National Geographic Italy - 08.2019

(nextflipdebug5) #1
città - hanno coinvolto 139 milioni di indiani. In
Cina i dati parlano di quasi 250 milioni di persone.
In Brasile, Indonesia, Nigeria, Messico e in altri
luoghi la situazione è simile. Tre quarti degli es-
seri umani del nostro pianeta si spostano all’in-
terno dei loro stessi paesi. Nascono nuove classi
medie. Le vecchie dinastie politiche vacillano. Le
megacittà sono sul punto di esplodere, e implo-
dere. Innovazioni strabilianti si scontrano con
fallimenti colossali. Interi sistemi di conoscenza
(l’agricoltura tradizionale), formatisi nel corso di
millenni, vengono abbandonati. L’urbanizzazione
sta mandando in frantumi antiche convenzioni
sociali e religiose. Niente può contrastare la forza
senza precedenti di questo anelito. In confronto,
l’isteria del nord del mondo per le migrazioni in-
ternazionali appare quasi ridicola.
Camminando in India mi sono unito ai fiumi
di persone che attraversano le strade del paese.
Le ho viste accalcarsi alle fermate degli autobus.
Ammassate sopra i treni. Gente povera che lavora
sodo, spostandosi di continuo. È arrivato il mo-
mento che il mondo impari a sfruttare al meglio
la straordinaria energia che anima questa aspi-
razione di massa.
La migrante che sta cambiando il destino della
nostra specie in questo secolo mi ha visto da lon-
tano. Non aveva neanche 18 anni. Eravamo in un
villaggio del Bihar, uno degli Stati più poveri
dell’India, in cui le mucche circolavano libere.
Ero diretto in Myanmar. La ragazza si è avvici-
nata e mi ha stretto audacemente la mano.
«Questo posto è molto, molto noioso», mi di-
ceva già dopo un minuto. «Anche i professori
sono noiosi. Che devo fare?».
Mi sono messo a ridere.
La ragazza aveva occhi ambiziosi e intelligenti.
Presto si sarebbe ritrovata a farsi largo a spallate
tra la folla di una delle città in metastasi dell’In-
dia, mettendosi alla prova in mezzo a centinaia
di milioni di altri nuovi cittadini. Nessun muro
può essere abbastanza alto da fermarla.
Dove finirà? E noi? Nessuno lo sa. La cosa im-
portante è continuare a camminare lungo la
strada che condividiamo. E non aver paura. La
strada davanti a noi potrebbe essere in salita. Io
vi consiglio di fare i compiti a casa. Quella ra-
gazza aveva scarpe resistenti. j

Casa.
Non sempre puoi scegliere le scarpe con cui
affrontare un lungo cammino.
I profughi e i migranti del mondo non vogliono
la nostra pietà. Chiedono la nostra attenzione.
Compativano me, invece, perché continuavo a
camminare.


«FACCIAMO PRATICA d’inglese?», mi chiedevano
i ragazzi e le ragazze del Punjab. L’anno scorso.
Chilometro 11 mila del mio lento viaggio. Le co-
centi strade rurali del granaio dell’India.
Cinque, dieci, venti ragazzi per volta uscivano
dalle loro case e correvano per raggiungermi. Su-
dando, ansimando, inabituati all’esercizio fisico,
snocciolavano elementi di grammatica e vocaboli
inglesi per qualche centinaio di metri prima di
fermarsi. Studiavano per superare gli esami
dell’International English Language Testing Sy-
stem e avevano bisogno di un buon punteggio per
ottenere il visto per la Nuova Zelanda, l’Australia,
il Regno Unito, il Canada e gli Stati Uniti. Non c’era
niente di spensierato in quelle domande antiche
come l’Età della pietra (Chi sei? Da dove vieni?
Dove vai? ); erano i loro compiti a casa.
A Faridkot, città circondata da un mare di
grano, c’erano circa 100 scuole private di inglese
che preparavano decine di migliaia di giovani
indiani a lasciare il loro paese. Nei campi del
Punjab non c’è più posto. L’agricoltura non offre
prospettive. Gli studenti più brillanti sperano di
unirsi ai 150 milioni di migranti che valicano le
frontiere per trovare lavoro all’estero. Nel Punjab
era in corso una sorta di evacuazione.
«Gli unici che rimangono sono quelli che non
possono permettersi di partire», mi spiegava Gu-
labi Singh, proprietario di una scuola di lingue.
Il costo medio dell’emigrazione: 14 mila dollari,
23 volte il reddito medio annuo di un indiano.
Ero appena arrivato dall’Asia centrale. Un mio
compagno di viaggio uzbeco entrava regolar-
mente di nascosto in Kazakistan per lavorare in
nero nei cantieri edili. Portava le cicatrici degli
incontri con la polizia. In Kirghizistan e in Tagiki-
stan ho conosciuto migranti che andavano a Mo-
sca per battere su un registratore di cassa o inalare
veleni in un impianto chimico. Gli afghani che ho
incontrato sarebbero andati ovunque pur di fug-
gire dalla guerra. E via di questo passo.
Eppure è proprio questo il segreto di questa
epopea di insoddisfazione umana: probabilmente
saranno quelli che restano a cambiare il mondo.
Le migrazioni interne - dalle campagne alle


Seguite il viaggio intorno al mondo sulle tracce
dei primi migranti di Paul Salopek su
outofedenwalk.org e natgeo.com. Il fotografo
John Stanmeyer sta documentando segmenti
del viaggio di Salopek per il magazine.

IN CAMMINO CON I MIGRANTI 25

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