16 Martedì 20 Agosto 2019 Il Sole 24 Ore
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STRATEGIE
TASSI, MONETE
E SHOCK
DELL’ECONOMIA
F
ino a pochi mesi fa, forti di una disoccupazione
molto bassa, si scommetteva su quanti aumenti
dei tassi di interesse avrebbe fatto la Federal re-
serve ed entro quanto tempo la Banca centrale
europea l’avrebbe seguita. Adesso, con in corso
la guerra dei dazi tra Cina e Stati Uniti, lo scena-
rio macroeconomico si è ribaltato e le principali banche
centrali, ultima in ordine di tempo quella dell’India, sono
impegnate in un nuovo round di espansione monetaria,
con lo scopo di diminuire i tassi di interesse per dar forza
al ciclo economico e, nel caso della Bce, cercare così di
raggiungere l’obiettivo di inflazione. Ipotizzando che i
tassi di interesse diminuiscano ulteriormente il ciclo eco-
nomico migliorerà? Quali sono i principali canali che per-
mettono un rafforzamento del ciclo economico mediante
la diminuzione dei tassi di interesse? Per rispondere a que-
ste domande necessita ricordare quali siano i tre principali
legami tra il ciclo economico e i tassi di interesse.
In primo luogo, una diminuzione dei tassi di interesse
stimola le imprese ad effettuare nuovi investimenti, che
si traducono in maggior occupazione, migliorando così
il ciclo economico. Va evidenziato come siano gli investi-
menti a permettere al ciclo economico di migliorare e non
la mera diminuzione dei tassi. In altre parole, quando i
tassi sono già molto bassi, se diminuiti ulteriormente, non
è certo che essi siano in grado di stimolare le imprese verso
nuovi investimenti e pertanto gli effetti sul ciclo economi-
co risulterebbero nulli. In secondo luogo, un’ulteriore di-
minuzione dei tassi, qualora le altre banche centrali non
lo riducano a loro volta, provoca una svalutazione del tasso
di cambio. Questo canale di trasmissione di un’espansione
monetaria all’economia reale, pur non venendo evocato
a chiare lettere per non scatenare esplicite guerre valuta-
rie, risulta più efficace del precedente. Infatti, una svaluta-
zione del tasso di cambio è in grado, nel breve termine, di
dare uno shock positivo al sistema economico perché ren-
de i beni prodotti da una nazione più convenienti nei mer-
cati internazionali. In questo caso, l’economia, che gode
della svalutazione, va a soddisfare la domanda di beni di
altre economie. Infine, la diminuzione dei tassi produce
un beneficio per le finanze pubbliche, perché riduce l’one-
re per il servizio del debito pubblico, aprendo margini per
l’utilizzo della politica fiscale da parte dei Governi.
Quali sono le conseguenze negative di una ulteriore
espansione monetaria? Rispondere a questa domanda
non è semplice, perché queste politiche sono state adottate
in tempi relativamente recenti e ancora non c’è piena co-
noscenza sugli effetti di lungo periodo. Tuttavia è possibile
individuare almeno tre conseguenze: la prima è che la
liquidità immessa dalle banche centrali nei mercati finan-
ziari venga utilizzata nella ricerca di rendimenti per gene-
rare e alimentare una bolla speculativa in qualche asset
(immobili, prezzi di titoli scambiati in borsa, ecc.). Se si
dovesse formare una bolla speculativa in qualche asset, il
successivo scoppio potrebbe avere conseguenze negative
sull’economia reale servano da esempio i due precedenti
cicli economici americani che sono terminati con lo scop-
pio di due bolle speculative: i titoli legati ad internet nel
; i mutui subprime nel .
La seconda conseguenza è quella di creare instabilità
nelle società che si occupano di fondi pensione. I fondi
pensione necessitano di titoli privi di rischio in grado
di generare rendimenti positivi, perché questo permet-
te al fondo di soddisfare i flussi di cassa in uscita quando
il lavoratore si ritirerà dal lavoro. Purtroppo, le politiche
monetarie espansive hanno ridotto, fino a farli diventa-
re negativi, i rendimenti dei titoli privi di rischio, esem-
pio il bund tedesco.
La terza conseguenza negativa è la stretta dipendenza
che si è creata tra la politica monetaria e l’andamento dei
mercati. Nel , la Fed ha continuato ad aumentare i
tassi di interesse ritenendo che la crescita economica fos-
se eccessiva per essere compatibile con l’obiettivo di man-
tenere stabile il tasso di inflazione. Sulla stessa linea, sep-
pur in modo più moderato, la Bce ha dapprima ridotto e
successivamente concluso il programma di acquisti di
titoli nell’ambito del Qe. In seguito alla correzione al ri-
basso dei mercati finanziari, indotta dal rallentamento
del ciclo economico prodotto dalle decisioni adottate nel
, la situazione si è ribaltata.
