la Repubblica - 03.08.2019

(Brent) #1
«È un passo avanti importante». Ne è
convinto Paolo Maria Rossini,
direttore area Neuroscienze della
Fondazione Gemelli dell’Università
Cattolica di Roma, che da anni studia
la malattia di Alzheimer.
Ma se non c’è cura cosa può fare
chi scopre che si ammalerà?
«La salute del sistema vascolare e
l’attività cognitiva hanno un ruolo
chiave nella protezione dei neuroni.
Sappiamo che lo stile di vita gioca un
ruolo due o tre volte superiore
rispetto ai geni ereditati».
Vuol dire che possiamo
intervenire a nostro vantaggio?
«Se sai dieci o venti anni prima che ti
ammalerai puoi proteggerti:
se sei obeso, dimagrirai; se sei
sedentario, farai sport; se sei iperteso
o diabetico, controllerai di avere i
valori nella norma. Questi fattori di
rischio potranno essere eliminati
quando la malattia non è presente:
quindi si riuscirà a ritardare in modo
significativo l’esordio della demenza
allungando i tempi di autonomia

piena della persona».
I test sono di nicchia. Occorrerà
una validazione su grandi numeri.
«Certo. Questo test ci dice che ci sono
depositi di amiloide nel cervello che
sono un segno distintivo
dell’Alzheimer. Ce lo dice in un modo
molto meno costoso e più certo, la
percentuale di accuratezza è pari al
94%. Ma questi depositi si trovano
anche nelle persone anziane sane.
Per questo abbiamo bisogno di studi
estesi per convalidarlo».
E la cura farmacologica?
«Quando verrà fuori il farmaco
saranno immediatamente curati. Ma
intanto, se il paziente non ha ancora i
sintomi ma è positivo a questi
biomarcatori, avremo gli strumenti
per fare una diagnosi precoce e
intervenire erogando gratuitamente
il nuovo farmaco appena sarà
disponibile».
Quanti studi sono in corso?
«Un centinaio. Tra il 2022 e il 2025 ci
saranno molecole sperimentali».
E L’Italia?
«È all’avanguardia. Nel 2018 è stato
lanciato il progetto Interceptor che si
concluderà nel 2022, un modello
organizzativo su scala nazionale sulla
diagnosi precocissima di Alzheimer.
Saranno arruolati 400 pazienti e
saranno valutati dei biomarcatori per
stabilire quali siano più specifici per
predire la conversione del lieve
declino cognitivo in demenza».

Al zheimer


E’ la forma
più diffusa
di demenza
E’ causata dalla
degenerazione
dei neuroni,
a partire
dall’ippocampo
(area
della memoria)

 

 
In genere colpisce
dopo i 60/65 anni

 

 
Genetiche. Avere
dei familiari malati
aumenta il rischio.
Già individuati diversi
geni che
predispongono
alla malattia

I più importanti sono
i geni della famiglia
APOE (responsabile
di un quarto dei casi)

Stili di vita. Sempre
più si va chiarendo
l’importanza di sport,
alimentazione corretta,
salute dell’apparato
circolatorio
per mantenere
sani i neuroni

La demenza colpisce

di persone.
Una diagnosi ogni
3 secondi. Si spendono
mille miliardi di euro
all’anno per cure
e assistenza

I malati
di Alzheimer sono

600 MILA


Cervello
normale

Ippocampo

Alzheimer

 
  
La proteina Tau
aiuta a stabilizzare le molecole
del microtubulo,
una struttura interna al neurone,
ma diventa nociva quando perde
la sua funzione legante

Quando questo accade,
la proteina Tau si stacca
dai microtubuli e va a formare
ammassi neuro-fibrillari
che insieme alle placche
amiloidi alterano
il funzionamento dei neuroni

Secondo il nuovo studio
è l’enzima p38y a conferire
la proprietà “legante”
alla proteina Tau:
col progredire dell’Alzheimer,
p38y perde la capacità
di trasformare la proteina Tau
in un difensore della memoria

