La Stampa - 08.08.2019

(Barré) #1
.

ABRAHAM B. YEHOSHUA

C


ome ho già detto
nel mio ultimo ar-
ticolo nel corso
dei miei ottanta-
due anni, ho assi-
stito a molti even-
ti politici, tra cui aspri scon-
tri ideologici e manifesta-
zioni turbolente. Molti di
quegli scontri erano ovvia-
mente tra rappresentanti
della destra e della sinistra,
ma anche tra gruppi laici e
religiosi.
Ricordo che da ragazzo,
nel 1952, l’allora leader del-
la destra Menachem Begin
(divenuto in seguito primo
ministro di Israele) organiz-
zò una violenta manifesta-
zione a Gerusalemme con-
tro l’accordo per le riparazio-
ni di guerra firmato con la
Germania Ovest. Begin esor-
tò a ribellarsi all’accordo e i
suoi sostenitori lanciarono
pietre contro il parlamento,
ubicato all’epoca nel centro
di Gerusalemme.
Ricordo bene le manifesta-
zioni di destra e di sinistra

del 1974, dopo la guerra del-
lo Yom Kippur, che preten-
devano le dimissioni dell’al-
lora primo ministro Golda
Meir e del celeberrimo mini-
stro della Difesa Moshe Da-
yan dopo il fallimento
dell’Intelligence e la prova
di debolezza data dell’eserci-
to nei primi giorni dell’attac-
co egiziano e siriano. In se-
guito a quelle proteste i due
leader rassegnarono le di-
missioni nonostante il loro
partito, il partito laburista,
avesse vinto le elezioni po-
che settimane dopo la fine
della guerra.

Libano, 1982
Ricordo le manifestazioni e
l’enorme amarezza di molti
sostenitori della pace in se-
guito agli insuccessi della
guerra del Libano nel 1982,
soprattutto dopo la strage
perpetrata dai cristiani con
il tacito assenso degli israe-
liani nei campi profughi di
Sabra e Shatila. Durante
una di quelle dimostrazioni
l’attivista di sinistra Emil

Grünzweig rimase ucciso da
una granata lanciata da un
militante di destra. E in effet-
ti, in seguito a quelle conte-
stazioni, il primo ministro
Menachem Begin, divorato
dai sensi di colpa, rassegnò
le dimissioni e si rinchiuse
in casa fino alla morte.
E come non ricordare le
violente proteste e le sedizio-
ni della destra contro il go-
verno dopo gli accordi di
Oslo firmati nel 1993 alle
quali presero parte anche
Ariel Sharon e Benjamin Ne-
tanyahu, entrambi divenuti
in seguito primo ministro?
Quelle terribili incitazioni
ad opporsi agli accordi di
Oslo sfociarono nell’omici-
dio dell’allora capo del go-
verno Yitzhak Rabin.

Gaza, 2006
Ricordo bene anche le ma-
nifestazioni contro Ariel
Sharon, primo ministro di
Israele durante il ritiro e l’e-
vacuazione dei coloni dalla
Striscia di Gaza nel 2006.
Contestazioni della destra

nazionalista religiosa a de-
trimento di un primo mini-
stro che era stato lui stesso
un estremista di destra ma
che, con l’evacuazione degli
insediamenti, andava a col-
pire il Sancta Sanctorum dei
conservatori.
Questi e altri eventi, per
quanto dolorosi e violenti,
erano il risultato di prese di
posizioni ideologiche ed eti-
che. Gli schieramenti che si

fronteggiavano si esprime-
vano con toni forti ma nessu-
no metteva in dubbio che,
dietro l’estremismo, ci fos-
se una chiara posizione po-
litica che voleva, in base a
concezioni diverse, il bene
del paese e teneva conto
del suo futuro.
Nell’attuale realtà politi-

ca israeliana non c’è invece
alcun dibattito politico tra
opposti schieramenti. Le pa-
role sinistra e destra rimbal-
zano da tutte le parti vuote
di significato, utili solo co-
me arma per infangare gli
oppositori. Il termine «sini-
stra», in particolare, viene
costantemente utilizzato da-
gli attivisti di destra, special-
mente quelli religiosi, come
condanna automatica di chi
non appoggia il primo mini-
stro.

Nessuna soluzione
Il dibattito ideologico è da
tempo congelato e si è dissol-
to. Nel nuovo partito «Blu e
bianco», fondato prima delle
ultime elezioni, ci sono espo-
nenti indiscutibilmente di de-
stra, come l’ex ministro della
Difesa Moshe Ya’alon che ha
servito nell’esecutivo di Neta-
nyahu, ma niente serve a ri-
sparmiarli dell’appellativo
di «sinistroidi» con il quale i
sostenitori di Netanyahu li
bollano con profondo biasi-
mo e disprezzo.

