Corriere della Sera La Lettura - 25.08.2019

(sharon) #1

DOMENICA25AGOSTO2 019 CORRIEREDELLASERALALETTURA 7


zioni cromatiche fra ilrosso e l’arancione —con nomi
di animali scritti in sovraimpressione per segnalareal
pubblicoche quell’urlo strozzatoappartiene magari a
un gorilla. A proposito: la scimmia urlatrice dell’Ameri-
cadel Sud possiede (in rapporto al proprio peso), grazie
a una laringe che funzionacome un mantice, lavocepiù
potente tra tutti i mammiferi (la si può percepire fino a
cinque chilometri di distanza).
TheGreatAnimalOrchestraè suddiviso in sette se-
zioni principali, checorrispondo azone dellaTerra indi-
viduate da Krause per la raccolta dei suoni. «Camp Km
41», un sito di ricercabiologica a nord est di Manaus, in
Brasile, nellaforesta amazzonica; «Oceans», doverag-
gruppa e allinea suoni raccolti sull’isola di Maui (Hawa-
ii), aVa ncouver (Canada), in NuovaZelanda, nei Caraibi
e a Big Sur in California; «AlgonquinPark» nell’Ontario,
il più anticoparcoprovinciale del Canada; «Dzanga-
Sangha», una riserva protetta, a sudovest dellaRepub-
blica Centrafricana; «Yukon Delta», una riserva naziona-
le degliStatiUniti nel sudovest dell’Alaska; «Mungwezi
Ranch» nelParconazionale di Gonarezhou in Zimba-
bwe, nel sud-est africano; «Crescent Meadow», ilParco
nazionale di Sequoia e Kings Canyon in California.


Sono questi i titoli dei metaforici «sette movimenti»
della grande opera (utopica) di Krause, in cui ivocalizzi
degli animali e i rumori della natura possiedono insie-
me un’estensione sonora tale da non poter essere egua-
gliata da nessunavoceumana. È ilcaos primordiale. Il
cantiere della natura. È il cluster dell’universo dal quale
l’essere umano èvolutamentetenuto fuori. Se vi mettete
in ascoltoeavetequalcheconfidenzaconlemusiche
sperimentali, moltecoseregistrate da Krause vi sembre-
ranno lunghe introduzioni acomposizioni di avanguar-
dia estrema, di quelle che — qualcuno diceva — sem-
bravano fatte per sviarevolutamente l’ascoltatore. Dove i
suonivenivano spesso creati in studio, elettronicamen-
te: ascoltandoTheGreatAnimalOrchestra— nella se-
zione «Oceans» — possono riemergere (anche ma non
solo) sullo sfondo della memoria ricordi diKarlheinz
Stockhausen, Bruno Maderna, Pierre Boulez, Luigi No-
no, della scuola di Darmstadt, quandoicompositori
non facevano sconti e andavano diritti per la loro strada,
lontani dai piaceri melodici. ConTheGreatAnimalOr-
chestranon ci aggiriamo però soltanto nei dintorni del-
la musica accademica d’avanguardia, perchécerte sono-
rità improvvisatedalla natura guardano anche altrove.
Prendiamo ad esempio il primo movimento, «Camp Km
41». Si apre con un rumore di insetti e rane, segue una


sequenza breveditemporale,vocalizzi insistenti di
scimmie, poi una pantera (che, tramite l’olfatto, ha indi-
viduatoalcuni microfonievaamarcareil territorio
emettendoversi e brontolii), dei tucani e le onnipresenti
cicale. Ebbene, se prendete un disco jazz del trio Codona
(CollinWalcott, Don Cherry, NanáVa sconcelos) attivo
fra il 1977 e il 1984, e ascoltate le introduzioni libere tro-
verete sequenze simili a quelle delleforeste di Krause. E
lo stesso discorsovale per tanta musicaetnicavera e
propria. Il ritmo dei Codona è ondivago,cambia dicon-
tinuo,come in natura. I tre polistrumentisticercano di
ricreare quel mondo primitivo, spinti non da un approc-
cio naturalistico ma da motivazioni di ricercadelle pro-
prie radici. È il momento in cui il jazz è assetato di esoti-
smo, di suoni etnici, antichi, ad effetto, direcupero di
un passato atavico. Di natura. Ma prendete anche quel-
l’esperimento bizzarro che è il discoLambarena.Bach
toAfricadi Pierre Akendengué e Hugues de Courson.
I grandi percussionisti che esplodono in quei periodi
(oltreaWalcotteVasconcelos, Zakir Hussain, Trilok
Gurtu) sono tutti «forestali».Per non parlare degli Art
EnsembleofChicago, che, nei loro anni d’oro, trasfor-
mavano il palcoinunmuseo etnograficoelamusica
(spesso) nell’urlo dellaforesta.Poi, certo, le differenze ci
sono, perché nel jazz arrivava l’assolo, solitario ocollet-
tivo, e la musica prendeva una suaforma, macerte simi-
litudinicolpiscono anche in «Crescent Meadow»con i
picchi pileati che in sequenza creano suoni quasi identi-
ci a quelli di uno xilofono. E poi ancora in «Mungwezi
Ranch»con i babbuini che saltano ed emettono i loro
latrati in modo battente. In quanteperformancedegli
anni Settanta gli eroi del free o icomponenti del Living
Theatre, o i danzatori di MerceCunningham facevano la
stessacosa, ma informa di protesta, impegno politico e
rivoluzione artistica. O che dire del più grande raduno
primaverile al mondo di uccelli migratori che si tiene
nel Delta delloYukon? È uncoromultietnico (gli animali
arrivano da ogni parte del mondo), uno scontro/incon-
trodiscuole dicantosenza direttore. «Una dellecose

