L\'Espresso - 04.08.2019

(Tina Sui) #1
L’Italia più fragile

i documenti sono registrati solo in pdf, senza timbro né
irma. «C’è stata una gran fretta di decidere ruoli e incarichi»,
osserva critico Gianfranco Zanna, presidente di Legambien-
te Sicilia, pronto a dar battaglia anche in tribunale per quelle
che ritiene «vere e proprie forzature, come l’aver chiamato il
consiglio dei beni culturali ad approvare tutti i nuovi parchi
in un solo giorno». Assegnandovi poi i posti di comando. La
fretta corrisponde, secondo Musumeci, alla necessità di «far
turnare» i dirigenti in scadenza. «Ho voluto dare un segnale
di immediata operatività», ha dichiarato alla stampa: «met-
tendo in atto una rotazione nell’ottica che tutta l’amministra-
zione non deve considerare la propria posizione un fatto con-
solidato. È giusto che spostamenti sul territorio portino linfa
vitale, nel segno del movimento delle esperienze e delle cono-
scenze. Abbiamo il dovere di dare eicienza e accoglienza ai
siciliani e ai milioni di visitatori che accedono ai nostri luoghi
di cultura». Per scegliere i nuovi alieri della tutela, il governa-
tore si è basato esclusivamente su questa rotazione. Nessun
bando internazionale, nessuna selezione esterna, come avve-
nuto nel resto d’Italia dopo la riforma Franceschini. In Sicilia
i beni culturali sono competenza regionale e regionali resta-
no anche i vertici. Certo: il dipartimento ha un’abbondanza di
titolati fra i quali scegliere. Ai beni culturali isolani sono cen-
siti ben 147 dirigenti. Pochi meno di quanti ne conti l’intero
ministero per il resto del paese. È l’esito di una legge record


Amo visceralmente i siti archeologici in abbandono. Nei miei
viaggi alla ricerca di ogni più piccolo segno che testimoni
quel che è rimasto dell’antica civiltà greca, sono innumerevoli
i ricordi di un’esperienza estetica travolgente che ha a che
fare con la solitudine, il dominio della natura, l’immersione
in un mondo perduto che perduto non è affatto. Grecia,
Turchia, Italia. Un cancello aperto o una rete spaccata. Un
cartello esplicativo bruciato dal sole e illeggibile. Rovine che
si perdono fra l’erba secca e di cui è quasi impossibile intuire
il valore. Quando mi trovo in luoghi di questo genere, vengo
preso da una smania che tracima dai polmoni. Mi pare che il
tempo non sia passato mai, che il tempo non passi mai, che
non abbia senso. So benissimo, tuttavia, che il sogno di poter
vivere ancora esperienze da Grand Tour copre il lato oscuro
della medaglia: ossia l’incuria che sta gettando luoghi magici
nella distruzione dell’oblio. Così, se mi esalto a immergermi
solitario fra quattro pietre quasi inghiottite dal mare color del
vino, piango lacrime amare di fronte al degrado in cui versano
monumenti che da soli potrebbero costituire una ricchezza

immensa per il nostro Paese, e che invece sono consegnati
senza alcuna attenzione a sciami di visitatori frettolosi, fra
pezzi di bellezza inaudita privi di ogni spiegazione e custodi
stanchi in dal mattino riuniti in un angolo a fumare. Un
esempio su tutti, il meraviglioso teatro di Eraclea Minoa,
sulla costa meridionale di Sicilia, che ogni anno perde pezzi e
nessuno vuole mai occuparsene.
Poi ci sono le eccezioni assolute. La perfezione la incontrai
per caso, il giorno in cui tornai a visitare l’antica Akragas
dopo molti anni di lontananza. Nella “città più bella dei
mortali” come la deinì Pindaro, ero stato molte volte, ma
quello che trovai nel 2015, quando la visitai attentamente
seguendo le orme di Goethe nel bicentenario del “Viaggio
in Italia” mi sorprese. Lo splendore inarrivabile della
cosiddetta Valle dei Templi era circondato da una serie di
accorgimenti rarissimi in Italia. L’attenzione con cui erano
gestiti gli ingressi, la cordialità del personale, il percorso da
un tempio all’altro in un’estasi dei sensi segnata dalla cura
della macchia mediterranea, e inalmente un ponte pedonale

Stupore e splendore alla Valle dei Templi

di Matteo Nucci
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