L\'Espresso - 04.08.2019

(Tina Sui) #1
Il ricordo

Paolo Sorrentino. Qui a ianco, il cast di
”Boris”. Nell’altra pagina, una scena del
ilm “Piovono mucche” (2002) di Luca
Vendruscolo, dove Mattia Torre è fra gli
sceneggiatori e anche fra gli interpreti.
Nella foto è al centro, in vestaglia e
pigiama


nostre. Una faccenda terribilmente seria, in realtà, lo ha
raccontato Paolo Sorrentino. La perfezione del pomerig-
gio, quando «qualche anno fa, verso le ore 15, vennero a
casa da me Mattia e Corrado Guzzanti. Si doveva proget-
tare, come spesso accade simultaneamente in tutta Ro-
ma, qualcosa per Corrado. Io dissi qualcosa tipo: Corrado,
potresti fare un vecchio nobile decaduto senza un occhio,
con una benda con su stampato lo stemma araldico oppure
una ricca signora russa che ha appena comprato una vil-
la in costa Smeralda, ma nella casa non funziona niente,
forse perché è infestata da maialini da latte. Bello, bello,
dissero Corrado e Mattia. Poi, silenzio. Corrado disse qual-
cosa tipo: a me interessano pure quei tizi con gli occhiali
e le giacche sbagliate che camminano sotto i muri solo la
domenica mattina presto e che ogni tanto urlano “Tiziana
sei una stronza”. E poi m’interessano quelli che sono bra-
vi a fare a mente le operazioni in matematica. Bello, bello,
dicemmo io e Mattia. Poi, silenzio. Mattia disse qualcosa
tipo: Corrado potresti fare un portiere di calcio calabrese,
imparentato con dei tizi loschi della N’drangheta, ma il suo
vero segreto è l’alluce valgo oppure un celebre astronauta
americano che sofre di vertigini. Bello, bello, dicemmo io e
Corrado. Poi, silenzio. Bevevamo tantissima acqua, faceva
tantissimo caldo. Passammo a qualche pettegolezzo im-
portante del momento e lì si registrò un leggero, maggiore
coinvolgimento emotivo di tutti e tre. Inine, ci salutammo.
Senza dirci, ci aggiorniamo, ci richiamiamo. Niente di nien-
te. Era andata benissimo. Perché si era consumata la per-
fezione del pomeriggio. Ovvero la perfezione dell’infanzia.
Senza scopo, senza obiettivi. Solo il gioco. I pomeriggi di
quando si era bambini. Io vorrei fare il subbuteo, io vorrei


fare nascondino, io guardie e ladri. Non si faceva niente. Si
è fatto tardi, devo tornare, Manuela si vuole idanzare con
Francesco, una itta di dolore sconosciuto, devo fare anco-
ra i compiti». La perfezione del pomeriggio, l’insensatezza
della sera, quando si giocava a Dizionario, scrivere il signi-
icato di una parola, «e Mattia mi raccontò che la deini-
zione più bella di tutte di una parola, tipo Nugale, l’aveva
data Pietro Sermonti che aveva scritto nel foglietto: “Stivale
rigido da torneo”. Ridemmo, come accadeva solo da ragaz-
zi, con le convulsioni. Stivale rigido da torneo è la dimo-
strazione del genio perché è la deinizione più assurda di
una parola e allo stesso tempo è perfettamente credibile. In
quattro parole, stivale rigido da torneo, è racchiusa tutta la
meravigliosa insensatezza delle sere vissute da adolescen-
te». E la ine della gioventù: «È una fatica essere adulti. È
così meraviglioso ingere di essere per sempre piccoli».
Bello, bello. Poi, silenzio. Niente di niente. Era andata be-
nissimo. La fatica di essere adulti. Di credere negli altri mo-
strando, invece, di non credere a nulla, per pudore, per au-
to-difesa. Di ingersi cinici, per sopravvivere alla ferocia. Di
restare inappartenenti e perciò davvero fedeli, perché oggi
l’unica fedeltà possibile è il tradimento dei fanatismi e la di-
serzione dei carrozzoni senza anima. Di rilanciare, sempre.
Rilanciare era uno degli slogan preferiti di Mattia, lo ha ri-
cordato Aprea. «Sul set ci sono i ragazzi delle generazioni
successive, trentenni precisi, puliti, lontani anni luce da
quelle igure tipiche del cinema che stanno sempre a van-
tarsi di aver lavorato con i mostri sacri», mi racconta Luca
Vendruscolo che con Giacomo Ciarrapico e con Mattia ha
irmato la serie “Boris” e che in questi giorni sta girando la
storia di un faccendiere costretto a vivere in una comune.
Free download pdf