Le Scienze - 08.2019

(Ann) #1

34 Le Scienze 6 12 agosto 2019


per le osservazioni alla scala dei nuclei, perché i quark e i gluo-
ni che vorremmo osservare rischiano di rimanere entangled con
quello che usiamo per guardarli: nel caso del DIS, dunque, con il
fotone virtuale. Sembra impossibile definire che cosa sia la strut-
tura dei nucleoni se quello che osserviamo dipende dal modo in
cui lo osserviamo.
Fortunatamente, negli anni settanta la QCD era progredita a
sufficienza da permettere di capire come tenere separati la sonda
e il bersaglio negli esperimenti DIS: la cosiddetta fattorizzazione.
A energie sufficientemente elevate, è in sostanza possibile ignora-
re gli effetti dell’entanglement quantistico sotto certi presupposti,
sufficienti per descrivere la struttura del protone in una dimensio-
ne. Si riusciva quindi a ricavare dagli esperimenti DIS una misura
della probabilità che un dato quark in un protone desse un certo
contributo alla quantità di moto in avanti.
I progressi teorici più recenti ci hanno permesso di spingerci
oltre, e di descrivere la struttura interna dei nucleoni in più di una
dimensione: non solo quanto quark e gluoni contribuiscano alla
sua quantità di moto in avanti, ma anche quanto si muovano late-
ralmente all’interno del nucleone.
Il vero passo avanti, però, verrà con l’EIC.

Il collisore elettroni-ioni
Grazie all’EIC avremo la prima mappa tridimensionale dell’in-
terno di un nucleone. Prevediamo che il collisore permetterà di
misurare le posizioni e le quantità di moto di quark e gluoni e
quanto ognuno contribuisca alla massa e allo spin
complessivi del nucleone.
Il principale passo avanti dell’EIC rispetto ai
precedenti esperimenti DIS è la sua luminosità:
produrrà tra 100 e 1000 volte più collisioni al mi-
nuto di HERA, per esempio. Inoltre le alte energie
dei fasci in collisione dell’EIC permetteranno di ri-
levare distanze dell’ordine dei centesimi del dia-
metro di un protone, il che permetterà di esplora-
re le regioni in cui c’è un gran numero di quark e
gluoni, ognuno dei quali trasporta circa lo 0,01 per
cento della quantità di moto in avanti del protone.
L’EIC ci permetterà anche di controllare l’allinea-
mento dello spin delle particelle nei suoi fasci, per
poter studiare come lo spin del protone emerge
dalle interazioni QCD di quark e gluoni. Una vol-
ta incorporate nell’attuale quadro teorico, le misurazioni dell’EIC
ci permetteranno, per la prima volta, di creare una vera immagine
tridimensionale del protone in termini di quark e gluoni.
Ci sono molte domande su cui speriamo di fare progressi: per
esempio, i costituenti del protone sono distribuiti uniforme-
mente al suo interno o si ammassano insieme? Alcuni contribui-
scono più degli altri a massa e spin della particella? E quale ruolo
svolgono quark e gluoni nel legare insieme protoni e neutroni nel-
la formazione dei nuclei? Negli esperimenti a livello femtoscopico
siamo solo agli inizi delle indagini su questi problemi, e l’EIC sarà
la prima macchina che potrà darci le risposte complete.
Una delle più grandi incognite in quello che sappiamo della
struttura dei nucleoni è che cosa accada se osserviamo queste par-
ticelle con una sonda estremamente piccola a scale molto ridotte,
ed è qui che cominciano a succedere cose strane. La QCD prevede
che sondando a energie sempre più alte si troveranno sempre più
gluoni. I quark possono irradiare gluoni, e questi gluoni a loro vol-
ta irradiano ulteriori gluoni, in una reazione a catena. Stranamen-

la lunghezza d’onda di un raggio X è simile alle dimensioni di un
atomo, dandoci la possibilità di sondare la scala delle distanze ato-
miche, che sono dell’ordine dei nanometri (10–9 metri). Allo stesso
modo, i fisici hanno «visto» per la prima volta i quark cinquant’an-
ni fa in un esperimento in cui furono fatti collidere elettroni e pro-
toni nel cosiddetto scattering anelastico profondo (DIS).
Con questo metodo, un elettrone rimbalza contro un protone (o
un neutrone o un nucleo) e scambia un fotone virtuale; quest’ulti-
mo non è esattamente reale, bensì appare e scompare rapidamen-
te come conseguenza della meccanica quantistica, che governa le
interazioni tra le particelle. Misurando attentamente l’energia e
l’angolo del diffusione dell’elettrone, otteniamo informazioni su
quello che ha colpito.
La lunghezza d’onda del fotone virtuale negli esperimenti DIS
è alla scala dei femtometri (10–15 metri), l’ordine di grandezza del
diametro del protone. Quanto maggiore è l’energia della collisio-
ne, tanto minore è la lunghezza d’onda del fotone virtuale; e mino-
re è questa lunghezza d’onda più precisa e localizzata la rilevazio-
ne. Se la lunghezza d’onda è sufficientemente piccola, l’elettrone
in sostanza rimbalza contro uno dei quark all’interno del protone
(anziché sull’intero protone), permettendoci di dare una sbirciati-
na alla struttura interna della particella.
Il primo esperimento DIS fu il progetto SLAC-MIT, presso quel-
lo che allora era lo Stanford Linear Accelerator Center (SLAC), che
nel 1968 ottenne la prima prova dell’esistenza di quark, scoperta
per cui ai responsabili dell’esperimento fu asse-
gnato nel 1990 il Nobel per la fisica. Esperimenti
simili hanno fatto scoprire che i quark all’inter-
no di protoni e neutroni liberi e quelli all’interno
dei nuclei si comportano in modo molto diverso
e, inoltre, che gli spin del protone e del neutrone
non derivano dagli spin dei quark costituenti, co-
me ci si aspettava.
Questo risultato, ottenuto prima per i proto-
ni, è stato definito «crisi dello spin del protone». Il
primo collisore DIS, in cui sia elettroni che proto-
ni venivano accelerati prima di collidere, fu l’Ha-
dron-Electron Ring Accelerator (HERA) presso il
centro di ricerca Deutsches Elektronen-Synchro-
tron (DESY) di Amburgo, in Germania, che è sta-
to in funzione dal 1992 al 2007. Gli esperimenti
con HERA hanno mostrato che quella che si riteneva una sem-
plice configurazione di tre quark all’interno di ciascun protone e
neutrone poteva in effetti diventare una «zuppa» di particelle in
cui numerosi quark e gluoni compaiono e scompaiono all’istante.
HERA ha notevolmente migliorato la nostra comprensione della
struttura dei nucleoni, ma non ha risolto la crisi dello spin ed era
priva dei fasci di nuclei necessari per studiare il comportamento
dei quark e dei gluoni nei nuclei.
Un fattore importante, che complica tutte le osservazioni a
questa scala, è la stranezza della meccanica quantistica. Le sue
leggi descrivono le particelle subatomiche come nubi di probabi-
lità, non come qualcosa che esiste in stati specifici in luoghi e tem-
pi determinati: dobbiamo pensare ai quark come a qualcosa che
esiste in un numero infinito di configurazioni simultaneamente.
Bisogna inoltre considerare l’entanglement, il fenomeno quanti-
stico per cui due particelle possono connettersi in modo che i lo-
ro destini rimangono legati anche dopo che si sono separate. L’en-
tanglement potrebbe rappresentare un problema fondamentale


Manipolando

quark e gluoni

si potrebbe

creare una

tecnologia

un milione

di volte più

potente della

nanotecnologia

continua da p. 29

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