L\'Espresso - 04.08.2019

(Tina Sui) #1
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Soltanto un anno fa: proiettili ovunque. Traini e i suoi
fratelli e i colpi intenzionali a gente di colore. A Vicofaro,
a Caserta, a Forlì. Spari ad aria compressa, a caso, che per-
forano una bambina, immancabilmente classiicata come
“rom” e sulla quale un intervistato alla trasmissione
“Agorà” dichiara orgogliosamente che dovevano colpire la
piccina non con un piombino, ma con un proiettile vero.
Era un incrudelirsi ulteriore di quella cronaca nera che fa
la storia a casa nostra. L’Italia, in attesa della legge sulla
legittima ofesa, gonia di odio e di istinto di morte, con il
suo memento mori che ha fatto la storia del cinema e del-
la letteratura, in uno strascicamento lugubre e normal-
mente semiinale dei suoi costumi, dei suoi vizi e delle sue
inesistenti virtù, si riconosceva nella supremazia della
pallottola, dell’insulto esploso come una munizione, del
far west all’amatriciana che va da Marta Russo a Marco
Vannini. Panem et Circeo.
L’estate 2019 rinnova questi fasti, questo Shakespeare la-
tino, privo di Riccardo III ma ricco della mastite di Salvini,
il quale non sarà Macbeth, ma è suiciente che sia se stes-
so, per ottenere efetti. Il caso più emblematico di queste
ore è dunque un dramma che si è consumato a Milano, nei
pressi del parco Forlanini. Non c’è più dadaismo, non c’è
più cafonal, non c’è più estetica e nemmeno c’è commedia
che coincida con la tragedia. C’è soltanto tragedia. All’al-
tezza dei nostri incubi suprematisti, sopravvivono soltanto


simboli duri, l’arido vero dello stato del Paese e del Paese
che non è più Stato, ma bercia per esserlo in modo sbaglia-
to e criminogeno. Verso l’Idroscalo, dove mestamente la
città declina verso le colonie di zanzare che infeltriscono le
zone di nessuno tra hinterland e hinterland, un’avvocates-
sa, Beatrice Bordino, si piega su una panchina e singulta,
piange, accusa il tremito. Ha appena rischiato il pubblico
linciaggio. Si era imbattuta in un cadavere, poiché gli italia-
ni si imbattono più di altri nei cadaveri. Non era un cadave-
re: era un uomo privo di coscienza. Le persone attorno evi-
tano quel corpo inanimato, nessuno chiama l’ambulanza,
ma sono poi prontissimi a dare alla signora della “troia”,
appena hanno veriicato che l’uomo incosciente era uno
straniero: un sudamericano. La testimonianza della donna:
le viene urlato che, se chiama l’ambulanza, la aggrediscono,
«bisogna lasciarli morire questi immigrati di merda», «i
soccorsi li paghiamo noi contribuenti mica questi negri».
Tra gli emblematici esagitati, c’è un’anziana che si appella
al Signore di tutti gli eserciti: «Spero che Dio ascolti le mie
preghiere e che afondi tutti i barconi».
Questa criminalità non pare afatto interessante, non ri-
guarda soltanto i nuovi igli della borghesia, come si sarebbe
detto un tempo. La si porta dal buio truculento della cronaca
alla luce dell’interpretazione: forse perché la loro classe so-
ciale lo pretende? Non è più il tempo pasoliniano, non è più
Italia, è altro, è oltre. Siamo noi. Q

TAGLIO ALTO MAURO BIANI
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