Le Scienze - 08.2019

(Ann) #1

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20 Le Scienze 6 12 agosto 2019


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© CSIRO, Dragonfly Media

ASTROFISICA

La seconda volta di un lampo radio veloce


Individuata un’altra sorgente extragalattica di queste emissioni brevi e intense


I lampi radio veloci (FRB, dall’inglese «fast
radio bursts») sono intense emissioni ra-
dio molto brevi – tipicamente dell’ordine
del millesimo di secondo – provenienti da
sorgenti lontane. La casualità e la fugaci-
tà delle loro apparizioni rende molto com-
plessa l’individuazione della sorgente di
origine. Ora, però, un gruppo guidato da
Keith Bannister, dell’australiana Common-
wealth Scientific and Industrial Research
Organisation (CSIRO), ha annunciato di
aver localizzato la sorgente da cui provie-
ne FRB 180924, un FRB non ripetitivo, uno
di quelli che si verificano una volta sola,
che sono la quasi totalità di questi lampi.
Dei circa 90 FRB osservati fino a oggi, solo
tre sono ripetitivi. Di questi ultimi, quello
con la sigla FRB 121102 è l’unico di cui è sta-
ta individuata la galassia ospite.
Individuare la galassia di partenza di un
FRB non ripetitivo è molto più complesso,
perché in generale l’accuratezza della po-
sizione in cielo non è sufficiente per loca-
lizzarli all’interno di una singola galassia
ospite. Il risultato di Bannister e colleghi
su FRB 180924, descritto su «Science», è
stato ottenuto grazie al radiotelescopio Au-
stralian Square Kilometre Array Pathfin-
der (ASKAP), che per primo ha osservato il
lampo, e a tre grandi telescopi ottici subito


allertati: Keck, VLT e Gemini South. La ga-
lassia ospite del lampo, di dimensioni con-
frontabili alla nostra, dista 3,6 miliardi di
anni luce da noi e ha un basso tasso di for-
mazione stellare. Il lampo è stato localiz-
zato in una zona periferica della galassia, a
13.000 anni luce di distanza dal suo centro.
La galassia ospite di FRB 180924 ha ca-

ratteristiche molto diverse rispetto a quel-
la di FRB 121102, a indicare che, forse, ci
sono almeno due tipi di «progenitori» di
questi lampi, di cui ancora oggi non cono-
sciamo l’origine, per quanto siano sicura-
mente associati a fenomeni astrofisici di al-
ta energia.
Emiliano Ricci

Un nuovo tassello per la particella di Majorana

Nel 1937, pochi mesi prima della sua misteriosa scomparsa, il fisico
italiano Ettore Majorana teorizzò una particella con una proprietà
molto particolare: è l’unica a essere l’antiparticella di sé stessa. Solo
negli ultimi anni alcuni esperimenti hanno evidenziato forti indizi
dell’esistenza di questa particella, detta appunto di Majorana, tuttavia
molte sue proprietà restano ancora misteriose. Ad aggiungere un
tassello importante arriva ora uno studio pubblicato su «Science»
da un gruppo di ricerca guidato da Ali Yazdani, della statunitense
Princeton University, secondo cui sotto certe condizioni sperimentali le
particelle di Majorana sono stabili e molto robuste, aprendo la strada a
interessanti applicazioni.
Per via delle loro caratteristiche così peculiari, le particelle di Majorana
possono essere osservate solo in condizioni fisiche molto particolari. Per
riuscire a «scovarle» è indispensabile avere a disposizione un materiale
superconduttore (ovvero un materiale in cui la corrente elettrica scorre
senza resistenza) sul quale «appoggiare» uno strato sottilissimo di atomi

magnetizzati (per esempio di ferro). Yazdani e colleghi hanno verificato
che un metodo ancora più efficiente per osservare e controllare la
particella di Majorana è combinare un superconduttore a un «isolante
topologico», ovvero un materiale in cui gli elettroni scorrono solo lungo
i bordi, in presenza di un campo magnetico. In particolare i ricercatori
sono riusciti a osservare particelle di Majorana nel «canale» formatosi
tra il bordo dell’isolante topologico e il superconduttore, verificando
anche una proprietà imprevista: le particelle si osservano solo se il
campo magnetico è orientato in direzione parallela al flusso di elettroni
nel canale.
Secondo Yazdani e colleghi, le particelle di Majorana osservate in
questo particolare dispositivo sperimentale sono molto resistenti alle
alte temperature e alle imperfezioni del materiale. Queste proprietà
le rendono candidate molto interessanti per esempio per rendere più
stabili i qubit, le unità di informazione dei computer quantistici.
Matteo Serra
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