Vanity Fair Italy - 14.08.2019

(Grace) #1
VA N IT Y FA I R

COPERTINA

VanityCopertina

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14 AGOSTO 2019

Antonello & Montesi. Una produzione in esclusiva per

Vanity Fair

«Se mancano le ultime due caratteristiche, far leva sulla fan-
tasia è importante. Da sempre amo inventare storie».
Che cos’è per lei la libertà?
«La scomodità. Mantenermi fuori dalla mia comfort zone fa
viaggiare la mente e stimola la fantasia. Pensare di non aver
bisogno veramente di niente mi fa apprezzare tutto quello
che ho, non mi fa disperare su ciò che non ho e soprattutto
non mi spinge a provare invidia. Se vedo un bel giardino
nella casa del vicino prendo la zappa e provo a crearne uno
meraviglioso anche per me, ma non distruggerei mai quello
dell’altro per star meglio. Se un altro è felice, io mi rallegro.
Per me è libertà anche questa».
Emanciparsi dall’incubo delle passioni, diceva Battiato.
«Emanciparsi dall’incubo delle passioni va anche bene, a
patto di trovare un equilibrio e mantenere la capacità di
provare l’incanto. Nonostante le mazzate, le delusioni, le
volte in cui ti sei fidata troppo di qualcuno e quelle in cui,
sbagliando, ti sei invece fidata troppo poco, l’incanto è fon-
damentale».
Dove lo trova?
«Nel coraggio del cambiamento».
È difficile cambiare?
«Quando stiamo bene e siamo felici, difficilissimo. Ci dicia-
mo: “Vorrei che questo momento durasse per sempre”. Ma
per sempre non dura niente. Ne dubita anche quel gran fi-
losofo di Baglioni: “Se c’è stato per davvero, quell’attimo di
eterno che non c’è”, canta. Io sono d’accordo con lui».
Ricorda i suoi momenti di cambiamento?
«Esistono epifanie in cui ti guardi allo specchio e ti dici: “De-
vo cambiare”. A quel punto inizia una lotta interiore perché
per cambiare è necessario essere disposti a lasciar andare la
vita, accettare che passi e che le persone che hai amato non
ci sono più così come non esistono più le cose che amavi di
te. Orientarsi è complesso. Non servirebbero 5 sensi ma 65.
Serve equilibrio, io lo trovo nella pulizia».
Quand’è che si sente pulita?
«Quando posso donare amore e quando mi arriva altro amo-
re in cambio. Quando scambio qualcosa. Quando oltrepasso
i miei limiti e sento brillare gli occhi come se mi bruciasse-
ro da dentro. Se devo parlare pubblicamente in una piazza,
prima di salire sul palco, inizio il consueto soliloquio con me
stessa. “Perché devo affrontare questo atroce supplizio?”. È
un po’ come al mare: “Perché devo saltare da così in alto se
rischio di sbattere?”».
E cosa si risponde?
«Che se sbatto mi curo le ferite. Quando cadi ti rialzi, quan-
do ti fai male ti ricuci, quando ti perdi ti ritrovi. Finché non è
il tuo momento, come dicono le nonne, c’è rimedio».
Non vorrà farci credere di essere timida.
«Esistono i timidi estroversi, so che lo sa».
Miriam Leone, timida estroversa.
«Senza creatività non sarei chi sono, ma non posso sostenere
che essere creativa mi abbia aiutato a capire chi fossi. Sono
tante cose insieme. Un ragazzo gay, un uomo, una donna,
magari novecentesca, perché certe parenti che cucivano al-
la finestra per risparmiare sulla luce elettrica e certe radici,
in qualche modo, mi sono entrate sottopelle. “Cosa farai da
grande?”, mi chiedevo da ragazza. “Che ne so?”, mi dicevo,

ma non mi rispondevo mai l’architetto o il medico. Ho sem-
pre guardato a un mondo non definibile, lontanissimo dal
luogo in cui ero nata e in cui mi sembrava che certe cose non
potessero accadere. La mia famiglia con il cinema non c’en-
tra niente, per decenni a casa Leone si è parlato in termini
mitologici e ammirazione infinita di un lontano prozio che
aveva avuto una mezza posa da monello ne La terra trema
di Visconti e poi, così affascinato dal cinema, era emigrato a
Roma per fare l’elettricista sul set».
Poi però lei attrice è diventata davvero.
«Ma il prozio non c’entra. Non l’ho mai conosciuto, a diven-
tare attrice non mi ha aiutato nessuno. Nella finzione scenica
c’è la ricerca di una verità molto più vera della realtà stessa.
La costruisci e quindi la rendi imperfetta, ma spesso vai in
fondo a un sentimento, studi un tema, racconti una psico-
logia. È come mettere insieme dei mattoncini che alla fine
compongono un’identità immaginaria che sembra spaven-
tosamente vicina alla realtà. Al vero o perlomeno al vero-
simile».
Cos’ha imparato in un decennio di cinema?
«La giusta distanza tra l’essere e il non essere. È un funam-
bolismo delicato, ma essenziale perché il ruolo che interpreti
non coincide con te e in fondo non ti riguarda. Dopo La
dama velata, sei interminabili mesi di set per una fiction, il
primo lavoro importante della mia vita in cui avevo investito
molto in sentimenti e verità, mi ammalai. Oggi, anche se non
mi sento mai sicura della mia capacità, della mia integrità,
del luogo in cui sto andando, non accade più».
Cos’ha capito invece dei suoi 34 anni?
«Che non si smette mai di imparare».

Pagg. 34-35: abito, SALVATORE FERRAGAMO. Pag. 36: abito, VALEN-
TINO. Reggiseno, LA PERLA. Pag. 37: bustino e gonna, DIOR. Pag. 38:
T-shirt, DIOR. Pag. 40: abito, PRADA. Tutti i gioielli sono di MESSIKA.
Ha collaborato Giovanni Gerosa. Make-up Nicoletta Pinna @
Simonebelliagency using Urban Decay Stay Naked e Skin Care Kiehl’s
Pure Vitality. Hair Faik Zekaj@Simonebelliagency. Producer on set
Scenari Production.

È^ Tempo di lettura: 18 minuti

1994
1994  è il capitolo finale della serie originale Sky prodotta da Wildside
e creata da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo
che racconta gli anni che hanno cambiato il Paese a cavallo fra
Prima e Seconda Repubblica. Nella serie, diretta da Giuseppe
Gagliardi e da Claudio Noce, brillano Stefano Accorsi, Guido Caprino
e Miriam Leone, che di Veronica Castello, il suo personaggio, dice:
«Per indole non mi faccio mai i complimenti, ma anche se interpretare
un ruolo così difficile in 1994 mi ha disturbato e ha rappresentato
un rischio, rivedendomi ho capito che qualcosa di buono c’è».
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