La Repubblica - 05.08.2019

(nextflipdebug5) #1
di Salvo Palazzolo

PALERMO — Qualche giorno fa,
dentro un vecchio baule in soffit-
ta, ha ritrovato alcuni negativi in
bianco e nero. «Pensavo fossero
gli scatti dei compleanni dei miei
figli – sorride – invece era una car-
rellata di facce che ho fotografa-
to per una vita». Facce di mafiosi
autorevoli - Ragusa, Lamberti,
Mazzara, Sbeglia, Castronovo -
quelli su cui indagavano Falcone
e Borsellino negli anni Ottanta:
arrivavano direttamente da New
York per prendere un caffè a Pa-
lermo e discutere di partite mi-
liardarie di eroina. Al bar o per
strada, pensavano di non dare
nell’occhio. Invece, il finanziere
Pietro Finisguerra era sempre lì,
capelli lunghi e borsa a tracolla,
con la sua Nikon “Fm2” e il teleo-
biettivo. Dietro una siepe o un’au-
to, dentro il furgone modello “fi-
gli dei fiori”, oppure sopra un al-
bero.
Per trent’anni, quest’uomo ha
fotografato la mafia. Come fosse
un reporter di guerra, in una trin-
cea ogni volta diversa. Eppure,
nessun giornale, nessun libro, ha
mai scritto una sola riga su di lui.
«Semplicemente, perché ho fat-
to un lavoro riservato nella Guar-
dia di finanza», sussurra. Ma an-
che adesso che di anni ne ha 63
ed è ormai in pensione dal 2011
(col grado di maresciallo di com-
plemento) Pietro Finisguerra ha
scelto di stare lontano dai rifletto-
ri dell’antimafia. Piuttosto, prefe-
risce partecipare a piccoli con-
corsi per fotografi amatoriali e di
tanto in tanto va nella sua Puglia,
per coltivare ulivi.
Adesso che ha ritrovato una co-
pia di alcuni negativi, i ricordi e
le emozioni si rincorrono. «Nel
febbraio 1980, il giudice Falcone
aveva ordinato di pedinare alcu-
ni mafiosi arrivati dagli Stati Uni-
ti. Io avevo 24 anni, ero stato ap-
pena assegnato al nucleo regio-

nale di polizia tributaria di Paler-
mo dopo essermi occupato di
controlli su zucchero e benzina.
Dovevo sostituire il maresciallo
maggiore fotografo, che comun-
que non faceva mai appostamen-
ti, se ne stava seduto in macchi-
na. Io, invece, mi inventai un me-
todo di lavoro. E non ho più smes-
so». Quelle immagini diventaro-
no presto uno dei riscontri più
importanti nel processo Spatola.
E non è solo la storia della mafia e
dell’antimafia, quelle foto sono
di drammatica attualità: dopo la
morte di Riina, due anni fa, diver-
si padrini sono tornati dagli Sta-
tes con i loro capitali. Per fare co-
sa? Proprio esaminando gli atti
del processo Spatola, Repubblica
ha scoperto la storia del finanzie-
re che ha fotografato la mafia. E
l’ha rintracciato.
«Nel 1983, arrivò a Palermo un
agente speciale della Dea, l’agen-
zia antidroga americana – ci ha
raccontato - Ogni mattina, anda-
vo a prenderlo all’hotel Excelsior
con la mia Vespa. E iniziavamo a
pedinare con pazienza alcuni ma-
fiosi provenienti da Brooklyn».
All’epoca, non c’erano ancora mi-
crospie e telecamere per intercet-
tare ogni respiro dei mafiosi, così
le fotografie del finanziere Fini-

sguerra erano una delle poche
possibilità per provare contatti e
relazioni. Quegli scatti del 1983
vennero spediti oltreoceano per
“Pizza Connection”, il processo
al più grande affare internaziona-
le di droga mai realizzato dalla
mafia siciliana. E anche questa

volta, le foto raccontano una sto-
ria attuale: perché molti dei teso-
ri di quei mafiosi non sono stati
mai individuati e sequestrati. Era
il cruccio di Giovanni Falcone an-
che nel suo ultimo incarico, al mi-
nistero della Giustizia: provava a
sbloccare le rogatorie avviate dai
magistrati siciliani, che dagli an-
ni Ottanta chiedevano notizie al-
le banche svizzere (e non riceve-
vano alcuna risposta).
Il piccolo finanziere che nessu-
no ha mai conosciuto ha raccon-
tato una storia davvero grande.
«A mia moglie avevo detto che
scattavo solo qualche foto alla fe-
sta della Finanza», sorride. Inve-
ce, ogni giorno, rischiava la vita.
«Facevo il mio dovere, tutto qui».
E torna a raccontare: «Per non far-
mi riconoscere, indossavo anche
una tuta da operaio dell’Enel, o il
cappello da postino. E come sem-
pre bisognava mettere a fuoco ve-
locemente, per non farsi scappa-
re nessun incontro». Dentro al
furgone, c’era però un caldo terri-
bile. Finisguerra beveva acqua e
zucchero per resistere. «E facevo
la pipì dentro una bottiglia - ricor-
da – senza muovermi troppo».
Una volta, a Sant’Erasmo, i mafio-
si si accorsero che c’era qualcu-
no dentro al furgone sistemato
davanti al bar che dovevamo te-
nere sotto controllo. «Il collega,
che era poco distante, capì: entrò
nel locale e comprò una bottiglia
di whisky, poi mi venne a prende-
re. Qualche minuto dopo, i boss
commentarono al telefono, che
era intercettato: “Tranquilli, era-
no solo due ubriaconi”».
Oggi, l’uomo che ha immortala-
to la mafia nei suoi scatti fotogra-
fa la gente semplice che incontra
per strada. “Continuo a cercare
lo scatto giusto”, dice.

Il personaggio

I boss in bianco e nero


“Così ho fotografato


trent’anni di mafia”


kLa prima inchiesta del giudice istruttore Giovanni Falcone
14 febbraio 1980, piazza Politeama: Filippo Ragusa (a sinistra) e Giorgio Muratore (a destra)

jA Punta Raisi
Inchiesta Pizza
Connection,
1983: l’arrivo del
boss italo
americano
Joseph
Lamberti (al
centro)

jIl mediatore
Lamberti fallisce
la sua missione e
le famiglie Usa
mandano a
Palermo
Gaetano
Mazzara (il
primo a sinistra)

jGli incontri
Mazzara inizia
subito a
incontrare
diversi mafiosi.
Fissa incontri
anche davanti a
palazzo di
giustizia

jIl summit
Il 27 novembre
1983 Gaetano
Mazzara viene
fotografato
con il boss
di Bagheria
Carlo
Castronovo

jIl maresciallo
Pietro Finisguerra,
63 anni, pugliese
Dal 1980 al nucleo
polizia tributaria
di Palermo. Ora in
pensione

Come un reporter sul fronte il finanziere Finisguerra ha fissato con la sua Nikon


un pezzo di storia. Ora i negativi rispuntano da un baule in soffitta


. Lunedì, 5 agosto 2019 Cronaca pagina^21

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