La Stampa - 08.08.2019

(Barré) #1

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FERNANDO GENTILINI*


È

un negoziato intermit-
tente quello in corso a
Doha da sei mesi: tra
gli americani «che pos-
siedono gli orologi» e gli afgha-
ni (in questo caso taleban) «che
possiedono il Tempo». Fu tra-
dotta in tutto il mondo questa
massima di Ahmad Shah Ma-
sud, l’eroe mujaheddin ucciso
alla vigilia dell'attacco alle Tor-
ri Gemelle. Eppure neanche un
visionario come lui avrebbe im-
maginato che un giorno ameri-
cani e taleban si sarebbero in-
contrati al tavolo della pace:
perché prima dell’11 settem-
bre il mondo funzionava diver-
samente; e poi perché un nego-
ziato come quello di Doha non
sarebbe stato concepibile pri-
ma dell’avvento di Donald
Trump.
Ai suoi predecessori alla Ca-
sa Bianca non era mai passato
per la testa di aprire un tavolo
con i taleban. Clinton aveva la-
sciato che ci parlassero sauditi
e pachistani; e Bush, fino all’
settembre, si era preoccupato
di loro fino a un certo punto. Al
tempo di Obama poi, sedersi as-
sieme agli insorti afghani era
ancora considerata un’eresia,
nel senso che la riconciliazione
era un processo di cui doveva-
no occuparsi gli afghani. E così
c’è voluta tutta la spregiudica-
tezza di Trump per rendere
possibile l’impensabile: per-
ché diversamente da tutti quel-
li venuti prima, lui con i «solda-
ti di Dio» ha scelto addirittura
di avviarci una trattativa.
In realtà c'è un finale già scrit-
to, ed è il ritiro delle forze Usa
promesso dal presidente ai
suoi elettori. Per questo, come
si diceva, si confrontano al ta-

volo due concezioni del tem-
po. Quello asiatico e circolare
dei taleban, in cui il passato ri-
torna sempre e basta saper at-
tendere il proprio momento. E
il tempo lineare e occidentale
degli americani, scandito ap-
punto dagli orologi, dalle esi-
genze elettorali e dai deadline
negoziali artificiosi di Trump e
Pompeo che la pace, cioè il riti-
ro, vogliono annunciarla già a
settembre.
I taleban, per ora, non han-
no scoperto le loro carte. Aspet-
tano di capire quando inizie-
ranno le partenze prima di de-
cidere cosa offrire in cambio; e
intanto preparano le trattative

con il governo di Kabul, che sin
qui ha potuto tenergli testa so-
lo grazie al contingente inter-
nazionale. C’è un precedente
cui guardano i taleban, quello
del 1992: quando Mosca, ab-
bandonando il governo Naji-
bullah al suo destino, fece
piombare il Paese in un tale
caos che poi per i turbanti neri
del mullah Omar fu quasi una
passeggiata conquistarlo.
Corsi e ricorsi storici sono il
pane quotidiano degli afghani,
che amano riferirsi a fatti vec-
chi di secoli come se fossero ac-
caduti ieri. Parlano di Alessan-
dro, Gengiz e Babur come se fos-
sero vivi; e delle armate inglesi

dell’Ottocento o di quelle russe
del Novecento come se stessero
ancora ritirandosi da Kabul. Na-
turalmente hanno un fine preci-
so: quello di dimostrarti la loro
imbattibilità. Che poi è il moti-
vo per cui s’inorgogliscono da-
vanti al celebre dipinto vittoria-
no di Elizabeth Thompson,
«Remnants of an Army«, che in
questi giorni acquista davvero
un significato particolare poi-
ché è il ritratto dell’unico super-
stite tra i sedicimila inglesi che
nel 1842 provarono a ritirarsi
dall’Afghanistan verso l’India.
«Nothing is agreed until eve-
rything is agreed», (non vi è ac-
cordo su nulla finchè non vi è

