Il Sole 24 Ore - 07.08.2019

(Dana P.) #1

18 Mercoledì 7 Agosto 2019 Il Sole 24 Ore


Commenti


CORPORATE GOVERNANCE


UN PONTE SOLIDO


TRA INVESTITORI


ED ECONOMIA REALE


L


o scorso ° agosto Marco Giorgino e Stefano Pre-


da in un loro intervento sul Sole  Ore (”Regole
semplici e proporzionate per board migliori”)

hanno sottolineato gli effetti che, nel corso di
venti anni, ha generato l’introduzione del Codi-

ce di autodisciplina per le società quotate, con


positive conseguenze – riconosciute anche dagli investi-
tori – su ruolo e operato dei board. Maggiore controllo del

rischio, migliore trasparenza sulla gestione ordinaria e su


quella strategica e, più di recente, crescente attenzione ai
temi di sostenibilità: sono solo alcuni dei risultati virtuosi,

che ha saputo generare questo percorso di progresso su


corporate governance, anche all’interno dell’approccio Esg
(Environment, social and governance). In tale contesto, è

rilevante sottolineare l’importanza della flessibilità nel-


l’applicazione delle regole di governance, senza trascurar-
ne gli elementi fondamentali, per le piccole e medie im-

prese non quotate. Come è possibile identificare oggi una


società redditizia? Non (solo) dalla capacità di generare
utile, ma anche, attraverso una rendicontazione non fi-

nanziaria, dall’esistenza di buone regole di governance.


Tale evidenza aumenta la fiducia del mercato sulle pro-
spettive di lungo periodo dell’investimento, garantendo

all’impresa un più ampio ed economico accesso ai capitali.


Ritengo che proprio l’attenzione agli elementi di corpo-
rate governance rappresenti il trait d’union tra due tenden-

ze che l’industria del private banking – che a livello nazio-


nale gestisce oltre  miliardi di euro e svolge un’attività
di consulenza per la crescita e la conservazione dei patri-

moni delle famiglie benestanti – sta cercando di sostenere


e rafforzare nell’interesse della sua clientela e del Paese nel
suo complesso: l’investimento in strumenti finanziari a

sostegno dell’economia reale e le strategie Esg.


Il cliente private disponendo di patrimoni ampi, larga-
mente diversificati e senza esigenze di immediata liquida-

bilità, possiede caratteristiche che si adattano perfetta-
mente a investimenti di medio e lungo periodo a sostegno

dell’economia reale, come il finanziamento di progetti di


crescita delle piccole e medie imprese.
Lo sviluppo dell’offerta di strumenti finanziari investi-

bili in economia reale alla clientela private – in presenza


di tassi di interesse bassi, se non negativi, e di elevata vola-
tilità dei mercati azionari – è determinata dall’obiettivo di

migliorare e stabilizzare le performance dei portafogli fi-


nanziari, in un orizzonte di lungo periodo, ampliando per
questa via le fonti di finanziamento degli investimenti

anche per la nostra economia.


Allo stesso tempo, è evidente la crescita della gamma
di offerta di strategie di investimento Esg, dovuta sia a

spinte provenienti dall’industria del risparmio gestito, sia


da un maggiore interesse per questi temi da parte degli
investitori individuali. A dimostrazione di questa tenden-

za, nella ricorrente indagine sulla clientela private condot-


ta da Aipb, il % dei rispondenti giudica positivamente
gli investimenti Esg, riconoscendone gli effetti positivi per

le future generazioni e la metà di questi vede al primo


posto la governance fra i  elementi caratterizzanti tale
strategia di investimento.

Risulta quindi evidente l’effetto moltiplicativo sui capi-


tali che si renderebbero disponibili dalla combinazione di
queste due tendenze, oltre – parallelamente – a un’ulte-

riore opportunità di ridurre l’eccessiva esposizione delle


imprese ai finanziamenti bancari.
Il consulente private può ricoprire un ruolo fonda-

mentale su entrambi i fronti. Da un lato, può sensibiliz-


zare i clienti imprenditori, che rappresentano in media
oltre il % della sua clientela, sull’importanza di mettere

in luce i punti di forza in tema di sostenibilità della loro
attività – come l’attenzione al territorio in cui operano

e la sensibilità sociale, sviluppata anche dall’abitudine


di lavorare con criteri di filiera – caratteristiche queste
possedute, in molti casi, in maniera “inconsapevole” e

che necessitano una rendicontazione professionale, per


poter entrare nelle valutazioni dagli operatori specializ-
zati in strategie Esg. In questo ambito, il consulente può

inoltre aiutare l’imprenditore a riconoscere le aree da


rafforzare in termini di buona governance con riferimen-
to, ad esempio, ai processi di successione, alla presenza

di competenze diversificate e di figure indipendenti nel


Consiglio di amministrazione ecc.
Dall’altro lato, il consulente private ha l’opportunità di

informare ancor meglio i propri clienti sugli elementi ca-


ratterizzanti un investimento Esg e sull’importanza della
valutazione di una buona governance nel processo di sele-

zione delle società in cui investire.


