Le Scienze - 08.2019

(Ann) #1
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PERCHÉ SERVONO TANTI FOTONI

Problemi notturni

Quando fa buio, le cellule dell’occhio che rilevano la luce hanno scarse
possibilità di catturare i pochi fotoni (le unità di luce) che potrebbero ri-
velare un oggetto. Questo grafico rappresenta 400 fotorecettori che cer-
cano di distinguere un cerchio. Con l’arrivo di solo sei fotoni (a sinistra),

il cerchio resta identico allo spazio scuro circostante. Di pari passo con il
numero dei fotoni, aumenta anche il contrasto fra il cerchio e l’ambien-
te. Ma l’oggetto si vede chiaramente solo quando il livello è aumentato di
1000 volte (a destra).

in comune le informazioni che ricevono dalla poca luce in arrivo.
Però tendono a distinguere solo sfumature di grigio.
In uno studio del 2002 Warrant, Kelber e Anna Balkenius,
un’altra loro collega a Lund, sono stati i primi a rilevare la visione
notturna a colori in un animale. In laboratorio i ricercatori hanno
messo in gabbia farfalle notturne dette sfingi, e le hanno addestra-
te ad associare un fiore artificiale, o blu o giallo, con una ricom-
pensa di acqua zuccherata. Gli zoologi hanno cominciato i test con
una luminosità crepuscolare, quindi l’hanno abbassata fino al li-
vello di una tenue luce delle stelle. Per quanto l’ambiente diven-
tasse buio, le sfingi riuscivano ancora a distinguere il giallo dal
blu. In seguito a quello studio il gruppo di Kelber ha rilevato la vi-
sione notturna a colori nelle api legnaiole e nei gechi. Spera di fare
test sulla visione a colori nei pipistrelli della frutta e nei gufi, la cui
abilità nella caccia notturna di solito è attribuita a un udito acuto
o a occhi grandi.
Anche le rane riescono a vedere i colori al buio: distinguono il
blu dal verde. Kristian Donner, esperto di fisiologia animale all’U-
niversità di Helsinki, in Finlandia, ha testato con i suoi colleghi la
fototassi nelle rane rosse: è un comportamento che in genere le
porta a saltare verso la luce. Donner si è chiesto se abbiano una
preferenza per un certo colore. Decenni fa, test sui bastoncelli del-
le rane avevano dimostrato che alcune reagivano in particolare al-
la luce blu, altre a quella verde. Per scoprire come le differenze tra
le cellule influissero sul comportamento delle rane, il gruppo di
Donner ha messo 17 anfibi, uno alla volta, in un secchio con due fi-
nestre su due lati opposti. Poi gli scienziati hanno acceso una luce
blu da una parte e una verde dall’altra, e hanno misurato frequen-
za e direzione dei salti delle rane con vari livelli di luce.
Quando il secchio era buio, i salti erano casuali. Ma appena i ri-
cercatori hanno lasciato entrare la minima quantità possibile di
luce le rane hanno manifestato una netta preferenza per il verde:
«In condizioni limite per la visibilità, riescono ancora a distingue-
re blu e verde», spiega Donner. Per fare un paragone con gli esse-
ri umani, i suoi studenti con la testa nel secchio non riuscivano a
vedere la benché minima luce, tanto meno a distinguere il verde
dal blu.
Non si sa con certezza perché gli anfibi saltassero verso il verde.
Forse, ipotizza Donner, le rane ricevono indicazioni dalle stelle. La

loro luce include lunghezze d’onda relativamente elevate, e quel-
le della luce verde sono maggiori rispetto a quelle della luce blu. Il
verde che arriva nel secchio potrebbe indicare spazi aperti illumi-
nati dalle stelle, quindi una via di fuga dal contenitore.

Percorsi illuminati dalle stelle
Se effettivamente le rane seguissero le stelle, non sarebbero gli
unici animali a farlo. Gli scarabei stercorari procedono in un ret-
tilineo perfetto nelle notti senza Luna, quando l’unica luce arriva
dalle stelle. Il movimento è una buona strategia per uno scarabeo
con una pallina di escrementi freschi, come spiega James Foster,
esperto di biologia sensoriale all’Università di Lund. Vuole abban-
donare i suoi simili assembrati intorno allo sterco e trovare un po-
sto tranquillo per sotterrare il suo tesoro. Andare dritto, invece
che a zigzag o girare in tondo, permetterà all’insetto di allontanar-
si dalla folla il più velocemente possibile.
Come ci riescono gli scarabei? Marie Dacke, consulente di Fo-
ster a Lund, insieme con Warrant e altri ricercatori aveva già sco-
perto che gli insetti per orientarsi usano ciò che vedono sopra di
sé. Gli scienziati hanno disposto sopra gli animali delle visiere di
cartone, in modo che non potessero vedere il cielo. Quindi li han-
no liberati in un’arena circolare e hanno osservato come ciascuno
si dirigeva verso il bordo. Quando si trovavano al coperto, gli scara-
bei percorrevano tragitti molto più tortuosi, indizio del fatto che in
cielo avessero un punto di riferimento importante.
I ricercatori sospettavano che gli scarabei potessero orientarsi
in base al disegno delle stelle, come marinai che navigassero aiu-
tandosi con le costellazioni. Per testare l’idea, Dacke e colleghi
hanno portato gli scarabei con le loro palline in un planetario, dove
le condizioni della luce stellare si potevano modificare facilmen-
te. Con la simulazione di un cielo stellato, o solo della striscia lumi-
nosa della Via Lattea, gli scarabei sfrecciavano dritti verso il bordo
del cerchio in meno di un minuto. Se la galassia era assente, impie-
gavano più tempo: per la prima volta è stato dimostrato che un ani-
male si orienta in base a questa striscia di stelle. Dopo essere sta-
to pubblicato su «Current Biology» nel 2013, il lavoro ha vinto uno
scherzoso premio Ig Nobel per la biologia e l’astronomia.
Di recente Foster ha indagato su come gli scarabei stercorari

Da potrebbero usare la Via Lattea per andare in una data direzione.

The Remarkable Visual Capacities of Nocturnal Insects: Vision at The Limits With Small Eyes And Tiny

Brains

, di Warrant E.J., in «Philosophical Transactions Of The Royal Society B», Vol. 372, 5 aprile 2017
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