Microtubulo sano

Neurone

Assone

Tau

2015 2030 2050

46,8
MILIONI

74,7
MILIONI

131,5
MILIONI

46,8 MILIONI


di Gina Kolata

Sono decenni che i ricercatori cerca-
no un esame del sangue per indivi-
duare la beta-amiloide, la proteina
che è il tratto distintivo del morbo di
Alzheimer. Parecchi gruppi e azien-
de hanno fatto progressi e giovedì
gli scienziati dell’Università Wa-
shington di St. Louis hanno comuni-
cato di aver elaborato il metodo fino-
ra più affidabile. Dovranno passare
ancora anni prima che l’esame sia di-
sponibile per usi clinici, e in ogni ca-
so l’amiloide non è un predittore
perfetto del morbo di Alzheimer: la
maggior parte degli anziani asinto-
matici con depositi di amiloide nel
cervello non sviluppa demenza. Ma
questa proteina rappresenta un im-
portante fattore di rischio e il nuovo
esame del sangue è in grado di indi-
viduare i pazienti con depositi di
amiloide prima di quanto riescano a
fare le tomografie cerebrali. Sarà im-
portante soprattutto per gli scienzia-
ti che sperimentano farmaci per la
prevenzione.
Attualmente non è semplice dia-
gnosticare l’Alzheimer. I medici si af-
fidano per lo più a test di acutezza
mentale e colloqui con il paziente e i
familiari. Gli studi dimostrano che i
medici riescono a diagnosticare cor-
rettamente il morbo solo nel 50-60
per cento dei casi: più o meno come
tirare una moneta in aria. I metodi
che possono garantire una maggio-
re accuratezza, come le tomografie
a emissione di positroni (Pet), sono
costosi e spesso non disponibili. Il
nuovo esame si basa sulla spettro-
metria di massa, uno strumento usa-
to nella chimica analitica che grazie
ai recenti progressi tecnologici è in
grado di scovare con elevata preci-
sione le sfuggenti molecole di be-
ta-amiloide presenti nel sangue. Il ri-
cercatore capo, il dottor Randall Ba-
teman, un neurologo della Washing-
ton, lavora da vent’anni a un esame
basato sulla spettrometria di massa.
Insieme a un collega, il dottor David
Holtzman, dieci anni fa ha fondato
una società e hanno ottenuto brevet-
ti della loro università per commer-
cializzare un esame fondato sulla
spettrometria di massa, se mai riu-
sciranno a svilupparne uno. L’ami-
loide è una normale proteina del cer-
vello, formata dalla scomposizione
di una proteina molto più grande.
Nessuno sa quale sia la sua funzio-
ne. «Non sappiamo neanche se ne
abbia», dice la dottoressa Suzanne
Schindler, neurologa e prima autri-
ce del nuovo saggio. «Potrebbe esse-
re un pezzo di spazzatura». L’idea al-
la base del test del sangue è abba-
stanza paradossale: se i livelli di ami-
loide nel sangue sono molto bassi, il
paziente potrebbe avere placche
nel cervello. La ragione, dice la
Schindler, è che l’amiloide è «appic-
cicosa»: quando rimane intrappola-

ta in blocchi nel cervello, i livelli nel
sangue scendono.
Il nuovo studio ha coinvolto 158
volontari, in maggioranza sessan-
tenni e settantenni e con capacità
cognitive normali, venuti periodica-
mente alla Washington per sottopor-
si a test di memoria e ragionamento,
punture lombari e tomografie cere-
brali. La Schindler e i suoi colleghi
hanno usato la spettrometria di mas-
sa per verificare la presenza della be-
ta-amiloide nel sangue dei volonta-
ri. Poi sono andati a vedere se i livelli
di beta-amiloide anticipavano i risul-
tati delle Pet a cui si erano sottopo-
sti. La spettrometria di massa, han-
no scoperto i ricercatori, individua-
va persone che non presentavano
sintomi ma accumulavano beta-ami-
loide nel cervello quando le Pet da-

vano ancora esiti negativi. Le tomo-
grafie sono riuscite a individuare la
beta-amiloide nel cervello solo a di-
stanza di anni. I ricercatori hanno
confrontato i risultati degli esami
del sangue con altri fattori che in-
fluenzano il rischio di Alzheimer (l’e-
tà e la presenza o assenza di una va-
riante genica, l’ApoE4) e hanno sco-
perto che l’esame del sangue con-
sentiva di prevedere la presenza di
placche con una precisione del 94
per cento, anche nelle persone più
asintomatiche. Non esiste nessuna
cura per l’Alzheimer e le diagnosi
molto precoci di qualunque malat-
tia possono essere problematiche,
perché non è detto che il morbo pro-
gredisca. Perciò, il primo impiego di
questo esame probabilmente sarà
per vagliare le persone da sottopor-
re a sperimentazioni cliniche di far-
maci per prevenire il morbo, dice il
dottor Michael Weiner, neurologo
dell’Università della California.
Circa un quarto delle persone in-
torno ai 75 anni comincia ad accu-
mulare l’amiloide nel cervello in
placche, ma le capacità di memoria
e ragionamento rimangono intatte.
Per individuare i pazienti da sotto-
porre a sperimentazioni di farmaci
preventivi, i ricercatori devono ese-
guire un gran numero di Pet, al co-
sto di circa 5.000 dollari l’una, dice
Weiner. Individuare appena 1.000
pazienti per la sperimentazione di
un farmaco preventivo dell’Alzhei-
mer può costare 25 milioni di dollari
solo in Pet, secondo i suoi calcoli. Un
semplice esame del sangue coste-
rebbe molto meno. «È fantastico»,
conclude. — Copyright NY Times
News Service — Traduzione di Fa-
bio Galimberti

Secondo i ricercatori


americani l’analisi


ha una precisione


nella diagnosi del 94%


Sarà importante


per la sperimentazione


dei farmaci


Salute

L’Alzheimer e il test del sangue


che lo scopre vent’anni prima


Lo scienziato


“Chi è a rischio


potrà fare


prevenzione”


Lo studio ha coinvolto


158 volontari,


in maggioranza


sessantenni


e settantenni


con capacità


cognitive normali


jPaolo Maria
Rossini
Direttore Area
Neuroscienze
della Fondazione
Gemelli

di Anna Maria Liguori

pagina. (^22) Cronaca Sabato, 3 agosto 2019

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