Libero - 02.08.2019

(Romina) #1
Inviateci una lettera per i vostri nonni: pubblicheremo
le migliori. Scriveteci all’indirizzo:
[email protected]

Il racconto


Isuoicapellibianchi


elastoriadellaneve


Colto e premuroso fino a viziarmi


LA MIA ENCICL0PEDIA VIVENTE


Gilberto diresse due periodici e dopo un viaggio a Massaua scrisse articoli


sulle steli di Axum, una delle quali, dieci anni più tardi fu portata a Roma


BRUNO BONACCI


■Sono nato nel 1936, mio pa-
dre era figlio e nipote unico, co-
sì ho praticamente preso il suo
posto di viziato, aggravandolo,
nella famiglia. Alla nascita fui
portato a casa dei nonni pater-
ni e ricordo con piacere la loro
camera da letto con le pareti
tappezzate da decine di ingran-
dimenti delle mie fotografie,
appena nato, a dieci giorni, un
mese, sei mesi, un anno e così
di seguito. Ovviamente ogni
mio desiderio era un ordine e
venni straviziato da mio padre
che era un grande appassiona-
to di motori ed automobili. Si
era arruolato volontario
nell’Aviazione per imparare a
guidare anche gli aerei ottenen-
do il brevetto di pilota, anche
militare, su tutti gli aerei dispo-
nibili. Per le feste o vacanze mi
portavano a Cortona, paesino
della Toscana, dove era nato
nonno Gilberto e dove abitava-
no i suoi fratelli, due maschi e
due femmine che non si erano
sposati. Per consuetudine loca-
le i regali vengono distribuiti
da Babbo Natale, a Roma alla
Befana, ed io ovviamente non
potevo essere assente.
Se per qualche motivo i non-
ni non venivano, ero inseguito
quasi giornalmente da cartoli-
ne spedite da Roma con poesie
a me dedicate che venivano let-
te da mamma. Erano scritte da
nonno che a Napoli frequentò
il liceo e qui, nella sua giovinez-
za, fu fortemente attratto dagli
studi. Di questo periodo a Na-
poli fanno ricordare gli scritti
sul Bovio, sulla tomba di Leo-
pardi, sulla scoperta di Ercola-
no. Visse poi quasi sempre a
Roma, tranne una parentesi a
Pisa dove fu chiamato a dirige-
re due periodici ed un viaggio
di sei mesi a Massaua che lo
interessò molto e lo indusse a
scrivere alcuni articoli uno dei
quali tratta di una visita ad
Axum, dove trovò le famose ste-
li una delle quali, una decina
di anni dopo, fu portata a Ro-
ma. Conosceva le cinque lin-
gue romanze, le anglosassoni
inglese e tedesco, il latino e gre-
co moderno ed antico e l’ara-
maico. Ebbe anche l’incarico
di direttore responsabile delle
pubblicazioni dell’Accademia
Etrusca di Cortona seguendo il
loro Annuario Generale e la ri-
vista culturale Polimnia.


DALLE SUORE

Lui e nonna Nella mi inse-
gnavano a leggere e scrivere
ben attenti ai miei desideri. Per
la primina venni iscritto dalle
suore, ma ero sempre il solito,
viziato e maleducato, litigavo
con tutti e le liti finivano a bot-
te. Un giorno suonava la cam-
panella, normalmente veniva
mamma, all’improvviso mi ri-
cordai che sarebbe venuta non-
na. Fu un incubo, che ancora
ho perfettamente presente, mi
misi bene a posto il grembiule
nero mi aggiustai il fiocco blu,
anche lui sporco di sangue
uscito dal naso, e sorridente,


accompagnato dalla suora an-
dai dalla nonna. Quando mi vi-
de, divenne un lanciafiamme,
se la prese con la scuola, la suo-
ra, tutti i cattivi che seviziavano
i bambini e, per farla breve, la
prova scolastica fini lì. Pratica-
mente, poi, fini lì anche tutta la

mia scuola Era scoppiata la
guerra, mio padre era alla GIL,
aveva conosciuto la Medaglia
D’Oro Barracu che per un inca-
rico ricevuto gli aveva chiesto
di fare parte del gruppo che sta-
va organizzando e ci andò. Do-
po l’otto settembre, Barracu

nominato Ministro Sottosegre-
tario alla Presidenza della Re-
pubblica della RSI aveva chie-
sto a mio padre di fare ancora
parte del suo gruppo. Eravamo
quindi andati sul lago di Garda
a Bogliaco dove c’era il Ministe-
ro. A Bogliaco feci la prima,la

seconda e terza elementare. Ci
andavo da solo, era in una villa
non distante ma spesso chiusa
a causa delle sirene di allarme
per qualche caccia che spesso
girava sulle nostre teste.
Dopo la fine della guerra, a
Brescia feci mezza quarta e

quinta, me la cavai abbastanza
bene, sapevo leggere e scrive-
re, mi aiutò il fatto che parlavo
italiano mentre i miei compa-
gni conoscevano bene solo il
dialetto.

