Corriere della Sera La Lettura - 18.08.2019

(Tuis.) #1

DOMENICA18AGOSTO2 019 CORRIEREDELLASERA LALETTURA 7


L’ideaèquelladiripercorrerelerottedegli
antichiEgizi,ilcollegamentotrailMar
MediterraneoeilMarnero.Erodoto,gli
scambi,lastoria.Perquestoèstatacostruita
l’imbarcazione,deltuttosimileaquelle

egizie,AboraIV.Dodicimembridi
equipaggio,archeologiprovenientidalla
GermaniaallaBulgariaallaBolivia,per
navigaresuquestoquattordicimetri.Un
ritornoalmaredelpassato.

Ilmaredelpassato

{


Cambusa
diNicolaSaldutti

cordarel’inizio di ciò che lo storicobri-
tannicoIanKershaw definì «lacaduta
dell’Inferno sullaTerra».Unprecipitare
nell’orrorecostato alla sola Europa «oltre
quaranta milioni di morti».
Tuttavia, proprioipersonaggi incon-
trati qui hanno spintoilragionamento
verso una direzione diversa. «Questo è un
luogo estremamentecomplesso. Siamo
al cuore delletensioni europee di allora e
di oggi — ricorda Frank Bernard, 66 anni,
da 33 sacerdote nellacattedralecattolica
di Tutti i Santi — sulle frontiere tra mon-
do slavoeuniverso latino-occidentale.
Auschwitz è soltanto a 60 chilometri, sul-
la strada per Cracovia. Nel 1939 Gliwice si
chiamava allatedesca, Gleiwitz, era stori-
camente parte dellavecchia Prussia e del-
la Slesia altempo saldamente germanica,
anche se ilconfinecon l’allora nuova Po-
lonia,così come definito dopo il 1919con
il crollo degli imperi russo,tedesco e au-
stro-ungarico, stava solo a una decina di
chilometri. Nel 1939 gli abitanti erano 130
mila, di cui oltre il 90 percentotedeschi
legati a filo doppio alregime di Berlino,
compreso un 18 percento di ebrei molto
integrati nella cultura germanica. Meno
del 10 percento erano polacchi. Ma tutto
cambiòconl’avanzata dell’Armatarossa
nel gennaio 1945. Gliwice fu tra le prime
città prese dai sovietici che sfondarono i
confinitedeschi del 1919. I soldati diSta-
lincominciarono subito a rubare, porta-
rono in patriaimacchinari delle indu-
strie — soprattutto quelle metallurgiche
che qui erano molto sviluppate —come
forma di anticipate riparazioni di guerra,
distrussero, violentarono metodicamen-
te ogni donna tra i 14 e gli 80 anni. Fu la
furiavendicatrice per i criminicommessi
daitedeschi in Russia. In meno di due o
tre anni Gliwice subì una radicale rivolu-
zione demografica, sociale, politica: i po-
lacchi divenneroil90percento,itede-
schi scesero al 10 e gli ebrei praticamente
sparirono, fuggitiosterminati. Queste
ultime percentuali non sonocambiate
neppure adesso che la popolazione della
città è salita a 175 mila abitanti».


decenni ricordò il dramma della deporta-
zione daStryj, cittadina polacca diventata
sovietica, sotto scorta militare». Lichezka
sta preparando l’editoriale che pubbli-
cherà sabato31agosto. «Oggi ho molta
più paura di Putin che del crescente neo-
nazismotedesco», osserva.