Preso atto del nuovo scenario economico in essere,
Mario Draghi, in giugno, ha annunciato una possibile
nuova fase di stimolo monetario; in luglio, la Fed ha ridot-
to il target sui federal fund. Concludendo, occorre una
riflessione sul ruolo della politica monetaria, perché ri-
spondendo essa solo a istanze immediate di brevissimo
termine, rischia di snaturarsi e perdere la sua efficacia
quale strumento di politica economica (magari in combi-
nazione con la politica fiscale) per rispondere a shock
negativi dell’economia reale.
Docente di Econometria finanziaria alla Cattolica di Milano
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L’ESPERIMENTO DELLA «SFIDUCIA COSTRUTTIVA»
I
n guerra si muore una volta sola.
In politica, invece, si può morire
e risorgere un’infinità di volte. Lo
sapeva bene Amintore Fanfani, il
montanelliano “Rieccolo” nazio-
nale. Ogni volta che le buscava di
santa ragione, si consolava osser-
vando che alle Quaresime seguono le
Resurrezioni. Insomma, si può pas-
sare dagli altari alla polvere e vice-
versa. Com’è capitato a Napoleone. Si
può passare dalle stelle alle stalle.
Come, nel suo piccolo, è capitato a
Matteo Renzi. Cattolico osservante
qual è, anche lui in questi giorni col-
tiva il sogno della resurrezione. Una
sola cosa non può permettersi un po-
litico navigato: perdere la faccia. È il
rischio che corre Matteo Salvini.
Si sentiva onnipotente, Salvini.
Riteneva di avere l’Italia in mano,
tant’è che pensava di correre alle ele-
zioni solo contro tutti. Nemmeno
fosse la Nazionale di calcio inglese,
che nel dopoguerra sfidava il resto
del mondo. Ma ha fatto il passo più
lungo della gamba. E adesso innesta-
re la retromarcia, come sta tentando,
non sarà facile. Che la sua sia stata
una mossa tattica o no, ai suoi stessi
sostenitori ha dato l’impressione di
un andare a Canossa pur di non per-
dere il potere. È perfino corsa voce,
vera o falsa che sia, che avrebbe of-
ferto a Luigi Di Maio la carota della
presidenza del Consiglio. Alla quale,
com’è arcinoto, ambisce da morire.
Tra le tante parole attribuite a Ser-
gio Mattarella, una è di sicuro verisi-
mile. Lo stesso capo dello Stato, in
perfetta sintonia con un’opinione
pubblica smarrita per la precrisi di
governo più pazza del mondo, ritiene
con ragione che può accadere tutto e
il contrario di tutto. Eppure, qualcosa
si sta muovendo. Come ha osservato
sul Sole Ore di domenica Emilia
Patta, “tutto dipenderà dal dialogo
informale tra Ms e Pd nelle prossi-
me ore”. Proprio così. Se Salvini teme
di perdere la cadrega, il Pd non vede
l’ora di tornare al governo. E i matri-
moni che durano di più non sono
quelli d’amore, un sentimento che ha
ben poco a che fare con la politica, ma
quelli d’interesse. A tal fine qualsiasi
capriola si giustifica. Basta guardare
dalle parti del senatore di Scandicci.
Felice come una Pasqua per essere
finalmente baciato, come nel bel
tempo andato, dalle luci della ribalta.
Se così stanno le cose, e per pru-
denza sottolineo “se”, allora oggi dal
punto di vista procedurale le cose
dovrebbero andare così. Scomparsa
all’orizzonte quella mozione di sfi-
ducia leghista che si proponeva di
mettere all’angolo Giuseppe Conte
e con lui baracca e burattini penta-
stellati, mai calendarizzata, la sedu-
ta a Palazzo Madama inizierà con le
comunicazioni del presidente del
Consiglio. E non saranno rose e fiori.
Scimmiottando l’Innominato, po-
trebbe dichiarare di aver sopportato
angherie e ironie a non finire per un
anno e passa e ora ne ha abbastanza.
Ce l’avrà con Salvini che l’ha sempre
guardato un po’ dall’alto in basso,
che l’ha sempre considerato un suo
vice. Ma ecco la metamorfosi. A poco
a poco Conte ha avuto voce in politi-
ca estera e comunitaria. E ha preteso
di dirigere la politica generale del
governo, ai sensi dell’articolo del-
la Costituzione. Insomma, violen-
tando la propria natura di uomo dal-
la forza tranquilla, è probabile che
assisteremo a un regolamento di
conti vero e proprio.
