Da quando sono arrivati, le
cose vanno molto meglio», ha detto il
presidente dell’Associazione dei cittadini a

Benjamin Lessing, docente all’università di
Chicago, che studiacome bande dicarcerati
sianocapaci di organizzare imperi criminali e
insieme di «governare», garantendo ordine
neiterritori dimenticati dalloStato.

LoStatodellegang

{


Vocidalmondo
diSaraBanfi

Dieciannie2.500chilometri:


lefotografiediGiulioDiSturco


diPATRIZIAVARONE

G


angaMa(«Madre Gange») è un viaggio
fotografico durato dieci anni che racconta
gli effetti devastanti delcambiamento cli-
matico e dell’urbanizzazione di uno dei
fiumi più inquinati al mondo. A documen-
tarlo visivamente è Giulio DiSturco, autore delle imma-
gini di queste pagine. Sarà in mostra dal 21 settembre al
5 gennaio, al Quadrilatère di Beauvais, a nord diParigi,
nell’ambito deiPhotaumnalese alla galleriaPodbielski
Contemporary di Milano. «Nel 2008 — dice DiSturco a
“la Lettura” — ho sviluppato un lavoro sulla diga alla
base dell’Himalaya. Lì hocompreso che il Gange non
era stato ancora narratocome fiume moribondo. Dal
Gange dipende il sostentamento di milioni di persone
ed è, alcontempo, untempio della spiritualità, gli indù
lo chiamano Ganga Ma, madre Gange. Mostrare visiva-
mente uno dei fiumi più inquinati avrebbe significato
parlare dell’India di oggi e delle questioni ambientali».
Cos’è, allora, «Ganga Ma»?
«È una metafora delcambiamento climatico. Ecosi-
stemi distrutti dai rifiutitossici, modifiche all’ambiente
che rientrano piano piano nelle nostre quotidianità e le
trasformano, danneggiando la salute.GangaMaè un
modo per parlare a tutti dei danni all’ambiente».
L’estetica dell’inquinamento per informare?
«Le persone sono abituate avedere la solita bottiglia
di plastica in mare che ormai non smuove le coscienze:
non ne possono più. Nonconoscono ciò cherealmente
sta accadendo all’ecosistema.Avvicinare la gente attra-
verso una bellafoto che, guardata da vicino, mostra lo
sfacelo,offre informazioni e pone domande sulla crisi
climatica.Faccio vedere ciò che sta accadendo intorno
al Gangecercando la migliore luce, quella che mette in
evidenza la stasi, l’assenza di vita. Sonofotogiornalista,
ma con questo lavoro non perseguo il movimento, in-
duco alla riflessione. Ho provato ad andare oltre iconfi-
ni della documentazione classica, alla ricerca di un
linguaggio visivo diverso. Ho utilizzato l’intensità dei
silenzi e l’atmosfera dell’alba per mostrare la desolazio-
ne e annullare l’iconografia sull’India che lavede satura
di colori e di vita».
Dieci anni e 2.500 chilometri di fiume: dalla sor-
gente nell’Himalaya al delta nella baia del Bengala.
Un lavoro sul fiume sacro per oltre un miliardo di
indiani, che dal 2017 è stato riconosciuto «entità
vivente» dall’Altacorte delloStato diUttarakhand.
Le sue immagini siconcentrano sui luoghi che han-
no subito mutamenti dell’ecosistema: desertificazio-
ne, calo del livello delle acque, sversamentitossici,
tutti elementi che mettono in pericolo la sussistenza
di milioni di persone e decimano animali evegetali.
«Il Gange è unottimo esempio dellacontraddizione
irrisolta tra uomo e ambiente. È un fiume intimamente
connessocon ogni aspetto della vita indiana. È una
fonte di acqua, energia e mezzi di sussistenza per mi-
lioni di persone. Il suo ecosistema include una grande
varietà di specie animali evegetali. Nonostante ciò,
oggi è uno dei fiumi più martoriati. AKampur, una
piccola città famosa per le pelli, gli sversamenti chimici
della lavorazionevanno tutti nel Gange. AFarakka sono
statecostruite dighe per deviare ilcorso del fiume,
lasciando senz’acqua lazona vicina del Bangladesh. Nel
corso deltempo sono spariti i pescatori e sono spunta-
te fabbriche di mattoni.Un altro depauperamento si
verifica durante i periodi di secca, quando le aziende di
costruzione prelevano sabbia e il letto del fiume si di-
strugge. Nel frattempo, acausa dell’innalzamento del
livello del mare e della salinizzazione, il delta si trasfor-
ma in deserto. Allo stesso modo, a distanza di pochi
anni, ho visto quasi sparire il ghiacciaio di Gangotri».
Come viene gestita la crisi climatica?
«La Banca Mondiale ha finanziato, a più riprese, la
depurazione del Gange. Nonostante questo, ho notato
dei peggioramenti. La gente si ammala. Chi può prova a
sensibilizzarecon l’informazione econ l’impegno. L’at-
tivistaVandana Shiva si batte per la biodiversità e l’eco-
nomia sociale. L’hoconosciuta: è stata per me unafon-
te di informazione diretta e necessaria per laconoscen-
za delterritorio».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Il Gange


