La Stampa - 05.08.2019

(Barré) #1
.

3.

PRIZREN (KOSOVO)


L

a ministra della Cul-
tura dell’Albania El-
va Margariti è pre-
sente all’inaugura-
zione di «Autostra-
da Biennale» in rap-
presentanza del governo del
suo Paese che collabora con
quello del Kosovo.

Tirana vede un grande rinno-
vamento urbanistico. Ecolo-
gia, arte, architettura sono i
princìpi trainanti del vostro
governo, il cui premier è l’arti-
sta e intellettuale Edi Rama:
cosa sta succedendo?
«L’Albania è un Paese relativa-
mente giovane, ha poco più di
un secolo, ma ricco di importan-
ti eventi storici che hanno lascia-
to tracce anche nell’architettu-
ra. Non avendo una sua identità

architettonica,ha abbracciato
negli anni 30 e 40 le idee e i pro-
getti degli architetti italiani. Fi-
gure come Bosio, Brasini, Berte
hanno firmato il complesso dei
ministeri, il corpus universita-
rio, l’Università delle Belle Arti,
l’edificio del Palazzo dei Consi-
gli, il Boulevard. In seguito, l’u-
niformità dello stile sovietico e
cinese degli anni della dittatura
è stata sostituita dal caos edili-
zio degli anni di transizione».

E oggi?
«Oggi Tirana è in un’altra fa-
se, non mira più a costruire
semplicemente per soddisfa-
re le esigenze abitative, ma a
unire tradizione e moderni-
tà, identità nazionale e risul-
tati contemporanei ridise-

gnando e ripensando lo spa-
zio pubblico».
Secondo la visione del suo go-
verno cultura e arte sono un
veicolo di azione politica. Qual
è l’impatto trasformativo?
«Arte e cultura sono essenzia-
li per l’identità di una nazio-
ne. Per noi la cultura è un mo-
tore di sviluppo e stiamo cer-
cando di trasformare in reale
risorsa economica tutti i beni
del nostro patrimonio cultura-
le. Investiamo, aumentiamo i
visitatori in siti storici, parchi
e monumenti e offriamo alle
comunità opportunità di svi-
luppo. È un processo lungo,
ma sta dando i suoi frutti. È
ciò che definirei “l’economia
della bellezza”». M. GAN. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

NELLA TESTA DI UNA BAMBINA. UN RACCONTO PER LA SERIE SUI VIZI CAPITALI

Nessuno tocchi la mamma!

Sappiamo tutti cosa fa con gli uomini,


le dicono a scuola. Ma lei la stringe forte


perché nessuno gliela porti via


Benedetta non è andata a scuola, questa mattina.
Racconterà che aveva paura per via del vento. E intanto
ripensa: alla madre, a cosa si dice in giro di lei, che finirà
per venire la polizia e la arresterà per oscenità;
oppure che è malata e va rinchiusa in manicomio.
Ripensa a quando era andata nel bosco per cercare
la tazzina rotta che aveva seppellito sotto il faggio grande
quando aveva compiuto tredici anni, un mese prima.
E invece aveva trovato la bicicletta della mamma
e poi aveva visto la mamma, e un uomo dietro di lei

ELENA STANCANELLI

C’


era troppo
vento. Avevo
paura che mi
cascassero i
faggi addos-
so, per questo
non sono andata a scuola.
Benedetta, nascosta sotto le
coperte, mette in ordine le
sue bugie. Il vento sbatte
davvero le persiane, ma di
solito nessuno le chiede

niente. È abituata a fare tut-
to da sola, la colazione, il
pranzo, lavare le tazzine do-
po. Suo padre lavora e la
mamma ha una mamma
malata, che abita dall’altra
parte del paese.
Nonna Elvira sta sempre
a letto e non parla più. Quan-
do Benedetta la va trovare,
le dipinge le unghie con lo
smalto rosso per farla diver-
tire. Come quelle di sua

mamma e anche le sue, ma
le sue il maestro gliele ave-
va fatte cancellare. Togliti
quelle unghie rosse, vuoi di-
ventare come tua madre?
Certo, come chi sarei dovu-
ta diventare, pensa Benedet-
ta. La mamma è bella, tutti
la guardano e sorride sem-
pre. La mia mamma, e intan-
to tiene la testa sotto il cusci-
no. Fin quando non sente il
rumore dei suoi passi, e la
porta che si apre.

