2 Giovedì 1 Agosto 2019 Il Sole 24 Ore
Primo Piano
La Fed conferma le attese,
primo taglio dei tassi dal 2008
Mossa preventiva. La Banca centrale Usa riduce di punti base il costo del denaro per proteggere
l’economia dall’incertezza globale ma Powell parla di «aggiustamento», non di svolta: mercati delusi
20062007200820092010201120122013201420152016201720182019
Il paradosso
della Fed
La Banca centrale
Usa è chiamata
a ridurre il costo
del denaro malgrado
la disoccupazione
sia ai minimi
e l’economia
in espansione.
Ma l’inazione
resta bassa
RECESSIONE
Il precedente taglio dei tassi
16 dicembre 2008
0
2
6
8
10
12
3,7%
DISOCCUPAZIONE
2-2,5%
FED FUNDS
1,6%
INFLAZIONE USA
LUGLIO
2019
4,7%
DISOCCUPAZIONE
4,5%
FED FUNDS
4,0%
INFLAZIONE USA
GENNAIO
2006
Marco Valsania
La Federal Reserve ha mantenuto
gli impegni facendo scattare il pri-
mo taglio dei tassi d’interesse ame-
ricani dalla grande crisi e recessio-
ne del , una riduzione d’un
quarto di punto al %-, per cen-
to. La Fed ha rafforzato la sua scelta
di stimolo mettendo fine con due
mesi di anticipo al ridimensiona-
mento del portafoglio di asset ac-
cumulato con le strategie di Quan-
titative easing, tuttora pari a .
miliardi di dollari. Un’azione nel-
l’insieme disegnata per combattere
rischi di contagio dalla debolezza
globale e da tensioni commerciali,
mentre l’espansione americana,
oltrepassati record di longevità, re-
sta in carreggiata ma rallenta.
Il vertice Fed, che ha visto otto
voti a favore e due contrari all’in-
tervento, ha anche lasciato la porta
aperta a ulteriori tagli. «Agiremo in
modo appropriato per sostenere
l’espansione» ha fatto sapere. Nel
comunicato ha spiegato che l’eco-
nomia appare solida - con crescita
«moderata», occupazione «robu-
sta» e probabilmente capace d’una
continua marcia - ma di voler agire
alla luce di aumentate «incertez-
ze», delle «implicazioni degli svi-
luppi globali per l’outlook e delle
deboli pressioni inflazionistiche».
Il presidente della Fed Jerome
Powell ha tuttavia suggerito nella
conferenza stampa che potremmo
non essere all’inizio di un lungo ci-
clo di allentamenti ma piuttosto nel
mezzo di un «aggiustamento». Gli
indici di Borsa, che si aspettano ri-
petuti tagli anticipati dalle piazze
future a cominciare da settembre,
sono scivolati di circa l’ per cento.
Powell ha anche chiarito che
l’azione rappresenta una vera e
propria polizza di «assicurazione
contro rischi negativi». Ha citato
esplicitamente il declino del mani-
fatturiero e degli investimenti
aziendali sul fronte interno; scosse
commerciali e deludente anda-
mento economico all’estero; e ha
posto particolare accento su un’in-
flazione tuttora troppo labile.
Le sue parole mostrano come
l’intervento porti a compimento un
cambiamento avvenuto nelle valu-
tazioni di economia e politica mo-
netaria della Fed. Con limitati mar-
gini di manovra in caso di shock o
recessioni, perché i tassi sono tut-
tora relativamente bassi, la Fed ri-
tiene di dover agire subito in modo
preventivo, senza attendere rove-
sci, per essere più efficace. L’analisi
dello stato dell’espansione è a sua
volta mutato. Se in passato aveva
considerato la carenza di pressioni
sui prezzi un fenomeno tempora-
neo adesso, con l’inflazione que-
st’anno nuovamente sotto il %,
non ne è più convinta. L’abituale
relazione tra disoccupazione ai
minimi storici - ,% in giugno - e
aumenti dei prezzi va ripensata.
L’indice del costo del lavoro ha evi-
denziato ieri un deludente incre-
mento dello ,% nel secondo tri-
mestre rispetto al primo, e del ,%
su base annuale, il minimo dagli
inizi del .
