Corriere della Sera La Lettura - 18.08.2019

(Tuis.) #1

DOMENICA18AGOSTO2 019 CORRIEREDELLASERA LALETTURA 41


mai a unacanzone singola, ma all’architettura generale
del disco. Futuroimprovviso èun’idea che avevogià
completa, sapevoper ognicanzoneaquale arrangia-
mento mi sarei ispirato dei tanti miei “amori” del pop e
delrock: Electric Light Orchestra, U2, R.E.M., ma anche
Beatles, The Frames,Joe Jackson, Phil Collins».
Laappassionanoitalent?
«Confesso: non li guardo. Ma penso che “fare la ga-
vetta”,come succedeva unavolta, aiuti molto. E che sia-
no più importanti lecanzoni dell’apparireintv. Detto
questo, dai talent sono nati, e nascono, artisti importan-
ti. Itempicambiano, tutto è “liquido”. Anche se poi si
torna al vinile. Che, a differenza della musica digitale, è
fisico,resta. Ricordo che da ragazzino mettevo via i soldi
percomprarmiidischi di Genesis,JethroTull, King
Crimson. IncontravoDeGregori da Consorti: “Che hai
preso?Joni Mitchell. Ah, io il nuovoDylan”. Avolte si po-
nevano scelte difficilissime: LetIt Be dei Beatles o Wild
Life
, il primo album diPaul McCartneycon i Wings usci-
toincontemporanea?».
Cosascelse?
« LetIt Be ».


Quantoèsocial?
«Poco. Li usocon sobrietà, anche se per la promozio-
necontano i like .Per meconta la gente che ama ascolta-
rela musica!Poi, certo, latecnologia è bellissima, puoi
parlare da uncapo all’altro del mondo guardando in fac-
cia il tuo interlocutore. Mavedo tanta solitudine, che
unita a povertà culturale ed economica, diventacattive-
ria, rabbia. Che trova sfogo inrete. Incontrandoci pos-
siamo imparare,come ha scritto don Milani, che “il pro-
blema degli altri è uguale al mio”, e magari provare a ri-
solverlo.Avrei anche un’altra osservazione da fare».
Prego.
«Inrete sono tutti belli. Tutti invacanza, tutti gastro-
nomi. Lefoto? Perfette. Come è possibile? Dov’è laveri-
tà?».
Èfiction.Comeneilibri.Aproposito:qualèiltitolo
orasulsuocomodino?

«Ho finitodileggere BertaIsla diJavier Marías, un
autore la cui scrittura mi piace tantissimo. Prima ancora
avevoletto Stoner ,straordinario, diJohn EdwardWil-


SSS


di CLAUDIOSESSA

I


l disco pubblicato
da un trio interna-
zionale del calibro
di Michele Rabbia
(percussioni),
GianlucaPetrella
(trombone) ed Eivind
Aarset (chitarra), tutti
impegnati anche nella
manipolazione di stru-
menti elettronici, è par-
ticolarmente interes-
sante. Lost River usa
l’improvvisazione col-
lettiva d’impianto jazzi-
stico per creare paesag-
gi sonori collosi, spesso
svincolati daformule
ritmiche o da precisi
riferimenti melodici,
inquietanti eppure ac-
cattivanti, come se ci
riportassero a un ance-
strale passato.
Il «fiume perduto»
del titolo èforse il liqui-
do amniotico in cui tutti
noi siamo stati lunga-
mente immersi?Certa-
mente sono acque che
presuppongono un’ap-
partenenza comune,
ben più ampia di quella
«cultura afroamerica-
na» nella quale si è
bagnata per decenni la
storia del jazz; e infon-
do è secondario che a
inciderlo (in un luogo
simbolicamente di con-
fine, l’ormai mitico
ArteSuono Studio di
Stefano Amerio, aUdi-
ne) siano stati due ita-
liani e un norvegese.
La tedesca Ecm, che
ha pubblicato il cd, da
mezzo secolo sta dando
voce a un’idea di musi-
ca profondamente in-
ternazionalizzata; è la
prima etichetta che
abbia saputoforgiare
un’estetica del jazz
universalmente ricono-
sciuta operando al di
fuori degli Usa(dopo
marchi altrettanto indi-
pendenti del calibro di
Commodore, BlueNote,
Riverside,Impulse,
Ve rve); ha poi diffuso le
logiche di compositori
ed esecutori contempo-
ranei d’ogni luogo, se-
veri, rigorosi e al tempo
stesso trasparenti nelle
loro intenzioni sonore.
Ora, da tempo sposa le
innovazioni elettroni-
che a una sorta di nuo-
vo umanesimo, lontano
dalla meccanicità pla-
stificata della musica
industriale ma anche
dal timore passatista di
una spersonalizzazione
dovuta all’eccesso di
elettricità. Lost River lo
dimostra con precisione
e fantasia, le voci deso-
late e al tempo stesso
orgogliose di trombone,
chitarra e percussioni
cantano paesaggi con-
temporanei, tanto del-
l’Europa quanto del
resto del mondo. E non
stupisce che a un ascol-
to attento rivelino il
richiamo a sonorità
proposte proprio dal-
l’Ecm, profeticamente,
già negli anni Settanta:
quelle di due dischi oggi
di culto del trombonista
(jazz, e afroamericano)
Julian Priester, Love,
Love e Polarization.
©RIPRODUZIONERISERVATA

