Vogue Italy - 09.2019

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mere un’intenzione con gli occhi. Come cadere e come saltare. Sem-
brano cose che sai fare, ma è stato come tornare a scuola. Dick era un
maestro in questo. Anche lui un grande modello.  Sapeva esattamente
cosa fare, dove mettere il peso.

Quasi come un coreografo.
Oh sì, era un coreografo, e ogni tanto ne invitava a lavorare con noi.
Diceva: «Lo so che per istinto metti il peso sul piede destro, mettilo
sul piede sinistro e alza il braccio destro». Oltre a come cambiare il
movimento della foto, mi ha insegnato il significato della parola colla-
borazione. È stato l’unico caso in cui mi sono sentita così coinvolta da
un grande artista. Mi permetteva di aiutarlo a editare le immagini del
giorno prima, mi chiamava e mi diceva: «Facciamolo insieme, aiuta-
mi». Poteva anche succedere che dicesse: «Non me ne piace nessuna,
sei d’accordo che dobbiamo rifarle?». Io pensavo: «Abbiamo appena
fatto sei ore di shooting!». Ma sapevo che aveva ragione. È stato un
grande regalo avere vicino qualcuno come lui, con la sua energia.

Nell’attuale panorama della moda, c’è qualcuno che lavora a
questo livello?
Non saprei, mi piacerebbe sapere di più di quello che sta succedendo.
Mio figlio Harry è molto emozionato per le foto che abbiamo fatto per
Vogue Italia. Forse è meglio lasciare spazio  ai giovani.

Ci racconta come ha conosciuto Gianni Versace?
Prima di Gianni c’erano due tipi di modelle, quelle che facevano le
sfilate e quelle che posavano. Erano proprio due categorie diverse.
Gianni amava le prime, ma voleva anche le altre. Linda, Naomi, vo-
glio questa, voglio quest’altra. Io non ero disponibile per le sfilate per-
ché mi rendevano molto nervosa. Ma lui non si dette per vinto, chiamò

la mia agenzia offrendomi molti soldi. Dissi al mio agente: ma lo sa
che io non faccio sfilate, vero? Il rapporto con Versace è stato unico.
A Milano lavoravo per lui e per nessun altro. Ci sapeva fare, si pren-
deva cura di me meglio di tutti. Ero sempre ospite dei migliori hotel,
e quando arrivavo in camera trovavo fiori e giocattoli per mio figlio
Dylan. Ogni giorno c’era una macchina che mi veniva a prendere, mi
portava al lavoro e aspettava per riportarmi a casa. Era come stare tra
le braccia di qualcuno. Eri sotto l’ala di Versace.

Il rapporto con Versace ha cambiato il suo percorso di carriera?
Lui sceglieva sempre i migliori. Avedon faceva tutte le campagne pub-
blicitarie, e quindi anch’io ho iniziato a fare molti lavori con lui. Nes-
suno ha fatto delle campagne simili, erano incredibili. Gianni diceva:
fai quello che vuoi, Dick. Parlavano al telefono tutte le mattine e Dick
gli mandava le foto del giorno prima. Gianni sapeva come coinvolgere
le persone e tenerle insieme, era un dono molto speciale.

Com’era la vostra relazione?
All’inizio c’era solo il lavoro. Quando lui si innamorò cambiò tutto,
iniziò a collezionare arte, sorrideva di più. E poi ce l’hanno portato
via, una terribile tragedia. Non potevo credere quanto fosse felice le
ultime volte che l’ho visto.

C’è un ricordo speciale, del genere “quella volta con Versace”,
che potrebbe diventare oggetto di conversazione a un cocktail
party?
Non sono una da spettegolare ai cocktail party. Sono piuttosto riser-
vata. Ho molti bei ricordi e forse riguardano tutti Naomi. Abbiamo
vissuto insieme l’adolescenza, i venti e i trent’anni. Magari potessi
entrare nei dettagli. Qualcuno non me lo perdonerebbe.

Stephanie by Stephanie


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