U
omini, tecnologia, so-
stenibilità e pensare in
grande. Pattern nasce nel
torinese 19 anni fa dall’in-
tuizione di due modellisti,
Fulvio Botto, che all’epoca non ave-
va ancora compiuto quarant’anni, e il
trentaseienne Francesco Martorella.
Lavoravano alle dipendenze di blaso-
nate maison della moda, riuscendo a
concretizzare i progetti, le stranezze e
le idee degli stravaganti stilisti. Perché
questo è ciò che fa il capo modellista.
Sono gli anni in cui i brand del lusso
scelgono di investire massicciamente
in comunicazione e stile ed esterna-
lizzare le fasi di progettazione, proto-
tipazione e produzione. Eccola, l’intu-
izione: Botto e Martorella diventano
l’atelier dei marchi di abbigliamento
di lusso. Partono in pochi, una segre-
taria e un paio di sarte scampate alla
moria dei mestieri antichi, per arrivare
oggi a contare 170 dipendenti, di cui
40 sarte prototipiste, e un fatturato di
oltre 32 milioni che cresce al ritmo del
20 per cento l’anno. «Le grandi maison,
negli ultimi vent’anni, hanno scelto di
aidare la prototipazione degli abi-
ti a modellisti italiani che avessero le
competenze e la struttura industriale
per occuparsi dell’intera fase di pro-
duzione», racconta l’amministratore
delegato Luca Sburlati. L’azienda hadue dipartimenti, quello ingegneria e
la produzione. Si parte dal cartamodel-
lo, che poi diventa prototipo, ino alla
produzione dei capi da silata. In base
all’apprezzamento in passerella, si pas-
sa alla produzione in serie che è tutta
made in Italy, nei tessuti e nella mano-
dopera. I capi grifatissimi realizzati da
Pattern iniscono poi nelle boutique di
lusso di Milano, Parigi, New York.Gli asset di crescita? «Le persone,
prima di tutto. Abbiamo al nostro in-
terno una scuola di moda italiana per
formare sarti, che vengono inseriti in
organico con contratti di apprendi-
stato e aiancati a modellisti esperti»,
racconta Sburlati, mentre mostra il re-
parto produttivo dove ad ogni banco di
lavoro siedono un giovane accanto a
un senior, per un perfetto passaggio del
miglior know how di sartoria italiana.
Poi la tecnologia: «Siamo stati i primi
al mondo a progettare abiti di lusso in
tre dimensioni e ad applicare alla sar-
toria le più innovative tecniche, dal
taglio laser alla cucitura ad ultrasuo-
ni, grazie a una stretta collaborazione
con il Politecnico di Torino», continua
il manager, che deinisce Pattern un’a-
zienda di artigianato tecnologico. Ter-
zo punto di forza, la sostenibilità: «Se
ne fa un gran parlare nel mondo della
moda, ma spesso resta lettera morta.anch’ioNoi, dal 2015 pubblichiamo un bilan-
cio di sostenibilità, prendendoci impe-
gni per il futuro e raccontando quello
che abbiamo fatto inora. Ci siamo da-
ti una timeline per realizzare entro il
2023 il piano carbon free lanciato dalle
Nazioni Unite e abbiamo avviato una
serie di miglioria per ridurre l’impat-
to ambientale della nostra produzio-
ne». Inine, i sogni di gloria: «In questi
giorni ci siamo quotati alla Borsa di
Milano, che per noi non è un punto
di arrivo, ma il blocco di partenza per
diventare la locomotiva dell’industria
del lusso. Vogliamo creare il polo del-
la progettazione della moda italiana e
la nostra idea nasce dalla consapevo-
lezza che, nel nostro settore, esistono
una miriade di piccole imprese che
devono essere messe a sistema per ri-
spondere alla fame di abbigliamento
made in Italy richiesto dalle maison
della moda. Il problema è che la pic-
cola dimensione di queste aziende
spesso non riescia a rispondere alla
massiccia richiesta delle case di mo-
da», per Sburlati, insomma, l’unione
fa la forza. Lo ha dimostrato con l’ac-
quisizione dell’atelier umbro Roscini
nel 2017: «Stava vivendo un momento
di diicoltà, abbiamo messo a sistema
le competenze, salvato e creato posti
di lavoro, consapevoli che quello che
chiedono le maison del lusso è l’alta
qualità della manifattura italiana, che
dipende dalla salvaguardia del saper
fare nostrano. Le piccole imprese ita-
liane sono perle di artigianato ad alta
tecnologia, hanno un potenziale enor-
me, sono ricercate dai brand di lusso
che sanno benissimo che solo in Italia
esistono certe competenze, sparite nel
resto della Vecchia Europa e inesisten-
ti in altre parti del mondo. Se facciamo
squadra, saremo imbattibili». QLe chiamano locomotive industriali, perché sono il traino dell’economia
nazionale. Letteralmente. Sono solo 1.600, poco meno del dieci per cento
del totale delle aziende italiane, e hanno la forza per crescere, assumere,
arricchirsi ed alimentare la ricchezza nazionale. Nonostante tutto. Già perché
in un’Italia segnata da disoccupazione giovanile, iper burocrazia e livelli di
tassazione stellari, c’è chi continua a credere e investire. Un miracolo italiano che
L’Espresso vi racconta attraverso le storie dell’Italia ottimista, fatta di persone
straordinarie - operai, professionisti e imprenditori - che giorno dopo giorno
continuano a trainare il paese fuori dalla siducia.Il made in Italy
va in passerella
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