Nell’Israele di oggi vi è
una paralisi ideologica per-
ché nessuno, di fatto, ha
una soluzione possibile al
problema principale: cerca-
re di raggiungere un accor-
do con l’Autorità palestine-
se. Tutta l’energia politica si
disperde perciò in piccole so-
luzioni localizzate, dirette a
cambiare il comportamento
di poliziotti e soldati o a fare
qualche concessione ai chec-
kpoint.
Fintanto che il dibattito
pubblico si è svolto in una
specie di palude ideologica

e di impasse politico si riusci-
va ancora mantenere un mi-
nimo senso di solidarietà,
malgrado il lento processo
di apartheid in atto nei terri-
tori e il crescente nazionali-
smo dei religiosi. Ma quan-
do sull’ordinamento istitu-
zionale si è abbattuta la ri-
chiesta di incriminazione di
Benjamin Netanyahu e il
suo astuto tentativo di elu-
dere un processo calpestan-
do le norme dell’attuale regi-
me legale e amministrativo,
si è scoperto che dietro un
leader di notevole abilità in

campo estero, attento a non
lanciarsi in avventure milita-
ri e politiche e che gestisce
con relativo successo l’eco-
nomia, c’è un uomo corrot-
to che un apparato legale
da lui stesso nominato vor-
rebbe portare a giudi-
zio.Per evitare la prospetti-
va di un processo Netanya-
hu, da leader politico, si è
trasformato in quello di
una setta che, mediante mi-
nacce e lusinghe, argina
l’opposizione dei suoi
membri mentre il sistema
politico si piega davanti a
lui per garantirgli un’even-
tuale immunità annullan-
do elezioni appena tenute,
disperdendo il parlamento
e indicendo nuove consul-
tazioni elettorali entro tre
mesi.

Solidarietà addio
Nemmeno i più anziani
ed esperti fra noi erano pron-
ti a questo scenario di corru-
zione e di aperto attacco po-
litico dei partiti di governo
allo stato di diritto per far sì
che il Primo Ministro non fi-
nisca in prigione. E tutto
questo con il sostegno di
una folla acclamante. Di
fronte a tale realtà provia-
mo un senso di disgusto e di
prostrazione. Non è più que-
stione di posizioni politiche
diverse e nemmeno di ten-
denziose panzane racconta-
te dal primo ministro e dai
suoi assistenti che si succe-
dono a ritmo incessante.
Questa è una chiara e spu-
dorata violazione dei valori
di solidarietà che erano alla
base della promessa sioni-
sta di riunire ebrei di diver-
sa provenienza e livello in
uno stato democratico.
Negli anni ’70 del secolo
scorso due ministri del go-
verno laburista furono so-
spettati di avere preso tan-
genti e ancora prima di esse-
re processati si suicidarono
per la vergogna. Il primo mi-

nistro israeliano Yitzhak Ra-
bin nel 1977 diede le dimis-
sioni perché accusato di
aver mantenuto un piccolo
conto corrente all’estero, co-
sa allora vietata ai cittadini
israeliani. Il presidente Mo-
she Katsav fu condannato a
sette anni di carcere da un
giudice distrettuale arabo
per aver sessualmente mole-
stato la sua segretaria. Il pri-
mo ministro Ehud Olmert fi-
nì in carcere per aver ricevu-
to finanziamenti illeciti per
la sua campagna elettorale.
Fino a ieri potevamo con-
solarci con il fatto che nella
palude politica israeliana ci
fossero ancora principi di
giustizia e di uguaglianza.
Ma ecco che ora il primo mi-
nistro calpesta spudorata-
mente la legge per salvare la
propria pelle e conduce il
paese a una nuova, aspra e
costosa campagna elettora-
le a poche settimane di di-
stanza dalla precedente. C’è
quindi da meravigliarsi che
persone come me, indipen-
dentemente dalla loro posi-
zione politica, provino un
senso di avvilimento e di pa-
ralisi? —
Traduzione di
Alessandra Shomroni
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