Èsufficientesfogliarelasuccessione
dei nomi dati alla piazza del municipio
nel solo Novecentopercomprenderela
complessità della storia in questeregio-
ni: «Piazza deire»fino al 1918, quindi
«PresidentedelReich», seguita da
«Adolf Hitler» nel 1933, da «Libertà»
scortata dai fucili dell’Armatarossa nel
1945, per trasformarsi presto in «Eroi di
Stalingrado» sino al 1990 e infine nell’at-
tuale «Józef Piłsudski », in memoria del-
l’artefice dell’indipendenza polacca.
«Siamo popolazioni in piena crisi
d’identità, appesantite da tragedie, esodi,
massacri. Nonacaso da qualchetempo
stiamo aprendo nuovi musei,valorizzia-
moivecchi palazzi,cerchiamo risposte
nel passato. Il nostro è un mondo sospe-
so tra culturatedesca e polacca, carico di
tabù etensioni irrisolte. Chi per esempio
ha ilcoraggio di ricordarecome gli ebrei
tedeschi della nostra città, molti dei quali
laici, benestanti imprenditori ben assi-
milati, in quegli ultimi giorni di pacee
duranteleprime settimane di guerra
guardavanoconmalcelatodisprezzoai
confratellireligiosi che scappavano dagli
shtetl (villaggi) dell’Europa orientale?
Non è un mistero che molti riuscirono a
comprarsi un passaggioverso Occidente,
mentrenellecamereagas finirono in
massa i figli della cultura yiddish est-eu-
ropea», sottolinea la trentenne Eva Chu-
dyba, che cura il locale museo ebraico.

D’identità si è occupato per tutta la vita
anche l’85enne scrittorenatotedescoe
poi «forzatamentepolacco»Peter Lach-
mann. Ancora decenne assistette alle vio-
lenzecarnali subite dalla mamma e dalle
quattro giovani zie. «Oggi pare impossi-
bile anche immaginarlo. Mio padreera
scomparso nell’assedio diStalingrado. E
veniva dato per morto assieme acentina-
ia di migliaia di soldatitedeschi.Torna-
rono molto più tardi solo i prigionieri sul
fronte occidentale. Contro ogni cliché, il
primo a violentare mia mamma Hilde fu
però un SS di origine turca. Scoprì incasa
nostra alcunivolantini antinazisti, li ave-
voraccolti io per la strada, ma per sba-
glio. Lui minacciò di denunciarci e, per
farlotacere, mia madreloportòaletto.
Poiarrivaronoisovietici. Erano spesso
sporchi, primitivi. I primi che violentaro-
no mia mammaelesue sorelle erano
contadini ucraini. Ricordo un paio che
non avevano mai visto una sveglia: le spa-
rarono pensandofosse una bomba. Scia-
mavano ubriachieanarchici nellecase
per qualche giorno, poi ripartivano per la
battaglia finale a Berlino. Le donnetede-
sche per salvarsi dalle violenze di gruppo
cercavano di farsi un solo fidanzato,tem-
poraneo, che però dovevadifenderle da-
glialtri. Infine giunseroicomunisti po-
lacchi. E per una delle sorelle, Cecil, ci fu
una storia d’amore abbastanza lunga».
Ma tra le nuove generazioni di intellet-
tualic’èanche chi non intende immi-
schiarsi nel ricordo della guerra. «Quella
sofferenza non fu la mia.Per me itempi
grigi, bui, amorfiepassivi sono stati
quelli della scuolacomunista negli anni
Ottanta, dell’oppressivo, asfissiantecon-
trollo sovieticosulle nostreesistenzeda
bambini e ragazzi», racconta lo scrittore
epoeta KrzysztofSiwczyk, 42 anni (un
suovolume di poesie, Dysnomia , è stato
anche tradottoinItalia da LietoColle).
«Più che ricordarel’episodio del blitz
controlastazione radio, preferiscorac-
contare dello stupore quando arrivò an-
cheaGliwiceunnegozio dellacatena
Pewex. Sarà stato il 1985.Per la primavol-
ta noi bambinivedevamo laFanta e laPe-
psi Cola, scoprivamo i Mars, i pupazzi di
Walt Disney. Sembra lontano anni luce,
immersicome siamo nel liberalismo del
mercatoeuropeo. Anche troppo per i
miei gusti. Ma quelle scoperteallora ci
resero ancora più acuto il senso dell’iso-
lamento irreale in cui eravamocostretti».
©RIPRODUZIONERISERVATA