LA SCUOLA

L’anno successivo ci fu il di-
luvio universale, alle medie
scoprii cosa significava andare
a scuola. C’ erano quattro o cin-
que insegnanti, uno ogni ora,
non riuscivo a seguire quello
che dicevano ed i compiti a ca-
sa. Fui ovviamente bocciato e
ripetei la prima come esterno
in un collegio dei Gesuiti dove
iniziai la seconda per essere ri-
bocciato. A questo punto, non-
no e nonna, felici, suggerirono
che l’unica cosa da fare era di
togliermi da tutte le cose, parec-
chie, che mi distraevano, che
dovevo andare da loro, mi
avrebbero preparato, iscritto al-
la seconda media, a marzo mi
sarei dimesso e presentato pri-
vatista all’esame di terza me-
dia. Accettai a condizione che
sarei stato con loro solo per il
periodo scalastico. Andò bene.
Iniziai, da solo, a prendere il
treno la mattina presto a Bre-
scia, a Milano cambiavo, cerca-
vo il marciapiede del treno per
Roma e arrivavo dopo una eter-
nità. Questo quando iniziava la
scuola e quando rientravo per
le vacanze, anche brevi, facen-
do su e giù. Mio nonno prese la
cosa seriamente cercava di atti-
rare la mia attenzione interval-
lando le regole della grammati-
ca, italiano e latino, il rosa-ro-
sae, le declinazioni ed il far di
conto, con le curiosità che gra-
divo anche per interrompere
tutto il resto. Partiva da Santip-
pe la strana moglie di Socrate,
Diogene con la sua vita in bot-
te. Raccontava della sua amici-
zia e frequentazione con il coe-
taneo, anche lui cortonese, Gi-
no Severini. Illustrava le storie
dei i nostri antenati fiorentini,
Petra che aveva sposato Fran-
cesco, il fratello di Dante, la
Brunacci nonna di Michelan-
gelo Buonarroti, di suo zio Gae-
tano pittore, professore a Pisa
ed affrescatore di chiese e basi-
liche e di tutti gli altri elencati
in un volumetto che mi faceva
vedere, scritto e stampato nel


  1. In ogni caso riuscì a far-
    mi comprendere che dovevo
    necessariamente imparare a fa-
    re qualche cosa. Mi iscrissi e
    presi il diploma commerciale,
    continuando così a fare felici
    anche le Ferrovie dello Stato
    rientrando poi, alla fine, a Bre-
    scia dove dovevo occuparmi
    delle corse in Vespa, del cator-
    cio che papà aveva comprato
    con un amico per fare la Mille
    Miglia e di tante altre cose che
    mi interessavano di più.
    Con il tempo, solo dopo, mi
    sono reso conto di quanto io
    abbia perduto, ovviamente so-
    lo per colpa mia, non ferman-
    domi a sentire e cercare di ap-
    prendere tutto ciò che solo lui
    avrebbe potuto farmi capire ed
    apprezzare.
    ©RIPRODUZIONE RISERVATA


CariNonniviscrivo


L’archeologo Ugo Monneret de Villard insieme ad alcuni militari italiani ad Axum per trasportare in Italia la stele (1935-1936).(Getty Images)

PATRIZIO PESCE


■Questa è una delle storie che il non-
no raccontava al nipote d'inverno, quan-
do faceva freddo ed entrambi sedevano
davanti al camino acceso. Il bambino lo
sapeva che le storie erano inventate, ma
gli piaceva lo stesso starle ad ascoltare,
chissà, forse proprio per questo. Quando
il nipote chiedeva al nonno: «Perché hai
i capelli bianchi?», il nonno rideva. E tra
le storie che gli raccontava per risponde-
re a questa domanda, la preferita del
bambino era proprio questa, quella del-
la neve: è una storia che comincia quan-
do il nonno era piccolo, un bambino an-
che lui.
Insomma il nonno, da bambino, abita-
va in una casa al primo piano e dalla sua
camera si affacciava tutti i giorni alla fine-
stra che dava sulla strada. Da lì passava
sempre una bambina in bicicletta, che lo
guardava arrossendo. Tutti i giorni, che

fosse primavera, estate, autunno o inver-
no. E sempre portava con sé un cestino
con dentro il pane, perché quella bambi-
na era la figlia del fornaio, mentre il bam-
bino affacciato alla finestra era figlio di
un generale che gli impediva di uscire di
casa. Per questo il bambino guardava
dalla finestra e salutava la bambina con
la mano. Fino al giorno in cui, superati i
dieci anni, il bambino prese coraggio e
scese di corsa le scale per raggiungere la
bambina e salutarla finalmente con la
voce. Ma il padre si arrabbiò e mise il
bambino in punizione: il generale, infat-
ti, era del parere che suo figlio non doves-
se fare amicizia con la figlia di un forna-
io. Così il bambino restò un anno in puni-
zione, a guardare fuori dalla finestra del-
la sua camera al primo piano. Poi, un
giorno in cui nevicava e suo padre dormi-
va in poltrona, il figlio del generale deci-
se di disobbedire e scese a salutare la
bambina che passava con il suo cestino

del pane. Era emozionato, il bambino, e
anche la bambina lo era. Dopo essersi
salutati non sapevano che altro dirsi e,
per smorzare la tensione, cominciarono
a ridere. Mentre ridevano, la neve conti-
nuava a scendere, così loro diventarono
bianchi dalla testa ai piedi. Fu a quel pun-
to che il bambino le fece una promessa.
Questa promessa è la spiegazione del
perché il nonno ha i capelli bianchi...
Le storie che raccontano i nonni sono
sempre magiche. Così, dall'inverno in
cui nonno e nipote siedono a riscaldarsi
davanti al fuoco, veniamo proiettati
nell'inverno in cui il nonno, da bambi-
no, ha finalmente conosciuto la bambi-
na che vedeva passare sempre sotto la
sua finestra: la bambina sporca di farina
con cui gli era proibito parlare. Ma la
neve copre tutto e maschera anche lui di
bianco, accorciando anche metaforica-
mente le distanze.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

19
venerdì
2 agosto
2019
Free download pdf