È quindi auspicabile – come ipotizzano Preda e Giorgi-
no – che, alla luce dell’esperienza positiva del Codice, dopo

venti anni, si punti a risultati «anche al di fuori del nucleo


delle società quotate di maggiore dimensione». L’indu-
stria del private banking è pronta a fare la propria parte.

Segretario generale Aipb, Associazione italiana private banking


© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Antonella Massari


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SORPRESA, NELLA PRODUTTIVITÀ


ITALIA BATTE GERMANIA E FRANCIA


A


bbiamo già dimo-


strato in più occa-
sioni che non è l’in-

dustria che frena la
produttività aggre-

gata italiana bensì


altre cause quali le diffuse ineffi-
cienze del settore pubblico e della

burocrazia, il basso valore ag-


giunto delle reti e di molti servizi
locali, i ritardi nel digitale, la crisi

delle banche. Conseguentemente,


anche molti luoghi comuni sulle
ragioni della debole competitività

dell’economia italiana, attribuita


spesso rozzamente proprio alla
prevalente presenza di piccole e

medie imprese ritenute poco pro-


duttive nel nostro sistema mani-
fatturiero, vanno rivisti.

Il contributo dell’industria
Anche alcuni recenti dati Istat in-

dicano chiaramente che l’industria


ha dato il maggior contribuito - per
circa i tre quarti del totale - alla

crescita della produttività aggre-


gata del lavoro in Italia nel periodo
- (https://www.istat.it/

it/files////Misure-produt-


tivita__ottobre.pdf). Tuttavia,
pur assodato ciò, una critica fre-

quente è che la nostra industria,


nel raffronto con le altre econo-
mie europee, ha spesso eviden-

ziato una dinamica della produt-


tività inferiore o insoddisfacente.
Ciò è sicuramente stato vero nel

passato ma le statistiche di conta-


bilità nazionale di Eurostat ag-
giornate al  evidenziano mi-

glioramenti molto significativi


negli ultimi anni.
Infatti, per la prima volta nel-

l’era dell’euro la produttività del
lavoro italiana nell’industria ma-

nifatturiera (data dal rapporto tra


il valore aggiunto lordo a valori
concatenati  e gli occupati)

nell’ultimo quadriennio -


è cresciuta di più di quella degli
altri tre maggiori Paesi della mo-

neta unica (Germania, Francia,


Spagna). Un evento che non era
mai accaduto nei precedenti

quattro quadrienni (-;


-; -; -),
quando invece eravamo stati

sempre ultimi dietro agli altri tre


nostri principali competitor. Que-
sta novità positiva è stata in gran

parte la diretta conseguenza delle


prime serie riforme del mercato
del lavoro (Jobs act, decontribu-

zioni) e del finanziamento dell’in-


novazione in beni capitali (super-
ammortamento, Industria .)

avvenute in Italia dopo che per


anni erano state invano invocate.


Il grande balzo in avanti


Nel quadriennio -, la pro-
duttività media del lavoro del-

l’industria manifatturiera è così


aumentata nel nostro Paese com-
plessivamente del ,% in termi-

ni reali, contro una crescita del


,% in Francia, del ,% in Ger-
mania e del ,% in Spagna. Un

risultato notevole, anche perché


la nostra produttività manifattu-
riera non era mai cresciuta così

tanto nei precedenti quattro qua-


drienni dell’era dell’euro. Dun-
que, non è affatto scritto nella

pietra che l’Italia debba essere


sempre ultima in Europa, tanto-
meno nella dinamica della pro-

duttività. Per marcare un cambio


di passo era infatti sufficiente
mettere le imprese nelle condi-

zioni di lavorare al meglio, con


riforme che rendessero più effi-
cienti e incentivanti i mercati del

lavoro e dei beni capitali. Pur-


troppo, questa via, che era stata
coraggiosamente imboccata so-

prattutto nel triennio -,


sembra ora compromessa dalla
marcia indietro politica e deci-

sionale che ha paralizzato il Pae-


se nell’ultimo anno, riportandolo
a logiche elettorali di deficit spen-

ding e di assistenzialismo che so-
no di per sé generalmente dan-

nose, ma che lo sono ancora di


più oggi considerando anche il
rallentamento economico in cor-

so che richiederebbe invece ur-


genti interventi pro crescita.


Il primato della manifattura


Anche analizzando comparativa-


mente, per settori e per classi di
addetti, la produttività manifat-

turiera italiana emergono dati per


molti aspetti sorprendenti. Infat-
ti, le più recenti statistiche strut-

turali dettagliate di Eurostat, re-
lative al , fotografano uno

stato di salute della manifattura


italiana post-crisi eccellente. In-
tanto scopriamo che a livello ag-

gregato la produttività del lavoro


italiana nella manifattura è la più
alta tra i quattro maggiori Paesi

euro nelle imprese piccole da  a


 addetti e in quelle medie da 
a  addetti, cioè nell’ossatura

del nostro cosiddetto “quarto ca-


pitalismo”. Inoltre, il nostro ma-
nifatturiero è secondo per pro-

duttività solo alle imprese france-


si anche nella classe - addetti.
Ciò nonostante, nel confronto

con la Germania presa come ben-


chmark, si potrebbe obiettare che
la nostra produttività media ma-

nifatturiera complessiva (.


