la Repubblica - 02.08.2019

(C. Jardin) #1
mostra del cinema

Rosi, mio padre

A Venezia arriva il doc firmato dalla figlia del regista Carolina con Didi Gnocchi


“Non ha fatto in tempo a vederlo ma voleva che fosse portato nelle scuole”


Spettacoli

di Natalia Aspesi

Eravamo allora cittadini o erava-
mo già ritornati sudditi? Crede-
vamo di essere finalmente liberi
invece eravamo di nuovo in trap-
pola? Se lo chiede il documenta-
rio che col titolo Citizen Rosi ci ri-
porta al cinema di Francesco Ro-
si e al suo lungo racconto dell’o-
paca storia italiana, invitato fuo-
ri concorso alla 76esima Mostra
di Venezia: pensato, scritto, sce-
neggiato (con Anna Migotto), di-
retto, prodotto e finanziato da
due belle cinquantenni decise a
evocare quel tempo di coraggio
e speranza, il tempo della loro
infanzia e dell’impegno demo-
cratico dei loro padri: indignate
dal presente, agguerrite sul futu-
ro. La regista Didi Gnocchi e l’at-
trice Carolina Rosi, anche voce
narrante, attraverso il ricordo di
Francesco Rosi (novembre 1921
— gennaio 2015) e della sua pas-
sione di artista, intellettuale e
appunto, come lui diceva, di cit-
tadino, ricostruiscono la nostra
eterna, buia storia, un destino
che pare immutabile, la nostra
scarsa attitudine a diventare Sta-
to, ad essere un paese normale:
né allora né oggi.
Carolina Rosi «Abbiamo co-
minciato a parlare di questo do-
cumentario nel 2013, mio padre
era molto diffidente, temeva
l’autocelebrazione. Era molto
sconfortato per il degenerare
del paese, voleva impegnarsi
contro questa deriva, si chiede-
va a cosa erano serviti l’entusia-
smo, il coraggio, la resistenza
del passato».
Didi Gnocchi «Carolina si era
servita di una camerina casalin-
ga per registrare le conversazio-
ni con suo padre sul loro vec-
chio divano, battibecchi con cui
lei teneva in vita Franco condivi-
dendo la stessa indignazione e
passione. Mi piacevano i piccoli
momenti d’amore del passato
tra una figliolina di 3-4 anni ab-
barbicata al padre e un padre
che le spiega il suo lavoro e le
sue idee. Lui non ha fatto in tem-
po a vedere il film, però alla fine
si fidava e ci aveva raccomanda-
to di mostrarlo nelle scuole, ai
giovani, perché si rendessero
conto della necessità dell’impe-
gno civile. Lo distribuisce Istitu-
to Luce — Cinecittà, sarà tra-
smesso da Sky Arte, dalla Rai si-
lenzio»
D.G. «Rosi impiegava anni a
documentarsi, e per Lucky Lu-

ciano aveva incontrato a New
York Charles Siracusa, a capo
del Narcotic Bureau, e lo aveva
convinto a interpretare se stes-
so. Il fascinoso criminale dal
chiuso dialetto siciliano non po-
teva essere che Gian Maria Vo-
lontè, allora la faccia e la voce
del nostro grande cinema. An-
che in Mani sulla città appare un
personaggio vero, Carlo Ferma-
riello, allora consigliere comu-
nale di Napoli del PCI che col no-
me di De Vita si scaglia contro il
palazzinaro Rod Steiger. Il film
è del 1963, in bianco e nero,
sull’ennesima tragedia italiana,
quella dell’abusivismo edilizio
legato alla corruzione politica,
che continua da 60 anni a semi-
nare distruzioni e stragi. È tutto-
ra impressionante la sequenza,
vera, del palazzo che si sbricio-
la».
C.R. «A Cannes nel 1972 Il caso
Mattei vinse la Palma d’Oro, ex
aequo con La classe operaia va
in paradiso di un altro grande re-
gista italiano, Elio Petri, susci-
tando una serie di polemiche
non solo politiche. A Venezia
nerl 1963 Le mani sulla città vin-
se il Leone d’Oro ma quella sera
fu violentemente fischiato. Cin-
que anni prima sempre a Vene-

zia, La sfida aveva vinto il Pre-
mio speciale della giuria. Nel
2012 hanno consegnato a Fran-
co il Leone d’Oro alla carriera,
forse un po’ in ritardo: aveva 90
anni, si muoveva col bastone, la
testa piena di storie che nessu-
no gli consentiva di realizzare e
quindi era molto infelice. Dimen-
ticare Palermo sosteneva la ne-
cessità di legalizzare le droghe
per sconfiggere l’immenso pote-
re della mafia, e Craxi proibì
all’Avanti di recensirlo. Il diret-
tore della Mostra del 1963, Luigi
Chiarini, aveva rifiutato Salvato-
re Giuliano definendolo un do-
cumentario, il che non era».
D.G. «Il film in bianco e nero

del ‘62 sulla drammatica condi-
zione della Sicilia, partendo dal-
la strage di Portella della Gine-
stra, quando una folla di conta-
dini riunita per festeggiare il 1
maggio del ‘47 fu decimata dai
banditi prezzolati. Abbiamo in-
serito i filmati di Rosi che si sta-
bilisce a Montelepre per ottene-
re la fiducia di quella povera
gente chiusa in un mondo arcai-
co, sottomessa e senza speranza
e per vedere il cortile di Castel-
vetrano dove fu fatto ritrovare il
corpo del bandito Giuliano am-
mazzato a 30 anni. Fu quella la
prima vera strage di Stato dice il
film, la mafia al servizio del pote-
re economico e politico e vice-
versa».
C.R. «Franco era affascinato
dalla morte di Enrico Mattei,
presidente dell’ENI, precipitato
con l’aereo a pochi minuti
dall’atterraggio, assieme al pilo-
ta e a un giornalista americano.
L’inchiesta decise per il guasto
tecnico, mio padre era sicuro
che fosse un attentato, come an-
ni dopo fu accertato. Anche que-
sta volta mafia, servizi stranieri
e non solo, insieme per elimina-
re un industriale che immagina-
va l’indipendenza petrolifera
dell’Italia. È forse l’interpreta-

Figlia d’arte
Classe 1965, si è
diplomata
all’Accademia
nazionale
Silvio D’Amico

Regista
Giornalista e
documentarista,
58 anni, Didi
Gnocchi ha vinto
il Premiolino 2013

kRod Steiger in Le mani sulla città diretto da Rosi nel 1963


La storia dell’Italia


attraverso le opere


del maestro


Da “Salvatore Giuliano”


a “Le mani sulla città”


il ritratto


di un paese


che non è


mai cambiato


pagina. 40 Venerdì, 2 agosto 2019

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