L\'Espresso - 04.08.2019

(Tina Sui) #1
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Mattia Torre


olo Genovese. «Mi aveva scritto: “Dobbiamo brindare”. Gli
chiedo: “A cosa?”. Mi ha risposto: “Poi ci pensiamo”».
«Mattia era il compagno di classe che avevo sempre deside-
rato. Quello di cui vuoi diventare amico, quello genio, quello
che fa ridere più di tutti, quello al centro dell’attenzione ma
che non ha bisogno di esserlo, quello talmente bravo che sa
anche imboscarsi come nessuno, quello che dà i soprannomi
a tutti e ride di tutti e con tutti, ma anche quello più buono
e così tanto afascinante che sa anche essere gentile con le
ragazze. Quel compagno di scuola di cui parli sempre e di cui
anche i tuoi igli che magari non lo conoscono bene ti chie-
dono sempre un’altra storia di lui o di te con lui», lo ha ritratto
Lorenzo Mieli. Ma con la sua eleganza, l’intelligenza, il pu-
dore, il talento, la grazia di cui ha parlato Filippo Ceccarelli,
Mattia è stato anche l’alter ego di un gruppo di persone che
nel suo nome ha preso la parola per testimoniare per la prima
volta di sé. E Valerio Mastrandrea ha spiegato cosa succede
quando se ne va il tuo alter ego: «Scompare l’arancione al se-
maforo, ti lavi solo i denti di sopra, devi tornare a scuola».
Individualista, è stata sempre marchiata la generazione di
Mattia Torre. Individualista, dunque: per alludere a irrego-
lare, irriducibile a codici, regole, apparati che erano stati il


paesaggio naturale dei padri e dei più grandi, a loro agio nei
posizionamenti, nelle guerre di sotto-comando e di retro-co-
noscenza. Ragazzi mai cresciuti, un altro bollo, destinati a
incontrare sempre qualcuno pronto a fare da tappo, a riven-
dicare di esserci stato prima, in un’Italia in cui «l’ingranaggio
è arrugginito e si muove a fatica», scriveva Mattia. Troppo
giovani e troppo disimpegnati per i sessantottini, i continui-
sti e epigoni, troppo vecchi e pesanti per i rottamatori, gli an-
ti-politici, i neo-sovranisti. I primi chiamati a convivere con
famiglie nuove e allargate, i primi nutriti con la carta e traslo-
cati nella rete, i primi a usare il telecomando come strumen-
to di conoscenza del mondo, i primi senza bussole e bandie-
re mentre crollavano partiti, cordate ideologiche, televisive,
cinematograiche e editoriali. Con un rapporto sospettoso
con il potere, mai rivendicato, anche quando, per alcuni, il
potere è arrivato. Ingenui e sgamati, fragili e inafondabili.
Provocatori e sfacciati, come aveva scritto di loro lo sceneg-
giatore Giorgio Arlorio, scomparso a 90 anni mentre ricor-
davamo Mattia. Cultori di «un tempo della giovinezza forse
irrimediabilmente scaduto», o forse mai davvero esistito.
La perfezione del pomeriggio, l’insensatezza della sera, la
ine della gioventù, sono state le stagioni di Mattia e le
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