L\'Espresso - 04.08.2019

(Tina Sui) #1
Il ricordo

MATTIA

SCRITTORE, SCENEGGIATORE, REGISTA. TORRE È

STATO COME UN COMPAGNO DI CLASSE, L’ALTER EGO

DI UNA GENERAZIONE CHE SI RACCONTA IN SUO NOME

n un pomeriggio perfetto d’estate, nella «perfezione
del pomeriggio», come ha detto Paolo Sorrentino,
in un teatro romano afollato e accaldato, attorno al
palcoscenico dell’Ambra Jovinelli, una settimana fa
eravamo in tantissimi a fare memoria di Mattia Torre,
scrittore, regista, sceneggiatore per la tv, il cinema, il
teatro, morto il 19 luglio a 47 anni. Convocati da Francesca,
per tutti Frou, come la chiamava lui. Una liturgia laica, in cui
si è pianto molto, quando il chirurgo Michele Gallucci, l’u-
nico con i capelli bianchi a prendere la parola, si è lasciato
andare: «Ce l’ho messa tutta per salvarlo!». E molto si è riso.
È stato il funerale perfetto che Mattia aveva descritto un an-
no e mezzo fa in “La linea verticale”, il racconto di un qua-
rantenne malato di tumore che diventò libro e iction per la
Rai: «Solo amici commossi che magari raccontino qualcosa
sul defunto, qualcosa di lui, qualcosa di intimo, di toccante.
Nessuno che fuma fuori, no, tutti dentro, accalcati, c’è posto
per tutti. Non devi quasi più avere voglia di vivere dopo un
funerale veramente riuscito. Ti deve passare la voglia di sta-
re con gli altri, la iducia nel futuro, l’inclinazione al lavoro,
l’appetito».
Nei giorni successivi, in efetti, è stato diicile pensare o

I


parlare d’altro. Perché Mattia era «un trapianto di vita sen-
za paura di rigetto», lo ha deinito Geppi Cucciari. Mattia
«scriveva bene perché viveva meglio» (Serena Dandini).
Mattia era una persona «centro di gravità di persone, attor-
no alle quali ruota tutto il resto. Come dei Soli che accen-
trano interi sistemi planetari. O come quei punti partico-
lari di certi iumi attorno ai quali di formano piccoli aggre-
gati umani via via sempre più estesi, ino a formare intere
città», ha detto l’attore Valerio Aprea. Il piccolo aggregato
umano che eravamo noi annuiva, si emozionava, si com-
muoveva. Si divertiva per la telefonata immaginaria del di-
rettore di La7 Andrea Salerno: «No, Mattia, la bestemmia
non la posso fare...». E si chiedeva: chi è stato Mattia Torre?
Un inventore di parole? Un intellettuale? O, Dio non voglia,
un leader? Oppure, peggio ancora, un maestro? E poi, ma-
estro di chi, di cosa? Di niente di niente, per fortuna sua e
nostra. Semmai un compagno di classe. Della classe molto
particolare di quelli nati a cavallo tra la seconda metà de-
gli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, adolescenti
negli anni Ottanta, diventati grandi, si fa per dire, alla ine
del secolo scorso. Incapaci di trovare ili comuni, di raccon-
tarsi. Come nell’ultimo sms che Mattia aveva spedito a Pa-

DI MARCO DAMILANO

SEI STATO FELICE
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