che ho imparato — spiega Krause — è che gli animali ci
hanno insegnatoaballareeacantare. Quando hoco-
minciato a osservare le illustrazioni grafiche del suono
era chiaro che questi paesaggi sonori naturali erano or-
ganizzati in un modo preciso e chiaro. Gli uccelli aveva-
no una propria nicchia nello spettro acustico. Le rane, i
mammiferi, gli insetti, anche lorocel’avevano e non in-
vadevano quelle delle altre specie. Noncoprivano cioè le
lorovoci a vicenda». Dagli spettrogrammi di Krause ri-
sulta chiaro che ilcaos (apparente) dei suoni degli ani-
mali inrealtà è una rappresentazione musicale organiz-
zata. Vigerebbe dunque un principio democratico fra gli
animali quandocantano o fanno musica.

C’è da rilevare anche che, di norma, i suoni meno noti
al nostro orecchio sono quelli che più ci turbano. Se in-
fatti i rumori dellaforesta a grandi lineevengonocolti e
riconosciuti dal nostroorecchio (per averevistodei
film, per aver visitato deglizoo) e alla fine risultano ras-
sicuranti,isuonianoi sconosciuti,come quelli degli
oceani, ci turbano. Ci turbano e ci attraggono alcontem-
po. Ci mettono di fronte all’ignoto. A qualcosa che iden-
tifichiamocome primordiale. Il puntopiù intenso di
tutta l’installazione è senza dubbio quelloregistrato in
acqua. I suoni del mare sono ripresi in periodi e luoghi
diversi fra il 1960 e il 1995 e sono stati poi montati in stu-
dio (ammette Krause: «Lo abbiamo fatto per trasmette-
reun senso dicoesione che raramentec’è neiveri biomi
marini»):dal cielo che sovrasta il mare, dal suono dei
gabbiani, si scende via viaverso la superficie (leotarie
della California), poi in profondità mediecon lecorvine
rosse che emettono suoni simili a quelli di una percus-
sione, e infine negli abissicon tre tipologie dicetacei —
le megattere, icapodogli e le orche. La ricchezza di suo-
ni misteriosi è impressionante: sembra di ascoltare ef-
fetti diglissandodi lunghezzediverse su strumenti a
corde in partiture sperimentali, armonici artificiali, ef-
fetti percussivi sul ponticello delcontrabbasso, trombe
con la sordina, effetti da musica elettronica, da chitarra
elettrica distorta, altri suoni stridenti, un sassofono nel
momentoincui il solista fa «frullare» l’ancia. Sottoa
tutto,comecontrappunto subacqueo, dei bordoni fatti
di suoni nelregistro basso (li emettono i pesci della bar-
rieracorallina).TheGreatAnimalOrchestraè una chia-
mata a preservare la bellezza della natura, prima che sia
troppo tardi. Ma probabilmente lo è già. L’uomo — ri-
cordava già ai suoitempi Marshall McLuhan — ha sco-
perto la natura solo dopo averla distrutta.
©RIPRODUZIONERISERVATA

L’evento
The Great Animal Orchestraè
un’installazione sonora
(nellafotopiccola in alto
l’inizio)realizzata da Bernie
Krausecon United Visual
Artists nel 2016 per la
Fondation Cartier pour l’Art
contemporain diParigi e
visibile in questi giorni a
Milano all’interno della XXII
Esposizione internazionale
dellaTr iennale (fino al 1°
settembre, info:
triennale.org) nell’ambito
della mostraBroken Nature
curata daPaola Antonelli.
Dal 1° ottobre all’8 dicembre
sarà alla galleria 180 The
Stand di Londra. Ilcatalogo
(pp. 104,e23, in alto la
copertina) è acquistabile al
bookshop dellaTr iennale
Ilpersonaggio
BernardL.Krause (Detroit,
1938) è un musicista
americano ed ecologista del
paesaggio sonoro.Nel 1968
hafondato Wild Sanctuary,
organizzazione dedicata alla
registrazione e archiviazione
di paesaggi sonori naturali
Leimmagini
In queste pagine, da sinistra;
Gange, India, 2014;Lungo il
Gange, India, 2014.Con
Ganga Ma, Giulio Di Sturco
— autore di tutte le
immagini che abbiamo
pubblicato in queste pagine
—combina lafotografia
documentariacon l’estetica.
L’uso del medioformato gli
ha permesso un elevato
livello di dettaglio e di
precisione delcolore.
«Contrariamente all’assalto
sensoriale tipico delle
immagini esotiche usate per
l’India — scrive Eimear
Martin, curatore diGanga Ma
pubblicato a giugno
dall’editore londinese Gost
Books — Giulio Di Sturco
offre una prospettiva di
calma e moderazione. I
paesaggi sono sterili,
desolati e spopolati, le
composizioni sono semplici
e icolori desaturati»

i


Voci
Nel Delta dello Yukon ogni anno
aprimavera c’è il più grande raduno
di uccelli migratori.Èuncoro
multietnico, uno scontro/incontro
di canto senza direttore

SSS

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