accordo su tutto, ndr) ripete
rassicurante l’inviato america-
no Zalmay Khalizad, elencan-
do gli altri temi negoziali oltre
il ritiro: garanzie contro il terro-
rismo, cessate il fuoco e soluzio-
ne politica del conflitto. Eppu-
re la comunità internazionale
ha paura, e hanno paura spe-
cialmente gli afghani. Temono
che il calvario di questi anni
non sia servito a nulla, e che la
fretta di un Presidente che pen-
sa solo a smobilitare possa com-
promettere i passi in avanti
compiuti dal Paese in tema di
donne, istruzione, sanità, mi-
noranze: perché oggi, bisogna
dirlo, l'Afghanistan è un posto

migliore rispetto a quello degli
editti della «polizia religiosa» e
del famigerato dipartimento
per la promozione della virtù e
la prevenzione del vizio...
Così, mentre da Doha rim-
balzano voci su un accordo im-
minente, a Kabul regna l'incer-
tezza, e un po’ dappertutto si
continua a morire ammazzati.
È dunque urgente che il nego-
ziato vada a buon fine, speran-
do che non produca un accor-
do al ribasso. Ed è ancora più
urgente far decollare il dialogo
intra-afghano, magari con il
contributo europeo, poiché so-
lo un'intesa tra le tribù Pash-
tun, e poi tra Pashtun, Tagiki,
Hazara e Uzbechi potrà resti-
tuirci un Paese pacificato.
Sarà un processo complica-
to, in cui più che al power sha-
ring bisognerà pensare alle
persone. Per gli Afghani, che
amano i loro poeti, la pace na-
sce dall’oblio, è la negazione
della memoria. Nel senso che
solo dimenticando sangue,
torti e lutti ci si può riconcilia-
re dopo una guerra. Poi, a pa-
ce fatta, andrà recuperata la
memoria, perché di ogni espe-
rienza possa restare traccia
all'interno del cerchio del
Tempo. Ovviamente di tutto
questo a Doha non si parla,
perché per ora, al tavolo nego-
ziale, è tutto un ticchettio di
orologi.
*Inviato civile della Nato
in Afghanistan, 2008-2010 —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Stop alla jihad
In cambio del ritiro
delletruppe occidentali,
i taleban si impegnano
a non «esportare»
la jihad fuori
dai confini afghani

1 3

NEW YORK
La revoca delle statuto specia-
le del Kashmir decisa dall’In-
dia rischia di minare gli sforzi
degli Stati Unti di trovare un
accordo con i talebani per la
pacificazione dell’Afghani-
stan. È questo il timore che ser-
peggia in seno all’amministra-
zione Trump proprio quando
il negoziato di Doha, in Qatar,
tra l’inviato Usa Zalmay Khalil-
zad e gli emissari talebani, ha
raggiunto un punto di svolta: i
talebani si sarebbero in fatti
impegnati a tagliare i legami
con i gruppi jiadisti in cambio
del ritiro delle truppe Usa.
Così i funzionari di Washing-

ton si sono recati d’urgenza a
Islamabad e Nuova Delhi per
accertarsi che il quadro regio-
nale di sostegno all’accordo
non venisse meno.
Il Pakistan svolge del resto
un ruolo strategico imprescin-
dibile al buon esito dell’intesa,
e l’India uno di solido sostegno
esterno. In questo quadro si in-
serisce la visita a Washington
di luglio del primo ministro di
Islamabad, Imran Khan, e del
generale Qamara Bajwa, il po-
tente capo dell’esercito nazio-
nale. L’obiettivo era mettere a
punto una strategia volta a ot-
tenere il cessate il fuoco da par-
te dei taleban, la cui cabina di