Il latte da scaldare
Forse non è ancora uscita,
aveva pensato Benedetta
appena si era svegliata ed
era corsa in cucina solo con
la camicia da notte. Non c’e-
ra nessuno, invece, solo il
latte da scaldare nel pentoli-
no. Aveva acceso il gas con
un fiammifero e si era sedu-

ta sulla sedia alta e scalca-
gnata davanti al tavolo di
marmo, tenendo i piedi sol-
levati da terra per le matto-
nelle gelide.
Sotto la camicia da notte i
seni stavano crescendo e i
capezzoli erano minuscoli,
dritti e doloranti. Persino in
quel momento, mentre li
guardava, crescevano. Pia-
nissimo, ma senza mai fer-
marsi. Non si sarebbero fer-
mati mai più, fino a diventa-
re delle tette gigantesche. Li
guardava come se fosse
qualcun altro a guardarli,
come se fossero già gigante-
schi e bellissimi. Poi li aveva
sfiorati ma facevano soltan-
to male e il latte si era versa-
to sui fornelli perché era bol-
lito, e ormai faceva schifo e
non si poteva più bere.
Era uscita di casa come se

dovesse subito tornare, con
addosso un giaccone di lana
della madre che stava appe-
so all’entrata. Ai piedi gli sti-
vali di gomma, che stanno
sempre lì per prendere le uo-
va alle galline. Era rimasta
soltanto la sua bicicletta pic-
cola, appoggiata al muro.
Con la sua, il padre era anda-
to a lavoro piano piano. Va
sempre piano piano, forse
perché non è contento, pu-
re a scavallare con le gambe
per salire ci mette un bel
po’. La madre invece vola,
non le stai dietro e intanto
canta, e si mette in piedi sui
pedali.

Come i pirati col tesoro
Voleva trovare la tazzina.
Benedetta quando è sola
seppellisce le cose. Nel bo-
sco, vicino al muretto, die-

tro il garage. Dopo un po’ le
tira fuori e le mette in una
scatola - braccialetti, bam-
boline, magliette, una mati-
ta. Quando la apre, sente
quell’odore delle cose sep-
pellite. Vorrebbe strusciar-
selo addosso, è l’odore che
preferisce.
Camminava con gli stivali
di gomma e la giacca di lana
della mamma e cercava la
tazzina rotta che aveva sep-
pellito quando aveva com-
piuto tredici anni, un mese
fa. Sotto il faggio grande,
quello dove comincia il bo-
sco. Ci aveva messo un se-
gno fatto con dei rami, ma
non lo trovava e quindi si
era messa a contare i passi
come i pirati col tesoro. Ave-
va messo le spalle contro il
tronco dell’albero e aveva

contato, scavato, ma non
c’era niente. E allora aveva
girato intorno al tronco e
aveva contato di nuovo
dall’altra parte e mentre
contava, lontano, aveva vi-
sto la bicicletta della mam-
ma, sdraiata per terra sulle
foglie, nel bosco.
Lo sappiamo tutti cosa fa
tua madre con gli uomini.
Gliel’ha detto una ragazza a
scuola, che suo fratello ave-
va perso la testa da quando
sua madre lo aveva portato
nel bosco e ora passava le
ore nel bagno a maneggiar-

