la Repubblica - 02.08.2019

(C. Jardin) #1
la nuova missione

Msf riparte


verso la Libia


“Siamo medici


salviamo vite”


di Alessandra Ziniti

Un altro soccorso, una seconda na-
ve umanitaria con migranti a bordo
che chiede un porto sicuro. Che l’Ita-
lia ovviamente non intende conce-
dere. Né alla Open Arms (il governo
spagnolo le ha vietato i soccorsi) che
ieri pomeriggio ha salvato 52 perso-
ne in un gommone in difficoltà in zo-
na Sar libica, né alla Alan Kurdi con
40 migranti tra cui due neonati e un

bimbo di tre anni con una ferita da
arma da fuoco ad una spalla, che da
ieri pendola a venti miglia da Lam-
pedusa. Divieto di ingresso in acque
italiane per entrambe.
Per la Alan Kurdi, della Ong tede-
sca Sea-eye, sarà particolarmente
complicato sfondare il muro italia-
no dopo il “ricatto” della Germania
a Matteo Salvini. Ma nella battaglia a
tutto campo che si gioca in Europa
sull’immigrazione c’è da aspettarsi
anche i colpi bassi. Come quello che
il governo di Berlino ha tirato all’Ita-
lia annunciando ieri che l’impegno
a prendere 30 dei 116 migranti sbar-
cati ad Augusta dalla nave Gregoret-
ti della Guardia costiera verrà man-
tenuto solo se Salvini farà approda-
re in un porto italiano la Alan Kurdi.

Il ministro, che aveva acconsentito
allo sbarco dalla Gregoretti solo do-
po aver avuto la disponibilità di cin-
que paesi europei e della Cei a farsi
carico di quei migranti, esplode: «Si
tratta di un vero e proprio ricatto.
Non accettiamo ordini e invasioni.
Stiamo giocando a rubamazzo? Se
entrano in acque italiane prendere-
mo possesso di quella imbarcazio-
ne. Basta, mi sono rotto le palle. Que-
ste navi saranno requisite e salire-
mo a bordo». Perché alla fine, Salvi-
ni ha capito che il braccio di ferro
per non far scendere i migranti in
Italia è sterile: questione di giorni e
scendono tutti. E allora, alla vigilia
della nuova missione della Ocean Vi-
king di Msf e Sos Méditerranée, la
strategia del Viminale è aspettare

pazientemente che, una a una, le na-
vi umanitarie nel Mediterraneo fini-
scano nella trappola delle acque ter-
ritoriali italiane e vengano seque-
strate, come la Mare Jonio e la Alex
di Mediterranea e la Sea-watch 3.
Intanto tocca alla Alan Kurdi e al-
la Open Arms. «Non vogliamo entra-
re in conflitto con il governo italia-
no. Rispetteremo il decreto di divie-
to di ingresso nelle acque italiane
ma non riporteremo le persone in Li-
bia, un Paese in guerra e non certo
un porto sicuro. Facciamo appello
all’Europa perché si trovi al più pre-
sto una soluzione», dice Gordon
Isler, portavoce della Sea-eye. Ma di
certo, la sortita del governo tedesco
non aiuta e quello spagnolo difficil-
mente si muoverà per la Open Arms.

dal nostro inviato
Paolo Griseri

marsiglia — Alessandro, qual è il
tuo sogno più grande? «Spero, un
giorno, di diventare inutile». I tec-
nici della società portuale riempio-
no le grandi taniche dell’acqua,
qualcuno finisce una saldatura, al-
tri si rifugiano all’ombra. Il molo
dell’ingresso 2C del porto di Marsi-
glia è una landa assolata e deserta.
Le grandi navi da crociera attracca-
no in lontananza. Quanti passegge-
ri di quei palazzi galleggianti, una
volta tornati in Italia, vi malediran-
no per il lavoro che state facendo?
“Pagati da Soros”, “vivete di busi-
ness”, “guadagnate sui migranti”,
ecc. Nessuno risponde direttamen-
te. I 31 imbarcati sulla Ocean Vi-
king, nave di salvataggio affittata
da “Medecins sans Frontieres” e
“Sos Méditerranée” che da oggi na-
viga verso la costa libica, sono gen-
te seria. «Io faccio il medico. Lo fac-
cio su questa nave come l’ho fatto
in Africa, come lo farei in Italia. Io
devo salvare vite umane o almeno
provarci. Il resto, le polemiche, la
politica non mi interessano», dice
Luca Pigozzi, trentenne torinese.
Nelle sue parole riecheggia la di-
chiarazione dei prigionieri politici
di un tempo: «Sono un medico,
non ho altro da dichiarare». A que-
sto siamo: partire da un molo per
salvare vite umane è diventata
una cosa da non far sapere troppo
in giro, quasi un’attività di cui ver-
gognarsi. La nave dovrebbe salpa-

