70 Le Scienze 6 12 agosto 2019
Ci eravamo concentrati su un tessuto particolare, il tessuto adi-
poso bruno, che è in grado di produrre calore consumando ener-
gia. Attivarlo avrebbe significato stimolare il consumo energetico,
e indurre quindi una perdita di peso.
In quel periodo si sapeva poco su come il cervello controlla
questo particolare tessuto. Addirittura non si era sicuri che fosse
attivo e funzionale negli esseri umani (è stato dimostrato con cer-
tezza solo in seguito, nel 2009). Ma come si può attivare il tessu-
to adiposo bruno? Diverse aree cerebrali sembravano controllar-
lo; la più interessante si trova in una regione antica del cervello, il
tronco dell’encefalo, e si chiama Rafe pallido. I neuroni di questa
regione agivano come un interruttore. Una volta accesi, erano in
grado di aumentare enormemente il consumo energetico dell’or-
ganismo. Ma nessuno aveva mai pensato di provare a spegnerli.
Questa semplice idea, spegnere anziché accendere, ci ha aperto
una finestra su una linea di ricerca inaspettata e per noi completa-
mente nuova: simulare l’ibernazione.
Prima di scendere nei dettagli di come si potrebbe sfruttare il
cervello per questo, è necessario però percorrere un po’ a ritroso
la storia di questa affascinante condizione. Che cos’è l’ibernazio-
ne? E, soprattutto, che cosa non è?
L’ibernazione è da noi più conosciuta con il termine gergale di
letargo. Una condizione nota da tempo, di cui nel 1700 parlò an-
che Lazzaro Spallanzani nei suoi diari. Fra gli appassionati di mon-
tagna si può ascoltare il racconto ricorrente di come le marmot-
te scompaiono tutte più o meno nello stesso giorno d’autunno,
per poi ricomparire, sempre all’unisono, in un giorno di primave-
ra. Dove sono andate in questi mesi? Sono andate in letargo, o, più
propriamente, in ibernazione. Sempre nel lessico gergale, siamo
abituati a pensare a questa condizione come a un lungo sonno. Chi
non ha desiderato almeno una volta di restare «in letargo» sotto le
coperte nelle fredde mattine d’inverno? In realtà non c’è niente di
più diverso.
L’ibernazione è uno stato che stiamo imparando a conosce-
re adesso e che è molto differente dal sonno, sia esso REM o non
REM, dal coma, dall’anestesia generale e da ogni altro stato cono-Henning Dalhoff/SPL/AGF (
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)
Matteo Cerri, è medico, ricercatore al Dipartimento di scienze biomediche e neuromotorie
dell’Università di Bologna, membro del Topical Team Hibernation dell’Agenzia spaziale
europea, associato all’Istituto nazionale di fisica nucleare e nel direttivo della Società italiana di
neuroetica. Si occupa di neuroscienze del sistema nervoso autonomo e di fisiologia integrativa.ll’inizio degli anni duemila negli Stati Uniti una parte del mondo della ricer-ca cercava di capire come arginare la cosiddetta «epidemia di obesità». L’ap-proccio a questa malattia è complesso ma, semplificando all’eccesso, sipuò dire che se l’apporto energetico supera la spesa, l’eccesso viene ac-cumulato in forma di grasso. Su questa base, una linea di interventoper combattere l’obesità mirava ad aumentare il consumo energetico dell’organismo. Ungruppetto di ricercatori, con il quale mi ero trovato a lavorare durante il mio periodo dipost-dottorato negli Stati Uniti, cercava di percorrere faticosamente questa via.Alcuni animali sono in grado di
ridurre enormemente il consumo
energetico del proprio corpo in
modo autonomo. Questo fenomeno
è chiamato torpore e può durare per
ore o giorni. Se gli episodi di torporesi susseguono uno dopo l’altro,
allora può verificarsi l’ibernazione, o
letargo, che dura mesi.
Gli scienziati studiano da tempo i
meccanismi alla base del torpore
negli animali. Raggiungere lacapacità di simulare uno stato
di torpore negli esseri umani
sarebbe un traguardo epocale,
con importanti applicazioni nella
medicina e nell’esplorazione
spaziale.Negli ultimi anni sono stati fatti
passi in avanti per indurre il
torpore sintetico in una specie
che non iberna. Ma la strada per
un’eventuale applicazione all’uomo
è ancora lunga.