si senza pace. E Benedetta
non aveva capito bene cosa
voleva dire maneggiarsi ma
aveva detto che sua madre
non porta nessuno nel bo-
sco. Ed era andata via, per-
ché quella diceva finirà per
venire la polizia o che la ar-
restano per oscenità.
E poi era successo che Bene-
detta era andata a fare la
spesa in una bottega dove
sua madre non la servivano
più, la padrona l’aveva indi-
cata, mentre tagliava il pro-
sciutto, e aveva detto quella
è malata e va rinchiusa in
manicomio. Benedetta ave-
va pensato che volessero rin-
chiudere sua nonna, perché
aveva le unghie tinte di ros-
so. E quando era tornata da
lei aveva portato l’acetone,
per cancellarle.
E intanto aveva continuato
a camminare verso la bici-
cletta della sua mamma e
aveva freddo perché quel
vento non smetteva di sof-
fiare fin dentro la giacca e fa-
ceva drizzare ancora di più
quei suoi capezzoli minu-
scoli che facevano male. E
avrebbe fatto sbattere le per-
sone insieme, trasportando-
le di qua e di là senza fargli
mettere i piedi in terra.
E il vento aveva fatto cadere
la bicicletta sulle foglie e fa-
ceva volare il vestito della
sua mamma che aveva tutti

i capelli in faccia e rideva,
mentre quell’uomo stava
dietro di lei. Lui l’aveva vi-
sta arrivare e si era fermato
e aveva detto qualcosa a sua
mamma nell’orecchio, chi-
nandosi in avanti perché lei
era a quattro zampe davan-
ti a lui. Ma sua madre aveva
riso ancora più forte e lui
aveva ricominciato, così Be-
nedetta si era girata ed era
tornata verso la sua casa,
correndo.
Si era tolta gli stivali di gom-
ma e la giacca e si era infila-
ta sotto le coperte.
Non hai fatto colazione, c’e-
ra tutto il latte sui fornelli.
Guarda, ho trovato questa.
Sua madre, seduta sul letto,
tiene in grembo la tazzina
sbreccata che aveva seppel-
lito il giorno del suo tredice-
simo compleanno. Era vici-
no al faggio, dice guardan-
dola con attenzione, chissà
come ci è finita.
Benedetta vorrebbe dire
non sono andata a scuola
perché c’era troppo vento,
vorrebbe dire la bugia che
aveva ripetuto dentro il cu-
scino mentre riprendeva fia-
to e il cuore tornava ai suoi
battiti regolari e le lacrime
si asciugavano.
Ma invece non dice niente e
guarda le mani di sua ma-
dre. Ha il bordo delle un-
ghie nero di terra. L’unghia
del dito medio ha lo smalto
sbreccato. Dice vado a farti
un po’ di latte caldo e fa per
alzarsi. Ma Benedetta strin-
ge la tazza e insieme stringe
le mani della sua mamma
tra le sue. Forte, perché lei
non possa sfilarle, per non
vedere quella striscia nera
di terra, per trattenerla con
sé che non la porti via nessu-
no, né la polizia né quelli
del manicomio e neanche il
vento. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

MANUELA GANDINI
PRIZREN (KOSOVO)

I

l caldo umido che avvolge
Prizren fa parte del
Grand Tour della secon-
da edizione di «Autostra-
da Biennale». Incastona-
ta in cinque location - tra
il traffico e il brulicare della
gente nei mille caffè della cit-
tà - la kermesse d’arte con-
temporanea si estende dalla
stazione degli autobus al ca-
stello, passando per l’ex pri-
gione, il liceo classico, il mu-
seo archeologico. Le prime
tracce sono sui tronchi degli
alberi, che costeggiano il fiu-
me Lumëbardh, rivestiti di ri-
cami a uncinetto. Un gruppo
di donne musulmane, il col-
lettivo locale Orkide, con reti
di ricami multicolori proteg-
ge gli alberi dai graffi, dai
chiodi e dalle violenze vanda-
liche. Curata dall’italiano Gia-
cinto Di Pietrantonio, questa
edizione dal titolo beuysiano
«La rivoluzione siamo noi»
(aperta fino al 21 settembre)
comprende 25 artisti interna-
zionali, con installazioni che
si integrano nella quotidiani-
tà urbana.
La Ong Autostrada Bienna-
le, con il sostegno dell’Istitu-
to Italiano di Cultura e di altri
enti, è impegnata a incremen-
tare l’arte nel processo di rina-
scita del Kosovo. E vale davve-
ro la pena un viaggio in que-
sti luoghi a bassa densità abi-
tativa, molto curati e rigoglio-
si, che, a dispetto della trage-
dia bellica di vent’anni fa e
della crisi permanente, pullu-
lano di vita. Il Kosovo non è
l’ammasso di macerie che i
media hanno mostrato a suo
tempo, ma un Paese che, seb-
bene poggi su una polveriera
interetnica, è determinato a
investire in cultura e turismo.
All’ingresso della stazione
degli autobus, un gruppo di
manichini su una piattaforma
mobile, del kosovaro Levent
Bütüçi, forma un piccolo batta-
glione inerme che viene per-
formativamente condotto
dall’artista lungo le strade per

