Vogue Italy - 09.2019

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È stata scoperta molto giovane, era praticamente una bambina.
Cosa ha significato?
Credo sia stata una bella opportunità, mi sento fortunata. Ho inviato
una mia foto a Look of the Year e dopo un anno e mezzo ero a New
York, avevo lasciato famiglia, scuola, tutto quanto. Non mi rendevo
bene conto di quello che stava succedendo, ma bisognava lavorare
duro, imparare che le cose vanno di rado per il verso giusto e farsi
una bella scorza. All’inizio ero una specie di appendiabito, mi sentivo
isolata, ero ciò che gli altri volevano che fossi. Dopo circa vent’anni
ho capito, qualcosa è cambiato e ho sentito che c’era collaborazione


  • grandi stilisti, grandi hair stylist, grandi modelle, tutti insieme per
    creare immagini bellissime. Mi sono fatta molti buoni amici.


Chi, per esempio?
Tutte le ragazze con cui lavoravo, perché ci prendevamo cura una
dell’altra. Per me le sfilate erano molto difficili, ricordo un terribile
attacco d’ansia nel backstage della passerella di Dolce&Gabbana a
Milano. Avevo diciannove anni, le ciglia finte e ogni genere di ma-
ke-up. Mi sono messa a piangere. A quei tempi le modelle più grandi
si truccavano da sole, avevano i loro prodotti, come Linda, Naomi e
Karen... Linda fu davvero carina, mi tolse tutto il trucco e lo rifece.
Linda è la migliore truccatrice del mondo.

Si è vista cambiare progressivamente mentre diventava sempre
più conosciuta, e poi famosa?
Spesso le modelle, quando arrivano al successo, sono poco più che
bambine appena uscite dall’ala protettrice della famiglia. E quelle che
meglio lo hanno gestito di solito hanno una famiglia forte alle spalle.
Io i miei li volevo rendere orgogliosi. E volevo essere orgogliosa di me
stessa. Detto ciò, non credo che le ragazze molto belle si vedano tali

allo specchio, e questo è un peccato. Si pensa sempre che l’aspetto
esteriore sia più importante, in realtà però non conta come sei fuori,
ma come sei dentro.

Come è stato lavorare con Helmut Newton?
Molto interessante. Aveva un incredibile senso dello humour e un oc-
chio altrettanto incredibile per il genere di bellezza sensuale un po’
dark. Si portava dei grossi capezzoli di gomma, gli piaceva metterli
sotto le camicie delle ragazze così che sembrava ne avessero di grandi
e duri. So che è volgare, ma Helmut ne aveva fatto una scienza. Arri-
vava con i suoi occhiali e te li metteva nel reggiseno. Era davvero stra-
no. Poi non so se lo faceva solo per divertimento o se davvero funzio-
nava nelle foto, di sicuro ho imparato a non metterlo in discussione.

Anche nelle fotografie più sensuali e serie c’è spesso una sorta di
humour, qualcosa che farebbe ridere un ragazzino.
La prima volta che ho lavorato con lui, alla fine della giornata mi
ha detto: «Sto facendo delle foto di ragazze in topless che stirano,
accetteresti di posare mentre stiri?». Il parrucchiere mi fece le trecce
da bambina tedesca che a lui piacevano. Indossavo un grembiule da
domestica senza la parte sopra. L’idea era che stirassi nel seminterrato
di un castello. Gli dissi: «Va bene, facciamo le foto, ma non puoi usarle
senza il mio permesso». Quando decise di utilizzarle gli chiesi di non
farlo. Si è così arrabbiato, era furioso.

E cosa succedeva quando Helmut Newton si arrabbiava?
Era orribile, devastante. Piuttosto mi chieda cosa succedeva quando
Avedon si arrabbiava... Ecco. Sapeva come metterti all’angolo, aveva
un talento per controllare le persone, ed era un grande direttore. Ho
imparato molto. Per esempio come impostare lo sguardo, come espri-

Stephanie by Stephanie


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