regia si trova proprio in Paki-
stan. La visita della leadership
di Islamabad alla Casa Bianca
è stata però vista con forte di-
sappunto dal primo ministro
indiano Narendra Modi, che in
seguito alle pressioni del parti-
to di maggioranza, Bharatiya
Janata Party (Bjp), ha optato
per le maniere bellicose.
Da sempre il Bjp viene accu-
sato dal Pakistan di promuove
la superiorità della religione
Hindu e la pulizia etnica in
Kashmir, zona a maggioranza
musulmana e negli scontri di ie-
ri un giovane è morto annega-
to cadendo in un fiume per
sfuggire alla polizia. La mossa

di Nuova Delhi rischia così di
far franare l’impianto negozia-
le messo in piedi da Washing-
ton. Dall'annuncio della can-
cellazione dell'autonomia del-
lo Stato, l'intera valle è isolata
dal resto del Paese, con tutte le
comunicazioni sospese, tran-
ne quelle satellitari, mentre un
rigido coprifuoco paralizza da
tre giorni la vita quotidiana. Ol-
tre cento tra esponenti di diver-
si partiti politici e attivisti kash-
miri si trovano attualmente
agli arresti. Il Pakistan ha così
deciso di ridimensionare le re-
lazioni diplomatiche con l'In-
dia e sospendere quelle com-
merciali. È inoltre pronto ad

espellere l'inviato diplomatico
indiano nel Paese e richiamare
il suo ambasciatore a Delhi.
L’escalation delle tensioni
spinge inoltre Islamabad a fo-
calizzare l’attenzione delle pro-
prie forze armate sul confine
orientale, indebolendo la fron-
tiera con l’Afghanistan. Potreb-
be inoltre ripetersi una situa-
zione come quella degli anni
Novanta quando India e Paki-
stan fomentarono un conflitto
per procura in Afghanistan che
portò alla guerra civile. Oltre al
rischio di un «effetto contagio»
nel caso di una escalation belli-
ca tra le due potenze nucleari,
come è accaduto a febbraio

con rispettivi raid aerei e colpi
di artiglieria quotidiani nelle
zone di confine.
«È come se Trump avesse da-
to l’impressione di volere chiu-
dere un occhio su terrorismo e
contesa del Kashmir in cambio
di un aiuto da parte di Islama-
bad per tirare fuori gli Usa dal
pantano dell’Afghanistan»,
spiega al Wall Street Journal
C. Raja Mohan, direttore
dell’Institute of South Asian
Studies presso l’Università na-
zionale di Singapore. «E que-
sto - conclude - ha capovolto l’e-
quazione geostrategica regio-
nale». FRA. SEM. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Il Pakistan allontana l’ambasciatore indiano

Kashmir, gli Stati Uniti temono che la tensione tra i due Paesi metta in crisi i negoziati sull’Afghanistan


Le donne
Nelle delegazioni
presentianche le donne.
Tra le preoccupazioni il
futuro della condizione
femminile dopo il ritiro
degli occidentali

Settembre 2019
Gli Stati Uniti
vorrebberochiudere
le trattative entro
settembre a causa
della campagna per
le presidenziali 2020

4

Il ritiro
Iniziano i negoziati
aDoha tra Usa
e taleban per la pace in
Afghanistan. L’America
annuncia l’intenzione
di ridurre le truppe

2

2

CRISI IN ASIA

1

Gli accordi di Doha per porre fine al conflitto in Afghanistan dopo 18 anni

La diversa visione del tempo


tra l’America e i taleban


sulla via della pace a Kabul


L’ANALISI

AFP

AFP


  1. Un gruppo di taleban insieme a dei civili
    accanto a un blindato Humvee dell’Esercito
    nazionale afghano dopo la firma del cessate
    il fuoco nella provincia di Kandahar. 2. Truppe
    statunitensi davanti a un checkpoint
    dell'Esercito afgano nel distretto di Nerkh
    a ovest della capitale Kabul


I nodi sul tavolo

GIOVEDÌ 8 AGOSTO 2019LASTAMPA 11
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