E nuovi studi hanno mostrato
come ampi settori, da sanità a beni
durevoli, sembrino impervi a sali-
scendi della domanda.
Le ombre più pesanti, per la
Banca centrale, arrivano dai lega-
mi ormai molti stretti tra le econo-
mie mondiali, tali da rendere gli
Stati Uniti più vulnerabili a evolu-
zioni internazionali, in particolare
dopo che il Pil statunitense ha fre-
nato al ,% tra aprile e giugno. Gli
scontri sull’interscambio sono
tornati alla ribalta nelle stesse ore
del vertice Fed: un nuovo round
negoziale tra delegazioni di Stati
Uniti e Cina si è chiuso con un nul-
la di fatto, segnalando un cammi-
no ancora lungo e accidentato. Le
Fed ha infine indicato, sempre in
tema di globalizzazione, che non è
oggi opportuno scostarsi troppo
dai tassi dei partner per l’effetto
che questo può avere su mercati
dei capitali e valute e la Bce appare
qui pronta a spingersi ulterior-
mente in territorio negativo.
Quel che la decisione della Fed
per il momento non rivela, con la
sua difesa delle ragioni stretta-
mente economiche della decisio-
ne, è un genuflettersi alle pressio-
ni politiche esercitate dal presi-
dente Donald Trump: la Casa
Bianca, senza riguardo per l’indi-
pendenza della Banca centrale
considerata chiave di autorevolez-
za, ha lanciato un’aggressiva cam-
pagna per invocare tagli immedia-
ti dei tassi di un intero punto per-
centuale. Alla vigilia della mossa,
Trump aveva già dichiarato che
non era «sufficiente». Tweet dopo
tweet, Trump ha accusato Powell
di danneggiare l’economia ameri-
cana e permettere a rivali europei
e asiatici di avvantaggiarsi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Assicurazione
contro i rischi
globali.
Jerome Powell,
presidente Fed,
in conferenza
stampa
AP
L’ESPERIENZA DEL PASSATO
L’effetto sui bond? Sarà limitato nel tempo
L’avvio dei cicli precedenti
di tagli ha portato a ribassi
di rendimenti momentanei
Maximilian Cellino
Ingerire una buona dose di zuccheri
provoca in genere un effetto benefico
sul corpo umano, ma la carica di
energia che si ricava ha spesso una
durata limitata: dopo poco tempo la
sensazione di benessere è svanita e si
ritorna al punto di partenza, se non
più in basso. Qualcosa di molto simi-
le al «picco glicemico» lo si speri-
menta spesso anche sui mercati fi-
nanziari, in particolare quelli obbli-
gazionari, e nelle fasi attorno cui, co-
me ieri sera la Federal Reserve, le
Banche centrali sono alle prese con la
prima mossa di un ciclo ribassista sui
tassi di interesse.
La storia recente è in effetti ricca di
esempi simili: riferendosi agli Stati
Uniti e tornando indietro nel tempo
di anni incontriamo a partire dal
ben cinque episodi (oltre a quel-
lo attuale) in cui a Washington si è
iniziato ad agire sulla leva dei tassi.
«In ciascuno di questi cicli - osserva
Jamie Stuttard, co-responsabile del
team Global Macro di Robeco - i ren-
dimenti dei titoli di stato Usa a anni
sono diminuiti di almeno punti
base nei tre mesi precedenti il primo
taglio e in media di punti base dai
massimi raggiunti in precedenza».
Il fenomeno si è puntualmente ri-
petuto nel , prima di ieri, dato che
il tasso del Treasury biennale si è ri-
dotto di centesimi rispetto a fine
aprile e viaggia punti base al di
sotto dei massimi raggiunti lo scorso
autunno. Il fatto che la reazione sia
stata fino a questo momento più con-
tenuta non deve trarre in inganno,
perché lo stesso livello di partenza
(,%) stavolta era circa la metà ri-
spetto a quello medio dei precedenti
casi (circa il %). Simile anche la rea-
zione del credito, ovvero dei titoli ob-
bligazionari emessi da società, siano
esse di affidabilità elevata (investment
grade) o più rischiose (high yield).