A questo punto, che cosa accadrà?
Ce lo dice il regolamento del Senato.
A conclusione degli interventi dei va-
ri gruppi, potranno essere presentate
risoluzioni. È possibile che i Cinque
stelle e il Pd, con eventuali contorni
vari, ne presentino una in comune.
Che, oltre ad approvare le dichiara-
zioni di Conte, elenchi una serie di
di Paolo Armaroli
SPUNTA UNA TERZA VIA POSSIBILE
PER LE POLITICHE DELLA CRESCITA
N
ell’attuale dibattito tra
le forze parlamentari,
la dimensione politica
del “cosa fare” viene
esaltata: tra chi spinge
verso le elezioni subi-
to, chi tra poco e chi predilige lasciare
che la legislatura abbia il suo natura-
le, seppur travagliato, corso. Il convi-
tato di pietra di questo dibattito,
l’economia, marcia nelle retrovie: se
non fosse per i turbamenti dello
spread che ricevono qualche atten-
zione si direbbe che sia quasi assente.
Ed è ben paradossale se si pensa
che la crescita travolgente nei son-
daggi della Lega di Matteo Salvini in
questo ultimo anno si spiega solo con
due cavalli di battaglia della retorica
del suo leader con evidenti implica-
zioni economiche: immigrazione e
politica fiscale, dove l’enfasi è stata
posta sui vincoli europei, addirittura
portando il partito a negare il voto
alla candidata, poi eletta, Ursula von
der Leyen per la presidenza della
Commissione europea, reputata evi-
dentemente a favore dello status quo.
Per la verità in questi giorni la Le-
ga, tramite il suo leader, è stata l’uni-
ca forza a comunicare ripetutamen-
te cosa va cambiato nella gestione
dell’economia: sforamento dei para-
metri di finanza pubblica europei,
flat tax, investimenti pubblici, Iva
stabile, lasciando per ora alle scorri-
bande della base sui social e ai tweet
di alcuni rappresentanti del partito
la questione più delicata della per-
manenza nell’euro.
Gli altri partiti si sono distinti più
che altro per una serie di dichiara-
zioni su cosa, per l’economia, “non”
va fatto. Non si deve aumentare
l’Iva, non si devono abbandonare i
parametri europei, non bisogna tor-
nare indietro sul reddito di cittadi-
nanza. Troppo poco, verrebbe da di-
re. Una coalizione Pd- Stelle, se
mai possibile, dovrebbe interrogar-
si rapidamente su che impostazione
comune di politica economica do-
vrebbe caratterizzare l’alleanza, al-
quanto instabile di suo, per riuscire
ad arginare la crescita del consenso
sovranista in Italia e altrettanto ra-
pidamente comunicarlo.
È evidente che ciò richiederebbe
un’inversione a U ad ambedue i
partiti, ben maggiore di quella sot-
tolineata sinora sulla stampa, lega-
ta alla reciproca antipatia così pub-
blicamente manifestata in quest’ul-
timo anno di lavori parlamentari.
Un’inversione a U rispetto alle poli-
tiche sinora abbracciate dai due
movimenti, che hanno avuto in co-
mune un evidente fallimento: la
mancata ripresa della crescita ri-
spetto al resto d’Europa.
Mentre Salvini propone in effetti
un approccio nuovo, cosa portano
Stelle o Pd se non ricette che quasi
tutti giudicano nei fatti fallimentari
come rispettivamente il reddito di
cittadinanza - capace di generare
(parole dello stesso Documento di
economia e finanza del Governo
Conte!) una misera crescita del Pil di
,% nel prossimo triennio o come il
ritorno alla convergenza verso il bi-
lancio in pareggio fatto di manovre
austere che condannarono Renzi alla
sconfitta politica del ?
Errare è umano, perseverare è
diabolico, e astenersi dall’elaborare
una nuova piattaforma, diversa da
quelle presenti nel Dna tradizionale
di questi due partiti, è masochistico:
se anche riuscissero ad arginare
temporaneamente il ricorso alle ur-
ne autunnali, anche tra due anni il
conto che presenterebbe un eletto-
rato stanco di stagnazione, declino,
mancanza di ripresa sarebbe inequi-
vocabilmente favorevole a Salvini, al
sovranismo e alla fine di qualsiasi
sogno europeo.
E questo è ben chiaro anche a
qualunque analista o politico euro-
peo che si rispetti: il futuro dell’Eu-
ropa passa per Roma e tirare la cor-
da ulteriormente non farebbe che
portare munizioni alla retorica di
Salvini. Questo banale dato di fatto
costituisce tuttavia anche un’op-
portunità per i due partiti: un’Euro-
pa terrorizzata dalla prospettiva so-
vranista è oggi disposta a concedere
molto di più alle forze pro-europee
italiane di quanto non abbia fatto
sinora, rimuovendo l’alibi del “ce lo
chiede l’Europa”.
