Vanity Fair Italy - 14.08.2019

(Grace) #1
*Direttore Editoriale Condé Nast

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14 AGOSTO 2019

LETTERE

VanityLettere

Londra, 2017. Due settimane di alternanza scuola lavo-
ro come volontari presso uno degli innumerevoli charity
shop della capitale, dove si vendono vestiti usati e i pro-
venti vengono devoluti alle associazioni benefiche.
Io e due miei compagni di classe capitiamo alla British
Red Cross di South Kensington, più una boutique che un
charity shop. Le signore ricche di South Kensington e Chel-
sea ci lasciano borse firmate, scarpe scintillanti, cardigan
morbidi. Harrods manda vestiti con qualche filo tirato, cap-
pelli che non stonerebbero a Buckingham Palace, cinture
della vecchia stagione. Nel magazzino io e gli altri volontari
stiriamo, etichettiamo, pieghiamo i vestiti. Parliamo moltis-
simo, ridiamo anche di più. Prepariamo il tè nel cucinino e
lo beviamo tra una chiacchiera e l’altra.
Un anziano baffuto, con un forte accento cockney, mi
racconta del suo passato da militare. Un’arzilla novanten-
ne che il mercoledì gioca a bingo e il giovedì a bridge il
venerdì viene da noi e sta tutto il tempo seduta a guardarci
stirare, sgranocchiando mais croccante speziato. Me lo fa
provare, mi dice che lo compra dall’indiano sotto casa sua,
dove il lunedì va a dare una mano. Spiega che non vuole
stare a casa da sola, mi mostra la fede che porta all’anu-
lare sinistro e fa una faccia triste. Parlo con Marie, venuta
da Parigi per imparare la lingua. Le faccio domande in un
francese zoppicante. Quel pomeriggio rispondo «oui» al
posto di «yes» a una signora che mi chiede se quella blusa
l’abbiamo anche in rosa.
I volontari cambiano quasi ogni giorno. Gli unici a resta-
re siamo noi tre. Non smettiamo mai di sorridere, incredu-
li: ci incanta quel fiume di uomini e donne assurdamente
simpatici, educati, originali. Lavoriamo 9 to 5, come quasi
tutti a Londra, e torniamo al residence piuttosto stanchi.
La metropolitana alle 17.30 è piena da fare schifo, nello
stomaco abbiamo un sandwich mangiato di fretta durante
la pausa pranzo, una mela, del tè.
Quando torniamo a Bari, alla nostra realtà fatta di ver-
sioni di greco e compiti di matematica, ci rendiamo conto
che di Londra non abbiamo visto granché: più banalmen-
te, l’abbiamo vissuta. Per la prima volta nella mia vita, mi
sento cittadina del mondo. E non potrei essere più felice.
CARLOTTA
Quando ero bambino, la mia lettura preferita erano le
carte geografiche. Lo sono ancora. Datemi due curve

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altimetriche e respiro l’aria della vetta della montagna, la
linea costiera di un promontorio e vedo le rocce e l’acqua
turchese.
L’ho raccontato in un post intitolato «Il viaggio della vita»:
avevo 9 anni quando mi regalarono Sulle vie di mondi
sconosciuti, una raccolta di reportage di cui consumai le
pagine. In particolare ero stregato dalle foto della «faccia
nascosta dell’Himalaya», il versante Nord, un deserto rosso
punteggiato di monasteri, ultimi baluardi di una cultura –
il buddismo tibetano – quasi distrutta.
Ci sono infine andato, quattro estati fa. È stato magico,
così come era stato magico immaginarlo, per tutti quegli
anni. Ho bevuto tè al burro di yak all’alba, seduto accanto
a monaci bambini che non erano poi diversi – gli sbadigli,
le distrazioni, le risatine – da come ero io alla loro età.
E dopo un trekking fino a quota 4.500 ho appeso
a un cucuzzolo di pietre una fila di bandierine con su
scritto «Ta Re Tu Re So Ha», lode a Tara. Le bandierine
sono una preghiera: resteranno lì, intoccate, fino
a quando la neve e il sole, il ghiaccio e il vento non
le disintegreranno. E Tara è l’incarnazione femminile
e misericordiosa del divino, quella che intercede:
vi ricorda qualcuno? Questo viaggio, come tutti gli altri
che ho fatto, anche i meno esotici, mi ha insegnato quello
che dice Carlotta: è infinitamente più quello che
ci unisce, noi umani di tutti i luoghi, che quello
che ci divide.
Questo, per molti di voi, è un tempo in cui
scoprire luoghi nuovi, o anche semplicemente
attraversare gli stessi luoghi con occhi meno
distratti: non c’è bisogno di spostarsi per
viaggiare. Vi auguro di approfittarne per
guardare, guardare davvero, il prossimo che
normalmente a casa, nella routine del resto
dell’anno, incrocereste senza realmente vedere.
Scriveva Mark Twain: «il viaggio uccide il
pregiudizio, l’intolleranza, l’ottusità».
Buon viaggio.
E buonanotte.

Illustrazione Dewie Drolenga

Vedere, anzi vivere


BUONANOTTE. PAROLE PER RIMBOCCARE LE LENZUOLA — di LUCA DINI *
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