Breslavia

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RUSSIA


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GERMANIA


REP. CECA SLOVACCHIA


POLONIA

MarBaltico

Varsavia
Berlino

Praga

Confine
polacco
attuale

Confine
tedesco
del 1939

GliwiceGliwice

Leconseguenzediquesti stravolgi-
menti le tira Gregory Krawczyk, 55 anni,
direttore del museo municipale. «In po-
chi anni la nostra città passò dall’essere
saldamente schieratacon Hitler alcampo
opposto. Da nazista acomunista. Le ele-
zioni del 1933 furono un plebiscito per il
Partitonazionalsocialista:ottenne il 93
percentodelle preferenze. Abbiamo le
fotoconlevie di allora addobbatecon
migliaia di svastiche. Il nostrotessuto ur-
bano in quegli anni era molto borghese,
commerciale, Hitler aveva garantito la ri-
nascita economica dopo la crisi del 1929,
pochissimi non lo appoggiavano. Non
stupisce dunque che il 1° settembre 1939 i
media locali ripetessero senza sosta ite-
mi della propaganda hitleriana, che de-
nunciava il blitzcontro la stazione radio.
Mentresolo poche decine di chilometri
più a est la stampa polacca, quasi ignora-
ta da quella internazionale,condannò da
subitol’inganno nazista. Sarà soltanto
durante il processo di Norimberga, dopo
la fine della guerra, che gli stessi gerarchi
tedeschi ammetteranno in tribunale quel
falso».
È proprio alla luce di quei giganteschi
e repentini movimenti di popolazione —
tali da fareletteralmenteimpallidirele
migrazioni odierne dall’Africa e dal Me-
dio Orienteverso l’Europa — cheva com-
preso l’atteggiamento della Gliwicecon-
temporanea. «Tra il 1945 e il 1948 itede-
schi scapparono in massaversoovest e
arrivarono qui polacchi e ucraini assieme
alle infinite vittime dei tragici e criminali
accordi diYalta delfebbraio 1945, quan-
do gli Alleati occidentali lasciarono aSta-
lin gran parte dell’Europacentro-orienta-
le, stravolgendo per l’ennesimavolta an-
che le nostre frontiere. Gliwice si ritrovò
sottoilregime fantocciocomunista po-
lacco,lontana oltre400 chilometri dal
nuovoconfinetedescocosì come è trat-
teggiatoanche oggi», spiega Maugojata
Lichezka, 57 anni,redattricecapo del set-
timanale locale «Nowiny Gliwichie»
(«Notizie da Gliwice»). Non mancauna
nota autobiografica: «Mia mamma per

Leimmagini
Nella foto grande di queste
due pagine: la piazza
municipale di Gliwice, in
Polonia, che ospita la statua
dell’eroe del nazionalismo
polacco Józef Piłsudski
(1867-1935). In questa
pagina, in alto: la stazione
radio di Gliwice, al centro
dell’episodio che scatenò la
Seconda guerra mondiale.
Venne attaccata da alcuni
militari tedeschi in abiti civili
tra il 31 agosto e il 1°
settembre 1939. Durante
l’attacco morì Franciszek
Honiok, contadino cattolico
noto per avere simpatie filo-
polacche, che gli agenti di
Hitler presentarono come il
soldato di un commando
mandato dal governo di
Varsavia per catturare la
stazione radio e lanciare
proclami anti-tedeschi. A
sinistra, dall’alto: Zygmunt
Frankiewicz, 64 anni,
sindaco di Gliwice dal 1993;
Peter Lachmann, 85 anni,
scrittore nato tedesco e poi
«forzatamente diventato
polacco»; lo scrittore e poeta
Krzysztof Siwczyk, 42 anni
Ilvideo
Online su corriere.it/lalettura
il videoreportage da Gliwice
di Lorenzo Cremonesi
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