Tesi


ILFIUME


PERDUTO


VAOLTRE


IL JAZZ


liams, e Il pappagallo di Flaubert , di Julian Barnes, che
ho divorato. Sulcomodino, ho da pococominciato a leg-
gerlo, ho un libro che mi hannoregalato, L’eco delle ba-
lene , di Sean Michaels. Mi sembra bello».
Daspettatore,ilconcertoindimenticabile.
«Ne ho visti tanti! Sotto il profilo della spettacolarità,
l’ultimo diRogerWaters. Scenograficamente inarrivabi-
le. Quelli rimasti nel cuore:John Martyn allaRoyal Al-
bert Hall di Londra, quando ero ragazzino;Paul McCart-
ney in Irlanda, un live semplice macon tutte lecanzoni
dei Beatles; poi,Jonathan Wilson all’Auditorium diRo-
ma, una passionerecente;Joan AsPoliceWoman; The
National; Julia Holter. EJoni Mitchell, di cui ero innamo-
rato pazzo: andai negliStatiUniti, a San Francisco, per
vederla. Era il 1978.Avevo messo da parte i soldi, lei suo-
nava al Bread &RosesFestival. Non potevomancare».
Sedovessesalvareunsolodisco?
«Mi troverei in un imbarazzoterribile.Forse Face to
Face dei Kinks, di cui ho il vinile originale, perché è pop
e rock, ironico e magnifico. Se potessi sceglierne un al-
tro sarebbe Odessey and Oracle degli Zombies: si erano
sciolti quando uscì, e nonostante l’enorme successo non
si rimisero insieme. Tra gli ultimi che hocomprato: Fa-
ther of the Bride deiVa mpireWeekend, che è bellissimo,
ma in radio non lo manda nessuno;come il nuovodei
National, oggettivamente un po’ difficile macon un bra-
no spettacolare... L’appiattimentoculturaleèanche
questo, purtroppo».

Leièancheattentoalletematicheambientali...
«Non ho la macchina, né lo scooter o l’ariacondizio-
nata incasa. Sonovegetariano da una decina d’anni. Il
pensiero che il mio stare bene possa passare attraverso
il malessere di qualcun altro mi crea disagio. Ma non mi
permetto di bacchettare chi fa scelte diverse».
ChièilGianniTognidioggi,echecosaèrimastodi
quellodiieri?
«Di ieri,èrimasta la stessavoglia di fare, l’entusia-
smo, la curiosità. Non mi mancalavita freneticadi
quando ero una popstar, sballottato da una parte all’al-
tra.Unesempio di tipica giornata promozionale? Oreot-
todel mattinovoloRoma-Milano; riunione e poicola-
zioneaMadrid; pomeriggioaParigi; pranzoserale a
Monaco di Baviera... Oggi sonofelice di essere un indi-
pendente, ho la mia etichetta, Acquarello, non sono vin-
colato alle major per le scelte discografiche».
Dicosanonpotrebbepropriofareameno?
«C’è stato un momento della mia vita in cui hocercato
di non essere innamorato: non ci credevo più. È stato il
buio.Una vita senza amore non ha senso. Puoi avere tut-
to, ma non serve a niente».
Lasuacanzonepreferitadi«Futuroimprovviso»?
«Quella che chiude l’album, molto beatlesiana. È de-
dicata a una persona che è statafondamentale nella mia
vita, mia zia Edda, la sorella di mio padre, un’artista.
Scultrice e pittrice, mi portava da bambino alle mostre
d’arte, è stata la prima aregalarmi la chitarra. Non si è
mai sposata: acasa suac’era la libertà, da lei potevofu-
mare, ascoltare Dylan, Donovan, iRollingStones. È mor-
ta il6febbraio, il 18 dello stesso meseèmancata mia
mamma(Marianna Biondi, ndr ), anche lei una donna
straordinaria. Due lutti che hanno ritardato l’uscita del
disco; le musiche erano pronte, mi era difficile scrivere i
testicon quel peso sul cuore. Ma hovoluto mandare lo
stesso un messaggio positivo, Sorridi alla tristezza».
©RIPRODUZIONERISERVATA
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