Vogue Italy - 09.2019

(nextflipdebug2) #1

Loro,


Senza


Fi lt r o


C’è stato un tempo in cui
i divi camminavano
per strada senza manager
o bodyguard: e incontravano
Laffont, con la sua
macchina fotografica.

Tutte le notti, il fotoreporter Jean-Pierre Laf-
font sfrecciava verso l’aeroporto JFK giusto
in tempo per l’ultimo volo Pan Am delle ven-
titré, diretto a Parigi. Bisognava spedire i rul-
lini alle riviste francesi, che in rigoroso bian-
co e nero (negli anni Sessanta solo i magazine
geografici pubblicavano a colori) gli commis-
sionavano reportage su un paese che si stava
trasfigurando: i primi gay pride, le proteste
contro la guerra in Vietnam, lo scandalo Wa-
tergate, il movimento Flower Power. «Occor-
reva convincere un passeggero a prendere in
consegna la borsa e recapitarla al fattorino
dell’agenzia Gamma, che all’arrivo andava a
prenderla in motocicletta», racconta, coi suoi
divertiti 84 anni, dalla casa di Miami dove
insieme alla moglie Eliane, sposata nel 1966,
sta catalogando un milione di immagini cat-
turate nel corso di sessant’anni di carriera,
da fotogiornalista prima e da co-fondatore
dell’agenzia Sygma poi.

Il prossimo 19 settembre, una porzione di
quel passato realizzato tra gli anni Sessanta e
Settanta verrà pubblicata dalle Éditions de la
Martinière in un volume dal titolo Nos Stars
en Amérique: cartes postales de Jean-Pierre
Laffont. Un libro fotografico dedicato ai divi
francesi che sbarcavano un po’ ingenui nella
New York di allora, spesso per la prima vol-
ta, per girare film, promuovere dischi, esibir-

infine uno scatto rubato mentre s’accende
un sigaro, «con quello sguardo assente, così
lontano...». Poi Yves Montand portato in
cima al Pan Am Building, tra gli elicotteri
che atterravano uno in fila all’altro sul tet-
to, immortalato mentre canta a squarciagola
nel rumore delle pale: «Apprezzava il mio
modo di “scomparire”, di fargli dimenticare
che fossi lì. Un uomo timido, che accettava
di farsi fotografare unicamente dal profilo si-
nistro». Sylvie Vartan, che girava i negozi di

animali per comprare i suoi amati cuccioli di
maltese. Salvador Dalí, che durante la traver-
sata in nave tra Le Havre e New York aveva
fatto amicizia col chitarrista gitano Manitas
de Plata, e in una notte di delirio aveva im-
provvisato uno spettacolo di flamenco in un
locale del Bronx: «Manitas suonava accom-
pagnato dal cugino, il cantante José Reyes,
mentre Dalí teneva il tempo percuotendo il
palco col suo bastone». Alla fine, s’era fatto
portare sul palco una tela bianca, sulla quale

si alla Carnegie Hall davanti agli espatriati
franco-armeni che vivevano in città. Demis
Roussos, Brigitte Bardot, Alain Delon, Yves
Montand, Jacques Brel. Che appena atterrati
gli telefonavano dalla cabina dell’aeroporto
per organizzare uno shooting promozionale
da rivendere in Europa. «Era il mondo pri-
ma dell’avvento dei manager e dei publicist:
mi lasciavano un messaggio in segreteria e
li andavo a prendere all’Americana o all’Al-
gonquin, gli alberghi vicino a Times Square

frequentati dalle star transalpine». Pagine
dedicate ad Aznavour, che a New York s’era
rifatto il naso sull’onda di Édith Piaf, in città
per promuovere il film Un taxi pour Tobrouk:
«Voleva sempre fare shopping, comprare ca-
micie e dischi. Poi finivamo la giornata nella
sua camera d’hotel a mangiare un boccone:
nel tempo, siamo diventati amici», ricorda
Laffont. Più scorbutico Jacques Brel, che lo
accoglie in albergo a notte fonda ma si rifiuta
di concedersi all’obiettivo, salvo permettergli

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di RAFFAELE PANIZZA

foto di JEAN-PIERRE LAFFONT

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