compiere proteste pacifiche
ma incisive. Al primo piano
della stazione, dove si faceva-
no i pranzi di matrimonio, l’ar-
tista serba Sanja Latinovic’ -
nella performance Can you
feel change? - ha preso violente-
mente a sassate un cubo di ve-
tro pluristrato sullo sfondo del-
la scritta «Elegant». La disinte-
grazione del sistema politico e
sociale è evidente anche
nell’installazione-performan-
ce del kosovaro Somer Şpat
che ha collocato al centro del
salone una lavatrice nella qua-
le ogni giorno, per due mesi,

vengono lavate le bandiere di
vari Stati del mondo. A fine
mostra i loro colori saranno
completamente stinti.
Le ferite della guerra sono
impresse nel video della bo-
sniaca Lana Čmajčanin che
racconta in prima persona il
rapimento e lo stupro di una
ragazza turca e di sua madre,
da parte di soldati serbi. Una
grande stella bianca, deposita-
ta sulla riva del fiume, è disse-
minata di vetri rotti rossi. Si
tratta di un’opera dedicata ai
partigiani che sacrificarono la
vita durante il fascismo. Il con-

cetto di rivoluzione caro a
Beuys, che il curatore ha volu-
to attualizzare, è tuttavia lega-
to soprattutto a una dimensio-
ne individuale di trasforma-
zione interiore, responsabile
e creativa, anziché prettamen-
te sociale e politica. L’italiano
Tommaso Pincio, scrittore e
artista, ha esposto 49 ritratti
che si disfano nell’acqua di
una piscina gonfiabile. Con il
numero 49 ha evocato i giorni
necessari, nella cultura tibeta-
na, affinché l’anima di una per-
sona morta si reincarni in un
nuovo corpo.

Lo spettro degli interventi
della Biennale è ampio e coin-
volgente, a volte fortemente
poetico. Il video dell’albane-
se Driant Zeneli, installato al
castello, è una specie di favo-
la, una piccola utopia. L’arti-
sta ha filmato tre persone e
un’oca su una nave di cemen-
to. I tre giovani, ripresi come
se fossero veramente in navi-
gazione, recuperano con al-
cune funi un arcobaleno di
cemento caduto sulla terra
con l’intento di ricollocarlo
in cielo. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

L’uomo l’aveva vista
e si era fermato,
ma la donna aveva riso
e lui aveva ricominciato

Illustrazione di Barbara Puliga

Benedetta guarda
le mani di sua madre.
Ha il bordo delle
unghie nero di terra

La ministra albanese Elva Margariti, ospite della kermesse

“La cultura e la bellezza sono essenziali

per l’identità di una nazione”

INTERVISTA
Elva Margariti, ministra della
Cultura dell’Albania

La seconda edizione di “Autostrada Biennale”, con installazioni che si integrano nella quotidianità urbana

Il Kosovo ricomincia dall’arte

Un Grand Tour attraverso i luoghi di Prizren


per lasciarsi alle spalle le ferite della guerra


TUGHAN ANIT

TUGHAN ANIT

TUGHAN ANIT


  1. 7000 alberi ricamati per Prizren (2018-19),
    installazione del collettivo locale Orkide.

  2. Di che colore è la tua bandiera quando la lavi? (2019),
    installazione-performance del kosovaro Somer Şpat.
    3.Protesta-per-protesta (2019), il piccolo battaglione
    di manichini condotto lungo le strade
    dall’artista Levent Bütüçi, anche lui kosovaro


1

2

3

22 LASTAMPALUNEDÌ 5 AGOSTO 2019
TMCULTURA
Free download pdf