Le Scienze - 08.2019

(Ann) #1
84 Le Scienze 6 12 agosto 2019

Rowan Jacobsen è autore di A Geography of Oysters, The
Living Shore e altri libri. Ha scritto sui geni di fiori estinti
nel numero di aprile.

I

l 27 agosto 2011 l’uragano Irene si è abbattuto sul North Carolina, devastan-

do le Outer Banks. La tempesta ha scaricato pioggia fino all’altezza del-

la tibia e scagliato onde di 3 metri contro le coste dell’isola barriera che si

affacciava sulla terraferma, distruggendo strade e 1100 abitazioni.

Dati sorprendenti mostrano come in molti luoghi
le paludi proteggano le coste meglio dei muri e
siano più economiche da costruire.

Gli scienziati stanno perfezionando tecniche per
ripristinare le zone umide danneggiate, creando
configurazioni su misura per le singole coste.

Governi ed enti per la prevenzione dei disastri
naturali iniziano a considerare maggiormente
queste soluzioni, e i fondi sono in crescita.

IN BREVE

Dopo la tempesta Rachel K. Gittman, una giovane ecologa allo-
ra all’Università del North Carolina a Chapel Hill, aveva deciso di
ispezionare le aree colpite. Gittman aveva già lavorato come con-
sulente per la Marina degli Stati Uniti a un progetto per la stabiliz-
zazione delle coste ed era rimasta sconcertata dalla scarsa infor-
mazione sulla resilienza costiera. «Più proseguivo con le ricerche,
più mi rendevo conto di quanto poco sappiamo», ha spiegato. «Si
fanno tanta politica e gestione senza la scienza che ne è alla base».
Così Gittman ha deciso di fare delle coste la sua specialità.
Quello che ha trovato è stato illuminante. Lungo le coste colpi-
te duramente, tre quarti delle paratie erano danneggiate. I muri,
solitamente in cemento e alti circa 2 metri, sono la difesa standard
adottata in molte aree degli Stati Uniti dai proprietari di abitazioni
per proteggersi dal mare. Tuttavia, nessuna delle coste paludose
naturali era danneggiata. Le paludi, che si estendevano tra 10 e 40
metri dalla costa, non avevano perduto sedimenti o livello a causa
di Irene. Nonostante la tempesta ne avesse ridotto la densità del-
la vegetazione di più di un terzo, a un anno di distanza la flora era
tornata, in molti casi più densa che mai.
Lo studio di Gittman ha confermato i sospetti di molti esperti.
Le coste «corazzate», come le paratie, offrono una minor protezio-
ne di quanto si creda contro le grandi tempeste. Riflettendo l’ener-
gia dell’onda invece di disperderla, tendono a usurarsi alla base,
inclinandosi verso il mare. Sebbene siano ancora efficaci nelle tem-
peste ordinarie, spesso si rivelano controproducenti quando le on-
de di tempesta si innalzano sopra di loro, aprendovi brecce o facen-
dole collassare, abbandonando al mare ciò che vi sta intorno.
In uno studio successivo, Gittman ha effettuato un’indagine su
689 proprietari costieri, trovando che il 37 per cento delle proprie-
tà protette da paratie aveva subito il 93 per cento dei danni. E i co-
sti annuali di mantenimento sostenuti dai proprietari di paratie
erano quattro volte quelli dei residenti che si affidavano alla natu-
ra. Le paludi salmastre si erano piegate, ma non spezzate.
Negli ultimi anni sempre più scienziati e politici sono giunti al-

la conclusione che le «coste viventi» – comunità naturali di palu-
di salmastre, mangrovie, barriere di ostriche, spiagge e barriere
coralline – possono essere efficaci in una battaglia che i residen-
ti costieri hanno continuato a perdere per anni. Le coste degli Stati
Uniti si stanno disintegrando a causa di molteplici erosioni e dan-
ni da inondazioni innescati da livelli marini più alti, tempeste più
forti e sviluppo incontrollato. Ogni giorno le onde strappano 89
ettari al paese. Ogni anno vanno in fumo 500 milioni di dollari di
proprietà. In totale, circa il 40 per cento della costa degli Stati Uni-
ti è soggetto a un’erosione continua.
Storicamente quasi tutti i fondi spesi per la difesa costiera so-
no finiti in infrastrutture «grigie»: argini, paratie, dighe e barriere
rocciose. Questo sta cambiando, grazie alla crescente abilità dei ri-
cercatori di misurare l’impatto a lungo termine delle difese costie-
re «verdi». Compagnie assicurative e governi ne stanno prenden-
do atto, e potrebbero invertire la marea a favore delle difese vive.

Le paludi meglio dei muri
Nel periodo in cui l’uragano Irene flagellava la costa orientale,
Michael W. Beck, professore all’Università della California a Santa
Cruz, allora scienziato marino capo a Nature Conservancy, inizia-
va una collaborazione con l’industria delle assicurazioni che ora
potrebbe cambiare la conservazione costiera. «Molte persone so-
stenevano che gli ecosistemi fossero efficaci per la protezione dal-
le inondazioni, ma le prove erano deboli», mi racconta Beck nel
suo ufficio. I meccanismi fisici erano chiari: le barriere di ostriche
e di coralli limitavano l’erosione e i danni causati dalle inondazioni
agendo da frangiflutti naturali e disperdendo l’energia delle onde
grazie alle loro superfici corrugate. Le paludi salmastre e le man-
grovie, con i loro terrapieni e le foreste di steli in grado di genera-
re attrito, possono assorbire più del 50 per cento dell’energia delle
onde di tempesta in meno di 15 metri di terreno.
Sebbene gli scienziati ne avessero compreso la fisica, nessuno
l’aveva ancora posta in una forma che i politici potessero usare fa-
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