Le Scienze - 08.2019

(Ann) #1

72 Le Scienze 6 12 agosto 2019


Biosphoto/AGF

comparsa di aritmie cardiache. Riuscire a salvare più cervello pos-
sibile nelle condizioni citate sarebbe quindi di grande utilità cli-
nica, innanzitutto per i pazienti, che avrebbero una prognosi mi-
gliore, ma anche per i sistemi sanitari, perché la riabilitazione dei
danni conseguenti a ictus è una voce sempre più importante del-
la spesa sanitaria.
Fin dall’inizio questo obiettivo ha guidato la ricerca del settore,
ma negli ultimi anni sono emerse molte altre potenzialità applica-
tive legate al torpore. Per esempio, il sistema nervoso degli anima-
li che vanno in torpore mostra eventi sorprendenti.
I neuroni, ovvero le principali cellule del sistema nervoso cen-
trale, formano fra loro un numero astronomico di contatti, chia-
mati sinapsi. Nel torpore le sinapsi, che permettono ai neuroni di
comunicare fra loro, sono in gran parte riassorbite; alcune protei-
ne, come quella chiamata «tau», che regolano la funzione dell’im-
palcatura che dà la forma ai neuroni, mostrano modifiche che si
osservano normalmente in malattie debilitanti come il morbo di
Alzheimer. Si potrebbe pensare che entrare in torpore sia come fa-
re un tuffo nella demenza; un tuffo dal quale però si riemerge ra-
pidamente al risveglio. Sia la riduzione della connettività sinaptica
sia le modifiche della proteina tau sono normalizzate entro qual-
che ora dall’uscita dal torpore. È inutile evidenziare quanto la de-
codifica dei meccanismi molecolari che permettono a questi cer-
velli di rinormalizzarsi così in fretta potrebbe essere sfruttata a
fini terapeutici. Con il proseguire degli studi si è scoperto che in
realtà, durante il torpore, ogni organo e apparato sperimenta mo-
difiche rilevanti relative al proprio funzionamento.
Nel sistema immunitario i linfociti escono dal circolo e ritorna-
re ai linfonodi, come salmoni; le piastrine fanno lo stesso, ma tor-
nano al fegato; il sistema gastrointestinale modifica la composizio-
ne del microbiota e lo stato infiammatorio delle mucosa e così via.

Per decine di milioni di anni dunque è andata in scena una cor-
sa agli armamenti termoregolatori, fra le prede, i nostri avi, che
cercavano di restare caldi consumando di più, e i predatori, i sau-
ri, che cercano di farlo disperdendo di meno. Così per lungo tem-
po ci siamo trovati a camminare su una lama di rasoio evolutiva,
sempre in bilico sul baratro della bancarotta energetica. Una ban-
carotta che fortunatamente siamo riusciti a evitare grazie a quel-
la che oggi, in termini economici, chiameremmo austerità. Per noi
non era sufficiente mangiare di più in modo da soddisfare la forna-
ce metabolica; era anche necessario risparmiare tutto il possibile
in quella fase della giornata in cui non eravamo attivi. Non era suf-
ficiente dormire. Era necessario entrare in torpore.
Oggi la maggior parte dei ricercatori del settore ritiene che
molto probabilmente i primi mammiferi fossero eterotermi. Ciò
significa che il tratto di eterotermia era comune ai nostri avi e che,
molto probabilmente, tutti i mammiferi potrebbero conservare
l’insieme di geni necessario per sopravvivere durante un episo-
dio di torpore. Nel 2002 un interessante caso pubblicato sulla rivi-
sta «Neurology» da Pietro Cortelli, all’epoca professore di neurolo-
gia all’Università di Modena e Reggio Emilia, oggi all’Università di
Bologna, e colleghi ha descritto una rara malattia in cui un pazien-
te sembrava entrare spontaneamente in torpore, supportando l’i-
dea che questo meccanismo possa essere riattivato.


Una manna per i medici


La possibilità di simulare lo stato di torpore o di ibernazione ne-
gli esseri umani avrebbe un gran numero di applicazioni cliniche.
Immaginiamo che il nostro cervello sia un piccolo animale. Fin-
ché il cuore e il sistema cardiorespiratorio lo nutrono trasportan-
do il cibo, tutto funziona come dovrebbe. Ma che succede se, per
un qualunque motivo, il cibo non dovesse arrivare più? Nel nostro
paragone immaginario potremmo pensare al cervello come a un
animale molto vorace, che può restare per un tempo assai ristret-
to senza mangiare e che, qualora questo succedesse per un tempo
relativamente lungo, morirebbe in fretta. Se però potessimo pen-
sare al nostro cervello come a uno scoiattolo, ecco che allora que-
sto cervello-scoiattolo potrebbe difendersi dalla carenza di risorse
entrando in letargo. Nella vita reale però il cervello non è in grado
di attivare i poteri dello scoiattolo, quindi è condannato a essere
danneggiato dall’arrivo di un «inverno» causato da un arresto car-
diaco o da un ictus. In questi due casi oggi si cerca di aiutare il cer-
vello raffreddandolo. Si chiama ipotermia terapeutica, e ormai in
molti ospedali è una manovra di routine.
Il paziente è raffreddato infondendolo con liquidi freddi o
esponendolo a flussi d’aria fredda. L’organismo umano però, co-
me quello di tutti i mammiferi, non vuole raffreddarsi, e, qualora
percepisca questo pericolo, cerca di contrastare il raffreddamento
mettendo in atto una serie di meccanismi di difesa, fra cui, al limi-
te, l’aumento del metabolismo. Per questo motivo nell’ipotermia
terapeutica non si scende sotto i 34 gradi Celsius.
È importante notare che nel caso dell’ipotermia terapeutica
la sequenza degli eventi è esattamente opposta a quella osserva-
ta nel caso del torpore. Il paziente è raffreddato, e questo raffred-
damento, se efficace, riduce il metabolismo. Nel torpore invece
prima avviene la soppressione metabolica; il raffreddamento ne
è semplicemente la conseguenza. Sarebbe quindi assai utile poter
simulare una condizione di questo tipo. Oltre a essere più efficace,
probabilmente eliminerebbe effetti collaterali dell’ipotermia te-
rapeutica che non si osservano durante il torpore, per esempio la

Free download pdf