re in giornata dopo tre mesi di pre-
parazione, di studio minuzioso del-
le possibili situazioni di emergen-
za, di analisi delle precedenti espe-
rienze per evitare di commettere
gli stessi errori. «Per esempio — di-
ce Avra Filos, la ragazza italo-ci-
priota che si occupa della comuni-
cazione — avere una sala di coman-
do che ci consente di osservare a
360 gradi è molto meglio rispetto
all’Aquarius, la nostra precedente
esperienza che quella possibilità
non l’aveva».
Sulla Ocean Viking il capitano è
un signore norvegese perché la na-
ve è affittata da una società di Ber-
gen. Sarà comunque difficile per
Salvini e Toninelli invitarlo a porta-
re i naufraghi dalla Libia a Oslo.
Ma la questione di dove finiranno i
disperati salvati non è affatto se-
condaria: «Noi rispettiamo la leg-
ge del mare come abbiamo sem-
pre fatto. Li porteremo nel porto si-
curo più vicino. E comunque non
saremo noi a decidere ma il centro
di coordinamento dei soccorsi».
Perché, fanno osservare sulla
Ocean Viking, il problema princi-
pale non è dove portarli, ma come
salvarli. Alessandro Porro è alla
quinta missione. «Il momento più
brutto? Il 27 gennaio dello scorso

anno. Ricordo la data perché era il
giorno dopo il mio compleanno. Il
barcone stava affondando. La gen-
te era stremata, cadeva in acqua
senza rendersene conto. Erano in
9 vicini all’arresto cardiaco. Siamo
riusciti a salvarne solo sei». C’è da
chiedersi perché anni fa gli euro-
pei pagavano il biglietto del cine-
ma per piangere di fronte alla sce-
na finale di Titanic e rimangono or-
mai indifferenti di fronte a questi
racconti.
Il punto più importante della
Ocean Viking è uno sportello blu
che si apre sulla fiancata: «Quando
li scarichiamo dai gommoni li tiria-

mo a bordo da qui. Dieci metri do-
po, sul ponte, c’è il punto del tria-
ge. Braccialetti di colori diversi
per i minori di 15 anni, di 17, per chi
si trova in condizioni critiche dal
punto di vista sanitario. C’è un co-
lore, il verde, solo per chi ha la
scabbia». Ciò che spiega bene in
quali condizioni i naufraghi han-
no vissuto prima di imbarcarsi.
Nei container caricati sul ponte c’è
un ospedale e c’è anche una sala
parto: «Sull’Aquarius sono nati sei
bambini», ricorda Avra. L’ultimo
container in fondo al ponte, al con-
trario, è refrigerato. In mezzo al
mare la vita e la morte si inseguo-
no sempre. Tutto è pronto. Anche i
ricordi. Nel container destinato al-
le donne e ai loro figli ci sono i dise-
gni fatti dai bambini dell’Aqua-
rius.
La nave, 69 metri di lunghezza,
posto e cibo per 200 migranti, par-
te oggi da Marsiglia. Tra qualche
giorno entrerà probabilmente nei
titoli dei tg e nelle dichiarazioni di
grillini e leghisti ansiosi di farsi un
po’ di pubblicità sulla pelle dei di-
sperati. Non lo sentite il clima pe-
sante che c’è in Italia nei vostri con-
fronti? Luca ripete la sua risposta:
«Sono un medico e provo a salvare
vite». Tutto il resto rimane a terra.

CLEMENT MAHOUDEAU/AFP

CLEMENT MAHOUDEAU/AFP

La Open Arms soccorre


52 persone. Salvini sul


caso Alan Kurdi: “È un


ricatto tedesco, basta”


migranti

Il ritorno delle Ong nel Mediterraneo


E il vicepremier attacca la Germania


iI preparativi
A destra, le dotazioni
di sicurezza vengono
caricate sulla Ocean Viking,
la nave di Sos
Méditerranée e Msf che
salpa oggi da Marsiglia

kBenvenuti a bordo
I cartelli sistemati sulla nave augurano
il benvuto ai migrati che saranno
salvati. Sotto, la nave sul molo

CLEMENT MAHOUDEAU/AFP

kSul ponte
I migranti soccorsi riposano sulla
Alan Kurdi. A bordo anche tre bimbi

La Ocean Viking,


affittata con Sos


Méditerranée, salpa


oggi da Marsiglia


“È il nostro lavoro,


alle polemiche


non pensiamo”


. Venerdì, 2 agosto 2019 Politica pagina^13

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