èmalato


Così racconto


ilsuo dolore»


Ilfotografo
Giulio Di Sturco(qui sopra
nel ritratto diRob Becker) è
nato nel 1979 aRoccasecca,
Frosinone, e vive a Londra.
Focalizza la sua ricercasulle
società del futuro alla luce
degli choc climatici e
sull’interazione tra esseri
umani e intelligenza
artificiale. Ha vissuto in
Canada e poi in India per
cinque anni, quando ha
avviato il lavoro sul fiume
Gange,Ganga Ma.Collabora
con numerose testate tra cui
il «NewYork Times». Ha
ricevuto molti premi tra i
quali treWorld Press Photo.
Il progettoGanga Maè stato
premiatocon il Getty Images
Editorial Grant 2014 ed è
stato espostocome parte
dei SonyWorld Photography
Awards 2015 e LensCulture
ExposureAwards 2018 alla
Somerset House di Londra.
L’editore Gost books ha
appena pubblicatoGanga
Ma, la prima monografia di
Giulio Di Sturco(pagine 136,
e44),con testi di autori e
attivisti ambientalicome la
scienziataVandana Shiva. Il
lavoro di selezione delle
immagini del volume —
presentato anche alMia
PhotoFair 2019di Milano in
primavera — è frutto di una
strettacollaborazione
tra ilfotografo e il curatore
di artecontemporanea
Eimear Martin, autore
anche di untesto.Ganga Ma
sarà esposto,dal 21
settembre al 5gennaio, ai
PhotoaumnalesinFrancia, e
a Milano, allaPodbielski
Contemporary (via Vincenzo
Monti), dal 25 settembre
al 15 novembre
Leimmagini
Nellafotogrande:Kolkata,
India, 2010. Nelle altrefoto,
dall’alto:Varanasi, India,
2008;Farakka, India, 2013;
BhairabRailway Bridge,
Bangladesh, 2015

i


silienzaesotto missione alle leggi della
selezione delle specie di Charles Darwin.
Le piante e gli alberi diffondono i loro
semi nei modi più sorprendenti e inven-
tivi. Attiranocon colori e dolci leccornie
visitatori fugacicome le api e le imbratta-
no di infiniti granelli di polline (i loro
spermatozoi), nella speranza che la stes-
sa ape poivenga attratta da un fiorefem-
minile a cuicedere i granuli pollinici. Op-
pure affidano i loro semi alvento per farli
volarelontanoetrovare terrenifertili:
tentativi che riescono unavolta ogni tan-
to,facendo decine di migliaia di prove.
Per far volare lontano i semi allestiscono
delle specie di mongolfiere, o delle spe-
cie di elicotte ri, ma non solo.Fanno in
modo che solo quando ilveicolo che ha
trasportatoisemi si trovanelle giuste
condizioni ambientali si schiuda. Ma nel
farlo può o far esplodere i semicontenuti
all’interno in modo che si disperdano al
suolo l’uno lontano dall’altro, oppureil
«veicolo», in genereunbaccello, si ri-
gonf id’acqua toccando il suolo, ma in
maniera asimmetrica. Ossia un lato si ri-
gonfia, mentrel’altroresta piùcorto. In
questomodo ilveicolo da trasportodei
semi si ritorce sul lato che si rigonfia di
menoetorcendosi agiscecome una tri-
vella che penetra nel suoloedeposita i
semi sottoterra, al riparo davoraci preda-
tori e all’umido per far schiudere i semi.