euro per occupato) è molto infe-
riore a quella tedesca (. eu-

ro). E facile sarebbe la tentazione


di scaricare sulla nostra piccola
dimensione di impresa la pre-

sunta causa principale di tale di-


vario. Ma non è così. Vivisezio-
nando i dati della produttività,

infatti, scopriamo che sono so-


prattutto i settori di specializza-
zione e solo secondariamente le

dimensioni di azienda a fare la


differenza. Infatti, senza l’auto-
motive, in cui le grandi imprese

tedesche eccellono non solo a li-


vello europeo ma mondiale, la
produttività del lavoro manifat-

turiero è più alta in Italia che in
Germania anche nelle grandi im-

prese con oltre  addetti!


Il peso delle microimprese
Cioè, senza automotive la produt-

tività media manifatturiera tede-


sca è superiore a quella italiana
esclusivamente nelle microim-

prese con meno di  addetti e se


noi e i tedeschi “rinunciassimo”
a queste ultime essa diventereb-

be all’incirca uguale. Ma “rinun-


ciare” alle nostre microimprese
solo per inseguire un “primato

statistico” teorico e eguagliare a


tutti i costi la Germania per pro-
duttività media aggregata mani-

fatturiera non avrebbe alcun sen-
so. Infatti, privandosi delle sue

microimprese manifatturiere


l’Italia non soltanto perderebbe
una rete nevralgica di relazioni e

subforniture, specie all’interno


dei suoi distretti industriali, ma
si vedrebbe anche amputata dei

circa  miliardi di Pil e dei circa


mila occupati delle sue stesse
microimprese.

Emblematico è il caso dei set-


di Marco Fortis


tori tradizionali. Nel settore tessi-


le, ad esempio, la Germania ci bat-
te per produttività aggregata

(mila euro per occupato contro
i nostri mila). Se noi e i tedeschi

“rinunciassimo” ad avere le mi-


croimprese tessili con meno di 
occupati, la nostra produttività

media statisticamente migliore-


rebbe e supererebbe quella tede-
sca (mila euro contro mila).

Inoltre, resteremmo comunque il


primo Paese tessile dell’Ue, con
un valore aggiunto di  miliardo e

 milioni di euro più alto di


quello tedesco. Ma perché mai,
solo per innalzare la nostra pro-

duttività, dovremmo “rinunciare”


agli oltre  milioni di euro e agli
oltre mila occupati garantiti

dalle nostre microimprese tessili?


Un discorso analogo vale anche
per altri settori della manifattura

tradizionale come ad esempio i


mobili. In questo settore, senza le
microimprese la nostra produtti-

vità media supererebbe quella te-


desca, ma perderemmo oltre  mi-
liardo di euro di valore aggiunto

e oltre mila occupati.


La latitanza della politica


Torniamo dunque daccapo. Il


settore manifatturiero italiano si
è molto rafforzato negli ultimi

anni e oggi è un punto di eccel-


lenza per crescita ed efficienza.
Se l’Italia vuole davvero affron-

tare la sfida della sua debole pro-


duttività totale deve migliorare
soprattutto in quei settori che

zavorrano il nostro Pil e sembra-


no refrattari e impermeabili a
qualsiasi serio tentativo di rifor-

ma. Per fare ciò non servono ste-


rili dibattiti tra economisti e opi-
nionisti che giudicano perenne-

mente con biasimo le nostre Pmi
e che sono perennemente afflitti

dal fatto che l’Italia non possieda


grandi gruppi come quelli tede-
schi. Serve bensì una politica co-

raggiosa sul settore pubblico e


sulla burocrazia (che sono cru-
ciali per la semplificazione), sul-

le infrastrutture e sul Mezzo-


giorno (che sono cruciali per la
crescita complessiva del Paese).

Purtroppo, però, di questo tipo di


politica per ora non si vede nem-
meno l’ombra.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL SOLE 24 ORE
1° AGOSTO 2019

Stefano Preda


e Marco Giorgino
hanno

sottolineato


gli effetti generati
dell’introduzione

del Codice


di autodisciplina
per le società

quotate.


DAL 2015 AL 2018


SIAMO CRESCIUTI


PIÙ DEGLI ALTRI


MAGGIORI PAESI


DELLA MONETA


UNICA IN EUROPA


Produttività del lavoro a prezzi costanti nell’industria manifatturiera. Valore aggiunto lordo per occupato, dati di contabilità nazionale, variazioni nei cinque quadrienni dell’era dell’euro


Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati Eurostat

ITALIA GERMANIA FRANCIA SPAGNA
124

120

116

112

108

104

100

96

92

88

84

80

1999 2002 2003 2006 2007 2010 2011 2014 2015 2018


1999-


Base 1999 = 100


2003-


Base 2003 = 100


2007-


Base 2007 = 100


2011-


Base 2011 = 100


2015-


Base 2014 = 100


Il confronto

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