Diventa dunque essenziale cono-
scere se esista una terza via per la po-
litica economica, diversa da quella
sovranista ma al contempo lontana
da quella europea del Fiscal compact
che ha caratterizzato in maniera ne-
fasta l’ultimo decennio, e tale da po-
ter essere sposata da ambedue i par-
titi. E la risposta è sì, esiste.
Richiede innanzitutto un rispetto
formale di alcune regole europee
non negoziabili, in particolare quel-
le legate al deficit su Pil del % come
linea Maginot degli sforamenti di bi-
lancio in tempo di difficoltà. In cam-
bio di questa concessione all’Euro-
pa, l’Italia di tale insolita coalizione
dovrebbe richiedere di poter rima-
nere al % fino all’uscita definitiva
dalla stagnazione, un’eccezione si-
gnificativa al Fiscal compact che ri-
chiede comunque e sempre una
di Gustavo Piga
LA DEMOCRAZIA
PARLAMENTARE
PERMETTE ANCHE
DI CAMBIARE
LA MAGGIORANZA
E NON IL PREMIER
punti programmatici sui quali con-
vergere. Solo questa, con l’ovvio as-
senso di Conte, passerebbe. Mentre
le eventuali altre, quale ne sia il con-
tenuto, verrebbero respinte. Avrem-
mo così una sorta di mozione di sfi-
ducia costruttiva alla tedesca. Perché
seppellisce il governo in carica per
sostituirlo con un altro. Nel caso spe-
cifico, la maggioranza parlamentare
cambierebbe. Mentre il presidente
del Consiglio resterebbe lo stesso.
Mattarella, dopo le consultazioni
di rito, conferirebbe il reincarico a
Conte. E l’incaricato, se tutto filerà
liscio con i partiti della costituenda
maggioranza, scioglierà la riserva e
presenterà al capo dello Stato la lista
dei ministri. Tutto è bene quello che
finisce bene? Sì e no. Perché solo in
quel teatro dell’assurdo che è il Par-
lamento italiano può accadere che
chi ha stravinto le recenti elezioni re-
gionali ed europee, come la Lega,
starebbe all’opposizione e chi le ha
straperse, come i Cinque stelle, ri-
marrebbe al governo.
Aveva ragione quella malalin-
gua di Leo Longanesi. Sbagliando
non s’impara. Macché, sbaglian-
do s’impera.
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convergenza al bilancio in pareggio
nel giro di tre anni. Nuovamente in
cambio, l’Italia garantirebbe due ul-
teriori condizioni: che le risorse così
liberatesi verrebbero usate solo per
fare investimenti pubblici che sti-
molano al contempo domanda “per”
e produttività “delle” nostre aziende
e che ulteriori aumenti di spesa o di-
minuzioni di imposte avverebbero
via spending review.
Cosa implicherebbe questo patto
per le manovre di finanza pubblica?
Con un deficit-Pil, come quello
odierno, già attorno al % in assenza
di aumento dell’Iva, praticamente
nulla: non vi sarebbe in effetti spazio
per ulteriori investimenti pubblici
(una spending review seria richiede
tempo), e il vantaggio di questo ac-
cordo si limiterebbe solo a escludere
ulteriori danni da austerità, non a
generare benefici, troppo poco per
sconfiggere i sovranisti. Una solu-
zione c’è: lasciar aumentare l’Iva,
guadagnando ben miliardi di ri-
sorse che potrebbero essere usate
per gli investimenti pubblici in tutto
il Paese. L’impatto di questa mano-
vra, chiamata anche del “moltiplica-
tore in pareggio”, è noto e positivo
per la crescita: se è vero che la do-
manda privata sarebbe in parte de-
pressa dall’aumento delle imposte
indirette, l’impatto positivo dei
maggiori investimenti pubblici lo
sovrasterebbe, sia nel breve che nel
medio periodo. E due anni sono
quanto bastano a questa anomala
coalizione per dimostrare la bontà di
tale scelta all’elettorato, in termini di
ripresa e sviluppo.
Europa o non Europa? Tertium
non datur, ai partiti l’ardua scelta.
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DEFICIT-PIL
AL 3% E AUMENTO
DELL’IVA PER USARE
I 23 MILIARDI
IN INVESTIMENTI
PUBBLICI
3%
IL RAPPORTO
DEFICIT-PIL
Il vincolo del 3%
sul deficit,
la differenza tra
entrate e uscite
annuali di uno
Stato, è imposto
dalla Ue ai sensi
del Trattato
di Maastricht
del 1992.