Vogue Italy - 09.2019

(nextflipdebug2) #1
Sketch

di ANGELO FLACCAVENTO

disegno di
ANTONIO PIPPOLINI

Andar per sfilate, ultimamente, è diventata attività che
con la cronaca di orli, quisquilie, gingilli e setose ameni-
tà ha ben poco a che fare. Il povero cronista, l’aspirante
critico sono bombardati da una ridda di stimoli che di-
straggono e sviano. La scatola, confezionata con indubbia
abilità, perfetta e lustra in ogni suo aspetto, conta più di
quel che contiene. Abbagliati da set faraonici, passerelle
distese su spiagge o campi di lavanda, frastornati da mu-
siche assordanti o melliflue, stupefatti da visite notturne
al museo, celebrazioni criptiche in chiese sconsacrate e
bunker, gli abiti non li si guarda nemmeno più – c’è poco
da guardare in ogni caso. Al massimo, si apprezza il truc-
co, la scelta di un certo tipo di bellezza. Si è invitati a
seguire spettacoli teatrali, costretti ad analizzarli con gli
strumenti del politologo, dovendo però valutar mode, os-
sia operazioni di immagine. È una gran confusione di se-
gni, significanti e significati, ma poco importa: gli autori
delle suddette visioni sono loquaci come non mai, garruli
addirittura, presi tutti a scodellar verità intorno ai mas-
simi sistemi. Di certo non parlano più di vestine, vergo-
gnosi della materialità meschina, ma nodale, del proprio
lavoro. Poche cose sono in grado di riscrivere percezioni
sociali, atteggiamenti e comportamenti come gli abiti, ma
l’interesse ultimamente sembra essersi spostato in ambito
puramente teoretico. Si filosofeggia, con nozioni da Bi-
gnami e pompa da cattedratici di lauro incoronati. Un
tempo gli stilisti avevano da dire su tutto, ma si limita-
vano, per così dire, al proprio campo di pertinenza, gros-
somodo estetico. Davano consigli sul ben vivere, a largo
spettro, dalla scelta del partito da sposare a quella del
cibo da gustare. Pia Soli ebbe a parlare, con una formula
fulminante, di “genio antipatico”. Oggi gli stilisti, maghi
del prodotto, sono una specie in via d’estinzione, sopraf-
fatti dalla nuova razza anabolizzata e antipaticissima: i
direttori creativi. Con il lievitare delle responsabilità, è
lievitato l’ego, e il pensiero, con tutto quel che ne conse-
gue in termini di coscienza di sé, del proprio ruolo, delle
proprie responsabilità. I messaggi affidati alle collezioni, i
concetti cui si ancora spesso una sconcertante banalità di
design, sono della più alta specie. Si moltiplicano le affer-
mazioni sociopolitiche, in primo luogo. In questa febbre
persino i fiori, innocui, delicati e meravigliosamente scon-
tati, sono assunti a sembiante di diversità. A forza di voler
dare risposte a problemi esistenziali con una attività in
fondo commerciale, si uccide l’intelligenza. Perché è bello
che la moda proponga forme alternative di bellezza, che
si adoperi per essere inclusiva, ma non bisogna dimenti-
care che la moda d’autore è escludente per definizione:
corteggia i ricchi. I comizi da passerella, in questa enclave
elitaria per spendaccioni spensierati, sono più farlocchi
delle arringhe in campagna elettorale. Ben venga la moda
politica, certo, ricordando che nella moda politico deve
essere in primis il progetto, di brand o di abito. Altrimenti
sono solo sverniciate di smalto sul nulla, sforzi disperati di
dire a parole quel che i vestiti mai potranno dire. _______

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Lo Smalto Sul Nulla


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