National Geographic Italy - 08.2019

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distrutta dalla guerra per lavorare nella Germa-
nia e nel Belgio già in rapida crescita.
Paradossalmente, i lussi migratori vecchi e
nuovi spesso condividono le stesse destinazioni:
la tedesca Wolfsburg ospita la più grande fab-
brica del gruppo Volkswagen, che negli ultimi
dieci anni ha visto una rapida impennata nel
numero di domande di lavoro da parte di operai
e meccanici italiani, molti dei quali sono poi stati
assunti e tuttora vivono e lavorano lì. Non è una
novità né per Wolfsburg, né per la Volkswagen: la
fabbrica è stata costruita proprio dai nostri con-
nazionali negli anni Trenta e nel 1961 la direzione
dell’azienda rispose alla crescente domanda di
operai assumendo decine di migliaia di italiani,
molti dei quali compongono quella che adesso
è la più grande comunità italiana in Germania.
Nei campi della Lupo Martini, la storica società
calcistica fondata dai primi operai arrivati ne-
gli anni Sessanta, giocano adesso i figli di tre
diferenti generazioni di migranti, e a vecchi e
nuovi italiani si sono aggiunti i greci, i turchi e i
nordafricani arrivati nei decenni successivi alla
nostra prima ondata migratoria.
Gli incroci tra etnie e culture, d’altra parte,
sono trasversali tanto alla vecchia quanto alla
nuova mobilità, e forse raccontano l’anima più
complessa e profonda della migrazione attuale.
Lo si vede bene a Molenbeek, il quartiere di
Bruxelles diventato tristemente noto per il nu-
mero di foreign fighters che da lì sono partiti per
combattere con l’Isis in Siria e in Iraq. Fino ai
primi anni Ottanta, quello che adesso è un quar-
tiere abitato soprattutto da nordafricani è stato
uno dei ghetti popolati dagli italiani in cerca di
lavoro nelle industrie della periferia di Bruxelles.
Nel primo decennio del Duemila diversi ita-
liani sono tornati lì, in Belgio, dopo la crisi, at-
tratti tanto dagli affitti nettamente più bassi
rispetto al resto della città che dalla vita di un
sobborgo molto più interessante e meno perico-
loso di quanto si racconti. Tra questi c’è Annalisa
Gadaleta, che da semplice abitante di Molenbeek
è diventata assessore alla Cultura, ma anche Raja


Abderrahim e sua sorella Asma; il loro padre,
Abderrahamane, è originario del Marocco e fa
parte di quelle migliaia di “nuovi italiani” che,
arrivati negli anni Ottanta e Novanta in Italia dal
Nord Africa, dall’Albania, dal Bangladesh, dal
Pakistan e dall’Europa dell’Est, dal 2010 si sono
uniti ai lussi in uscita dal paese per scappare
dalla crisi che ha colpito loro più di molti altri.
Se il padre mantiene ancora molto delle sue
origini marocchine, Raja e Asma sono nate e
cresciute in Italia, parlano con accento berga-
masco e hanno ambizioni analoghe a quelle dei
loro coetanei che, da Milano o Roma, sono andati
a vivere a Berlino o a Londra. Entrambe univer-
sitarie, Raja studia per lavorare nelle istituzioni
europee, Asma invece nel cinema. Nel terrazzo
della loro casa di Molenbeek le si può sentire
mentre si scambiano gossip sui loro amici rima-
sti a Bergamo o mentre si raccontano la giornata
che hanno passato in università.

LE STORIE come quella della famiglia Abder-
rahim sono poco conosciute ma non sono rare;
se ne possono trovare a migliaia tra Belgio,
Regno Unito, Germania o Francia. In questa
sovrapposizione di passato e presente, di mi-
grazioni verso e dal nostro paese, rappresen-
tano forse al meglio questa nuova mobilità
dalle molte sfaccettature, spesso sconosciute
ai più. Una migrazione che, nell’unire operai e
ricercatori, ragazzi in partenza per scelta e per
necessità, expat e migranti, racconta a sua volta
il volto di un’Italia radicalmente cambiata negli
ultimi decenni sotto alcuni aspetti, ma rimasta
immutata in tanti altri. j

Migliaia di “nuovi italiani” arrivati negli anni Ottanta e Novanta
da Nord Africa, Albania, Bangladesh, Pakistan ed Europa dell’Est
si sono uniti ai flussi in uscita dal paese per scappare dalla crisi.

PIATRA NEAMT, ROMANIA


Interno dello stabilimento tessile Rifil di Piatra Neamt. Nel
1 973 la Rifil di Quaregna (BI) fu la prima azienda occidentale
ad aprire una fabbrica in un paese del blocco sovietico.
CAPO RODONI, ALBANIA
Irene Tosti, imprenditrice romana (prima da destra), ha
fondato nel 2010 l’azienda agricola biologica albanese
Naturalba, specializzata in erbe mediche e cosmetiche.

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