ANDREA COLOMBO


L

a sconvolgente bio-
grafia romanzata di
Fesch, uno degli ulti-
mi ghigliottinati di
Francia, inizia dal
tragico epilogo:
«Molte volte si era stretto al
suo abito bianco di figlio di san
Domenico, e gli dispiacque di
non poterlo fare anche in quel
momento perché i polsi erano
legati. Padre Devoyod gli si av-
vicinò fino a sussurrargli qual-
cosa sul volto, lo segnò, gli sor-
rise. Insieme salirono gli scali-
ni. Poi trascorse un secolo che
durò un minuto. Jacques fu
messo giù. L’anima gli fu pene-
trata da un lampo nel quale
passarono le mille verità della
sua vita. Poi il Magnifico Capi-
tano folgorò l’aria. Si udì un co-
mando. Immediato – un gri-
do: “Il Crocefisso! Il Crocefis-
so!” E davanti alle mani di pa-
dre Devoyod, che reggevano
la Croce, la lama della ghigliot-
tina precipitò con un tonfo pe-
sante». Erano le 5,30 del 1° ot-
tobre 1957 quando, nei tetri
corridoi della morte della pri-
gione parigina di La Santé, si
concludeva la vicenda terrena
di un giovane rampollo della
nobiltà francese, uno strava-
gante perdigiorno annoiato e
scentrato, sospeso tra maledi-
zione e santità.
Ora, alla giornalista e scrit-
trice Curzia Ferrari, la sua vita
viene raccontata in tutte le sue
contraddittorie sfaccettature
in un libro, I giorni di Jacques,
dal sottotitolo sconcertante:
«Un assassino candidato agli
altari» (Edizioni Ares). Sì, per-
ché la storia di Fesch, figlio de-
genere di un importante ban-
chiere, imparentato con cardi-
nali e Napoleone, finito in giri
di bordelli e cocainomani, arte-
fice di una maldestra rapina
che lo porterà ad ucciderà un
poliziotto, culmina in una cla-
morosa conversione in carce-
re, nella trasformazione della
sua cella in una cappella di pre-
ghiera. Tanto che, 30 anni do-

po, il cardinale di Parigi
Jean-Marie Lustiger, aprirà la
causa di beatificazione di que-
sto «buon ladrone» del ‘900 di-
ventato servo di Dio.
La Ferrari descrive magi-
stralmente il ménage famiglia-
re in cui cresce Jacques, domi-
nato dalla figura inquietante
del padre padrone: Georges
Fesch. Antisemita, cinico,
ateo, collaborazionista duran-
te la guerra, smisuratamente
egoista, questo ricchissimo
banchiere racchiudeva in sé
tutto il peggio dell’alta borghe-
sia finanziaria francese dell’e-
poca e rappresentava per Jac-

ques l’esempio negativo da ri-
gettare in ogni modo possibi-
le. Tanto che finirà per sposare
una ballerina ebrea, che non
verrà mai accettata dai genito-
ri. Quel matrimonio sarà desti-
nato al fallimento, un’unione
di mondi troppo lontani.
Lui d’altronde non era fatto
per la vita domestica, né per
gli incarichi d’ufficio che il pa-
dre gli affidava nella speranza
di poterlo un giorno vedere
ascendere nei gradini del suo
impero finanziario. Il giovane
Jacques aveva altri sogni, altri
progetti. Dopo aver visto una
tela di Gauguin, inizia a va-
gheggiare di un suo viaggio di
nozze in Polinesia. Circondato
dall’oro, anelava alle spiagge
primitive di selvaggi inconta-
minati, che non conoscevano
neanche l’uso della moneta. In
attesa di quel pellegrinaggio
impossibile, viaggiava tra i fu-
mi dell’alcol e gli stimoli della
cocaina, nei locali dove si
ascoltava musica jazz. Dopo
una breve parentesi come mili-
tare in Germania, Jacques tor-
nò sempre più inquieto in pa-
tria. Ebbe tempo di fare due fi-

gli, una con Pierrette e uno con
una ragazza che, sembra, ven-
ne violentata. Poi ci fu l’uccisio-
ne di un gendarme dopo il ten-
tativo di rapina ai danni di un
cambiavalute. Il papà banchie-
re non lo foraggiava più. E lui
aveva bisogno dell’argent per
comprare un veliero che gli
avrebbe permesso di raggiun-
gere l’arcipelago agognato
all’altro capo del mondo.
Un progetto delirante, fini-
to in manette, condannato da
un sistema che non perdona
l’uccisione di un poliziotto.
Rinchiuso in prigione il giova-
ne si trova ad avere delle stra-
ne visioni. Ora «Teresa d’Avila
siede sullo sgabello di fronte a
Jacques». La santa gli indica la
via, tra i tormenti della prigio-
nia. Adesso Jacques prega, leg-
ge la messa nella sua cella.
Adesso, a 27 anni, vive con
terrore la possibilità di essere
graziato: non vuole ripiomba-
re nel mondo a suo avviso stari-
pante d’odio e di soprusi. Scri-
ve nel suo Journal: «Io non
muoio, non faccio che cambia-
re vita». —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

