L\'Espresso - 04.08.2019

(Tina Sui) #1

Foto: O. Rivera - AP / Ansa


Storie

G


uatemala. Esterno giorno. La
foresta è ombrosa, umida,
ostile. Nasconde gli anima-
li che la popolano: bisogna
interpretare i loro rumori e le impron-
te lasciate a terra per sopravvivere.
Orientarsi è molto diicile, la itta
vegetazione fa perdere qualsiasi  sen-
so della distanza e della dimensione.
L’impenetrabile coltre di rami e foglie
talvolta impedisce di vedere il cielo,
incutendo un senso di smarrimento.
Quando poi cala il buio la notte si tra-
sforma in un incubo, il senso di oppres-
sione e di disorientamento si amplii-
ca. La marcia nella giungla è sempre
molto lenta e parecchio diicoltosa, ci
vogliono tempi lunghi per coprire an-
che distanze minime.

Il terreno, soprattutto da giugno a
settembre, è costantemente bagnato
e viscido e la supericie sulla quale si
cammina è un unico tappeto di fango
e foglie in decomposizione. In queste
condizioni non è diicile slogarsi una
caviglia o rompersi una gamba. Chi
vi si addentra per sperimentare qual-
che ora di avventura, con pranzo al
sacco, vive un’esperienza fantastica,
consigliabile. Ma se devi attraversarla
come via di fuga, percorrendo a piedi
chilometri tra arbusti, liane ed enormi
radici che spuntano dal terreno, con
la speranza di oltrepassare un conine
che possa garantire una vita dignitosa,
è tutt’altra storia. In un attimo puoi ri-
trovarti coperto di insetti dalla testa ai
piedi o sei costretto a rompere, a gran
colpi di braccia, immense ragnatele
che impediscono il passaggio. Le con-
dizioni peggiorano nella stagione delle
piogge, a ogni passo è quasi inevitabile
sprofondare ino a mezza coscia nella
fanghiglia appiccicosa.
Lo sa bene Marco Elder, driver 35 enne
nato e cresciuto in Guatemala dove è ri-
masto ino ai 19 anni, quando ha deciso
di partire per gli Stati Uniti per rincor-
rere il sogno americano. Ha un bell’a-
spetto Marco. Alto, muscoloso, colori
poco latini: a Los Angeles, dove arriva
con pochi soldi e tanta determinazione,
sono un ottimo biglietto da visita. Trova
subito lavoro come autista per una ca-
sa di produzione cinematograica, per i
primi mesi si appoggia da amici. È scru-
poloso, preciso, sempre puntuale. Si fa
ben volere dall’amministratore delegato
che gli propone di passare alla sicurez-
za. Comincia così la sua vita da body-
guard, con stipendio quadruplicato e
assicurazione sanitaria pagata.
Sembra l’esistenza perfetta. Inizia a fre-
quentare una giovane attrice americana,
Monica, 22 anni, un isico da modella.
Vanno a vivere insieme a Malibù. Marco
ci resta ino ai 29 anni. Poi una notizia ir-
rompe nella sua quotidianità, che pensa-
va nulla potesse più turbare. Sua madre
si ammala, i medici le danno pochi mesi,
lui torna a casa per assisterla.
Quando lei muore, quasi un anno do-
po, Marco prova a rientrare negli Stati
Uniti, ma il suo permesso di soggiorno

temporaneo, nell’era di Trump, è car-
ta straccia.
È lui ad accompagnarmi sul “cammino”
dei migranti centroamericani percorso
per raccontare le nuove vie dei lussi mi-
gratori verso il Messico. Lui stesso lo ha
afrontato più volte per provare a torna-
re a Los Angeles, dove la sua compagna
era pronta a sposarsi per cercare di fargli
ottenere la cittadinanza. Dopo tre tenta-
tivi andati male, l’ultimo attraverso  la
giungla guatemalteca,  si è preso una
pausa dalla corsa al sogno americano.  
Ripresa la vecchia attività di driver co-
mincia a lavorare nel turismo come
guida e autista. Parla bene l’inglese e
l’alta presenza di vacanzieri statunitensi
tra Tikal, la più importante area arche-
ologica del Paese, e Antigua, con i suoi
monumenti di architettura barocca ot-
timamente conservati, non gli fa mai
mancare il lavoro. Davanti a una ciotola
di stufato, in un ristorante a conduzione
familiare lungo il conine del Guatema-
la, racconta di quanti come lui abbiano
fallito nel  pericoloso viaggio attraverso
la foresta, pagandola a caro prezzo. Ma-
ria, ad esempio, lunghi capelli ricci cor-
vini, la bellezza sfrontata dei 20 anni.

« L’


ho trovata sporca e
incrostata di sangue,
occhi sbarrati, davanti
a un bar dove chiede-
va l’elemosina. Era così bella e fragile»,
racconta Marco con un luccichio nel-
lo sguardo. «Le ho dato dei fazzoletti
umidiicati per pulirsi. Mi ha detto che
era insieme a un  gruppo di hondure-
gni con i quali voleva arrivare in Mes-
sico quando, arrivati al checkpoint, è
stata presa da alcuni agenti. Un vero e
proprio sequestro. L’hanno portata in
una stanza d’albergo, erano una mezza
dozzina. L’hanno violentata a turno, più
volte. Non riusciva nemmeno a cammi-
nare quando l’hanno lasciata andare.
All’uicio immigrazione dove ha trova-
to il coraggio di presentarsi, ha cercato
di denunciare quegli agenti ma l’unica
cosa che ha ottenuto è stato il foglio di
via con la domanda di asilo respinta».
Come Maria sono in migliaia a subire
la stessa sorte. Soprattutto le più giova-
ni. Un report condotto nel 2018 da

Migranti salvadoregni sul
iume Suchiate, al conine tra
Guatemala e Messico
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