Ancora più importante è però no-
tare cosa sia accaduto dopo che la Fed
ha dato il via alla stagione dei tagli e in
questo caso la reazione è duplice:
«Nel e nel gli spread del
credito sono diminuiti per tre-sei set-
timane in entrambi i periodi, mentre
gli indici azionari Usa toccavano nuo-
vi massimi storici», nota Stuttard, ag-
giungendo però che in seguito «i tassi
hanno ripreso il loro percorso ciclico
e nel lungo termine sono aumentati
in quasi tutti i periodi in cui la Banca
centrale Usa ha ridotto i tassi».
La situazione, pur con rare ecce-
zioni (il e il caratterizzato
dalle tensioni legate al crack del fon-
do Ltcm e dalla crisi russa) ricorda
quindi da vicino quella del «picco gli-
cemico» alla quale si accennava in
precedenza: un effetto limitato nel
tempo, che si sviluppa quasi intera-
mente prima dell’evento, seguito poi
da un graduale rientro alla normalità.
E che dal punto di vista del risparmia-
tore ha una semplice e diretta conse-
guenza: «È importante distinguere
tra un orizzonte di trading, che dura
generalmente fino a settimane e un
orizzonte di investimento, che si pro-
trae invece per - trimestri», spiega
ancora Stuttard. È vero che la storia
non si ripete necessariamente uguale
a se stessa, a maggior ragione quando
si parla di mercati finanziari, in questi
casi sarebbe però opportuno non far-
si troppo ingolosire dallo zucchero.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: Bloomberg,
calcoli Robeco
Rendimenti
dei Treasury USA
a due anni (%)
prima e dopo
il primo taglio
2,
1,
1,
0,
0
-0,
-1,
-1,
-64 -56 -48 -40 -32 -24 -16 -8 0 +8 +16 +24 +32 +40 +48 +56 +
1989
1995
1998
2001
2007
2019
Data del primo taglio
dei tassi Fed
GIORNI PRE
TAGLIO
GIORNI POST
TAGLIO
Il «picco glicemico» indotto dalla Federal Reserve
FALCHI & COLOMBE
COSÌ POWELL SEGUE
TRUMP E WALL STREET
—Continua da pagina
C
on tanti saluti all’ostentata
- ma inesistente – indipen-
denza della Fed.
Il presidente Powell ha
annunciato la decisione di ridurre di
venticinque punti base i tassi di in-
teresse. La ragione? Formalmente,
è la debolezza e l’incertezza del ciclo
economico, sintetizzata da un’ane-
mica crescita dell’inflazione. Ma è
una spiegazione che non sta in pie-
di, se si considera il percorso con cui
la banca centrale è arrivata alla mos-
sa di ieri. Il primo passo fu compiuto
nell’oramai lontano dicembre ,
quando la Fed alzò i tassi di interes-
se per la prima volta dall’inizio della
Grande Crisi. Erano passati mesi
dall’ultimo innalzamento dei tassi.
Già allora si poteva notare un ritar-
do della Fed nell’iniziare il processo
di normalizzazione della politica
monetaria, visto che nelle tre prece-
denti recessioni la Fed aveva rialza-
to i tassi rispettivamente dopo sette
mesi, mesi e mesi. L’avversio-
ne della Fed alla normalizzazione
era però giustificabile con il fatto
che la Grande Crisi aveva
rappresentato il peggior
evento congiunturale dal
Secondo Dopo Guerra. So-
no così passati tre anni, in
cui con estrema lentezza la
Fed ha dichiarato di voler
smantellare l’approccio
non convenzionale di ge-
stione della liquidità, fatto
di tre strumenti incrociati:
tassi a breve termine bassi,
acquisti e detenzione di titoli finan-
ziari eccezionali nella dimensione e
nella gamma, impegni vincolanti
sul percorso futuro di tassi e liquidi-
tà. Sono tre anni in cui alla presiden-
te Yellen è subentrato Powell, ma
non è cambiato l’approccio di fondo
che ha caratterizzato l’operato della
Fed: l’opacità.