Pianteoalberi hannocoscienza di
questo? Hanno elaboratoteorie sul passo
della vite (quella che avvitiamo nel muro,
non la pianta) che possa meglio penetra-
re nel terreno? Io non credo, penso stiano
solo provando tutte le soluzioni possibili
esolo le più efficacivedranno premiata
quella sceltaconsentendo a un maggior
numerodinuove piantedidar vita alla
nuova generazione. La lorocoscienza
coincidecon la selezione delle specie, un
meccanismo spietato e imprevedibile, il-
lusorio ed effimero che si fa gioco delle
nostre soluzioni e degli eredi che liberia-
mo in un mondo ostile e selettivo.
Gli alberi le hanno pensatetutteper
poterdar vitaauna nuova generazione
lontano da loro, ossia dove i genitori non
ostacolano la crescita della prole facen-
dogli ombraoprelevando primaeme-
glio di loro acqua e nutrienti dalterreno.
Hanno prodotto semi giganti per alimen-
tare meglio le nuove piante, semi minu-
scoli per dare origine alle sequoie, semi
inclusi in frutti dolciegustosi che solo
grossi animali poteva no consumare: que-
sto è ilcaso delle mele. Il frutto ha origine
in Cina e, seguendo quella che decine di
migliaia di anni dopo diventerà la Via
della Seta, migranoverso Occidente. An-
cora oggi levestigia dei frutti ancestrali
di melo si trovano sullacatena delle
montagnecelesti: il Tien Shan inKazaki-
stan. Ci sonoforeste di meli selvatici del-
la varietàMalussieversii, un lontanissi-
mo parentedelle 7.500varietà di mele
che mangiamo oggi.Paradossalmente
sono frutti grandi ancheotto centimetri
di diametroelacosa nonèabituale. Si
crede che siano stati selezionati per esse-
re co nsumati da orsi ecervi che percorre-
vano la Via della Seta ben prima degli
umani. Gli animaliconsumavano le mele
e disperdevanocon le feci i semi anche a
grade distanza dal luogo dove le avevano
raccolte, aiutandocosì la diffusione dei
meli selvatici.Poi, 12 mila anni fa, la via fu
ostruita dall’ultima glaciazione e quando
i ghiacci si sciolsero era apparso un nuo-
vo despota dei destini dei semi: era nato
l’uomo agricoltore.
Noi abbiamo proseguitoinben altro
modo la diffusione dall’Oriente dei semi
edelle piantedimelo, di gelso (con in-
clus iibachi), di ciliegioeditantissime
altre piante deportate aforza in climi an-
che ostili.Pensate solo che abbiamoco-
stretto le piante di riso, una pianta tropi-
cale, ad adattarsi ai rigidi inverni dellezo-
ne traPavia, Novara e Vercelli. Noi l’abbia-
mo fatto in maniera «cosciente», il riso si
è adeguato in manieraresiliente. Infine ci
sono semi che percolonizzare isole eter-
re lontane sono diventati semi galleg-
gianti, ecosì le palme hannocolonizzato
tante isole inesplorate. Certo anche Mosè
neonatovenne affidatoalle acque, ma
quello era un gestodettatodall’inco-
scienza e dalla disperazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

U


n bosco alcentro di uno stadio.Dall’8 settembre al 27 ottobre
l’artista e curatore svizzero Klaus Littmann trasformerà il
WörtherseeStadion di Klagenfurt, nellaregione austriaca della
Carinzia, nel più grande interventositespecificpubblico delPaese,
intitolatoForForest.TheUnendingAttractionofNature. Sotto la
supervisione dello studio dell’architetto paesaggista Enzo Enea
verranno piantati nelcampo dicalcio circa300 alberi —faggi, ciliegi,
aceri, tigli econifere —, di cui la metà provenienti dall’Italia e alcuni
del peso di oltre seitonnellate (nellafotogrande a sinistra: un
rendering del progetto, © Johannes Puch).L’ intento di Littmann,
allievo di Josef Beuys alla Düsseldorf ArtAcademy, è sfidare la
nostra percezione della natura e mettere in discussione l’idea di
futuro, che riguarda ilconcetto di sopravvivenza del pianeta. Una
volta trapiantata, laforesta vivrà autonomamente e i visitatori
potrannoassistere alcambiamento deicolori dellefoglie in autunno
e all’insediamento della vita animale. Chi vorrà potrà anche
«adottare» un albero (info:forforest.net). Nel progettare
l’installazione, Littmann si è ispirato al disegnoTheUnending
AttractionofNaturedi MaxPeintner (1970-71; nellafotopiccola, una
versione acolori).L’ installazione sarà visitabile dalle 10 del mattino
alle 10 di sera (entrata libera, il primo giorno apre alle 14). Dopo il 27
ottobre gli alberi verranno trapiantati in un’area verderecintata al di
fuori dello stadio.ForForestè un modo per ricordarci che la natura
potrebbe un giorno essere rinchiusa in luoghi designati,come gli
animali allozoo, acausa della scarsa sensibilità dell’uomo. Quello di
Littmann diventacosì un invito al rispetto dei luoghi in cui viviamo.

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