ELZEVIRO

Un libro sulla vita di Jacques Fesch, giovane ricco e debosciato condannato a morte nel 1957

Uccise un poliziotto e in carcere si convertì tra penitenze e visioni. La causa di beatificazione procede

Il santo assassino di Parigi

ghigliottinato in grazia di Dio

ABRAHAM B. YEHOSHUA: PER SFUGGIRE ALLE ACCUSE DI CORRUZIONE, IL PREMIER HA PROVOCATO UNA PARALISI IDEOLOGICA


Israele, la politica non c’è più

Così Netanyahu ha svuotato

la contrapposizione destra-sinistra

Il capo del governo
sfida la legge

per salvare
la propria pelle

I duellanti

I

l primo capitolo di Il maestro del si-
lenzio (Rizzoli, pp 304, € 16,57) ci
conduce in un angolo misterioso
del Sahara. Il secondo capitolo ci
porta invece sull’autostrada Geno-
va – Ventimiglia, dove l’agente se-
greto Mimo assiste a un pauroso inci-
dente, in cui una Renault viene travol-
ta e prende fuoco: c’è più tensione lì
che nel deserto. Perché la Renault tra-
sportava dell’acqua ossigenata a 30 vo-
lumi, uno dei due componenti fonda-
mentali del Tcap, un esplosivo poten-
tissimo, prediletto dai terroristi islami-
ci per il basso costo e la facile realizza-
zione.
Proprio in quei giorni a Genova sta
per iniziare l’importantissima a Confe-
renza Internazionale del Mediterra-
neo. E a Mimo, che fa parte dell’Unità

Zero dei Servizi segreti italiani, giunge
il messaggio del suo uomo, infiltrato in
Al Qaeda, che lo informa del fatto che
una cellula sta progettando un attenta-
to devastante proprio alla Conferenza.
Il maestro del silenzio di Giulio Mas-
sobrio è probabilmente il primo vero
romanzo di spionaggio italiano. È un
fatto che mentre il giallo ha trovato in
Italia una schiera di scrittori di grande
e a volte di grandissimo successo, il ro-
manzo di spionaggio non ha invece tro-
vato i suoi autori. È un’assenza curio-
sa, che forse può essere spiegata dai so-
spetti che in passato hanno accompa-
gnato l’operato dei Servizi segreti ita-
liani. Quelli che conosciamo in questo
romanzo ispirano invece fiducia.
Ovviamente l’Unità Zero e i suoi
componenti sono frutto di fantasia.

Ma non lo sono le procedure messe in
atto, il lavoro di ricerca e di analisi dei
fenomeni terroristici, l’attività del nu-
cleo che si occupa del cyber-spionag-
gio, il modo «silenzioso» di operare di
agenti e funzionari. In questo roman-
zo il nemico è lo stesso che ha semina-
to morte e terrore in Francia, in Germa-
nia, in Belgio.
Non in Italia; ma anche perché i no-
stri Servizi, facendo tesoro dei lun-
ghi anni di lotta contro il terrorismo
nostrano e contro le mafie, hanno svi-
luppato una capacità di controllo
che altrove è mancata. Infatti l’Unità
zero, che pure subisce un colpo duris-
simo, riuscirà poi a spuntarla. Con
un gran sospiro di sollievo anche per
il lettore. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Non solo commissari, arriva la spia all’italiana

PAOLO BERTINETTI

LA STORIA

La ghigliottina in Francia

Jacques Fesch, , viene condotto nel 1954 dal giudice dopo essere stato arrestato per rapina e omicidio

L’energia politica
si disperde

in piccole soluzioni
localizzate

Una giovane ebrea
discute animatamente
con un soldato israeliano
a Hebron

Il leader dell’opposizione
Benny Gantz, 60 anni, ex ca-
po di stato maggiore dell’e-
sercito, è stato tra i fondato-
ri del nuovo partito «Blu e
bianco», conservatore-cen-
trista, che nelle recenti ele-
zioni di febbraio ha conteso
la vittoria elettorale a Neta-
nyahu. Di fatto, ha preso più
seggi ma ha perso il gioco
delle alleanze.

Il primo ministro
Benjamin Netanyahu, 69
anni, è alla guida del gover-
no israeliano dal 2009, un
incarico già ricoperto in
precedenza dal 1996 al


  1. È il primo ministro di
    Israele da più tempo in cari-
    ca. È anche presidente del
    Likud, il partito nazionali-
    sta che insieme ai laburisti
    ha fatto la storia del Paese.


26 LASTAMPAGIOVEDÌ 8 AGOSTO 2019
TMCULTURA
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