Una moderna banca centrale deve
avere una funzione di reazione cre-
dibile e trasparente. Della politica
monetaria si devono conoscere i va-
lori numerici dei target, la struttura
effettiva e prospettica dei tassi di in-
teresse, nonché in che modo il lega-
me tra obiettivi e strumenti reagisce
quando ci sono shock. La Fed non of-
fre nulla di tutto questo. Non basta:
per tre anni ha detto di voler norma-
lizzare la politica monetaria, il che
avrebbe significato portare i tassi al
cosiddetto livello di neutralità. Que-
sto non è mai accaduto, anche per-
ché non sappiamo quale è il livello
dei tassi che la Fed giudica neutrale.
La Fed giustifica il fatto che la
normalizzazione della politica mo-
netaria è stata interrotta – ma era
mai iniziata? - perché la crescita dei
prezzi è anemica. Ma se è questa ra-
gione, la Fed dovrebbe annunziare
una politica reflattiva. Una politica
reflattiva è il risultato finale di tre
componenti: definizione degli obiet-
tivi, individuazione degli strumenti
coerenti con tali obiettivi, imple-
mentazione effettiva e prospettica
del legame tra obiettivi e strumenti.
Concretamente: il fatto che la Fed
abbia un obiettivo inflazionistico del
due percento è coerente con una po-
litica reflazionistica? E, dati gli obiet-
tivi, l’assenza di impegni vincolanti
della Fed sia sul profilo dei tassi di
interesse che su quello degli acquisti
di titoli sul mercato, riduce o aumen-
ta la credibilità della sua azione? Per
ultimo ma non ultimo quesito, la Fed
crede che la politica reflazionistica
debba essere applicata in modo gra-
duale, oppure radicale? Sono una se-
rie di domande senza risposta, pro-
prio perché nulla sappiamo sulla
funzione di reazione della Fed. Ag-
giungiamo che definire e mettere in
atto una politica reflazionistica è una
scelta rischiosa, dopo che per quat-
tro decenni il problema principale
della Fed è stato quello di dominare
e controllare l’inflazione, non quello
di stimolarla. Una banca
centrale prudente potrebbe
allora spiegare perché la
sua analisi dei costi e dei be-
nefici macroeconomica
consiglia di evitare scelte
temerarie; significherebbe
semplicemente riconoscere
i limiti della sua politica
monetaria. Ma la Fed non fa
neanche quello.
Ma allora perché i tassi
sono stati abbassati? L’analisi eco-
nomica ci suggerisce che i banchieri
centrali possono anche ragionare
come burocrati. I burocrati sono in-
teressati alla loro carriera, quindi al
consenso. E il consenso dei ban-
chieri centrali è legato alla benevo-
lenza di due attori: i politici ed i
mercati finanziari.
Con la mossa di ieri la Fed ha reso
felice sia il presidente Trump che
Wall Street. A parole, la dialettica tra
il presidente Powell e il presidente
Trump appare accesa. Ma se guar-
diamo i fatti, la Fed ha fatto quello
che Trump chiede da tempo, preoc-
cupato per il ciclo elettorale. Per quel
che concerne i rapporti tra la Fed e
Wall Street, la scelta di Powell e del
suo consiglio non rappresenterebbe
una novità. Dall’epoca di Greenspan
le decisioni della Fed hanno acco-
modato i desideri dei mercati finan-
ziari. L’effetto finale è stato la Gran-
de Crisi. Ma chi se ne ricorda? Poi
magari sia Trump che Wall Street
continueranno a lamentarsi. Ma è la
strategia del piangere e godere, co-
me la saggezza napoletana ben ri-
corda con un suo adagio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
di Donato Masciandaro
LE PRESSIONI
DI TRUMP
Le interferenze
della Casa Bianca
pesano come
un macigno sulle
scelte della Fed
Su
ilsole24ore
.com
Il governa-
tore della
Federal
Reserve
ha detto
che non
si è trattato
dell’inizio
di un lungo
ciclo di tagli
A luglio il settore privato
ha creato 156mila posti
MERCATO DEL LAVORO USA
A luglio il settore privato negli Usa ha creato 156mila posti di lavoro
rispetto a giugno. Il dato Adp (l’agenzia Automatic Data Processing, che
prepara le buste paga) è superiore alle previsioni di 150mila. Secondo Adp,
il cui rapporto anticipa quello di domani del governo, «il mercato del lavoro
resta solido ma ha iniziato a mostrare segni di debolezza».
AFP