Vanity Fair Italy - 14.08.2019

(Grace) #1
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l’avrebbero trovata orribile, che non mi avrebbero più fatto
lavorare. Ovviamente nessuno se ne ricorda».
Quando ha iniziato ad avere successo, le persone intorno
a lei sono cambiate?
«Hanno preso a trattarmi diversamente, registi che a fati-
ca mi avrebbero dato attenzione sono diventati di colpo i
miei migliori amici».
Il punto di svolta?
«Rush (il film di Ron Howard in cui interpretava il pilota
James Hunt, ndr): all’improvviso tutto il mondo si è accor-
to che facevo l’attore. Non è stato un successo economico,
ma ha spalancato le porte, da lì in avanti mi hanno propo-
sto cose diverse».
Un regista impegnato come Michael Mann l’ha scelta co-
me protagonista di Blackhat.
«Ero in Costa Rica, è venuto a cercarmi, mi sono trovato
seduto in un bar a parlare di un cyber thriller».
Recitare in quel tipo di storia l’ha resa più consapevole
delle insidie del mondo digitale?
«Adesso sono molto attento alle informazioni che metto in
Rete su me stesso. A dire la verità, le discussioni con gli
esperti mi hanno portato a perdere fiducia nei sistemi di
sicurezza. Si dovrebbero investire somme enormi per ren-
dere davvero impossibile l’accesso ai propri dati sensibili,
e persino Wall Street, che dovrebbe essere assolutamente
sicura, è vulnerabile».
Ha 36 milioni di follower sui social: si è abituato alla po-
polarità?
«È il mondo in cui viviamo, non c’è molto da fare. Quando
mi vedo sui cartelloni pubblicitari, mi faccio mille domande
a cui non trovo risposte, quindi evito».
Allora la fama le fa ancora effetto.
«Se sono in giro a promuovere i miei film mi metto in una
modalità che rende tutto naturale. Ma se la gente mi avvi-
cina quando sono con i bambini mi sento molto a disagio».
Come usa il suo potere a Hollywood?
«Sono sempre stato appassionato di certi messaggi, ho
sempre creduto all’importanza che ha l’amore nel nostro
sviluppo e nella qualità dell’ambiente in cui viviamo: è il
fondamento di chi siamo, il cuore delle relazioni che costru-
iamo con i figli. Per questo lavoro per la Australian Chil-
dhood Foundation, un’associazione che assiste i bambini
vittime di abusi. Noi adulti dobbiamo prenderci cura dei più
vulnerabili, che sono soprattutto i piccoli».
Ha una bambina e due gemelli. Che cosa ha imparato sul-
le diversità fra maschi e femmine?
«Mio fratello Luke una volta è rimasto con mia moglie e i
ragazzi mentre ero su un set. Quando sono tornato mi ha
raccontato di essere stato colpito dalle loro differenze: Tri-
stan e Sasha cercavano lo scontro fisico, mentre mia figlia
India Rose stava più sulle sue. I genitori pensano di ave-
re uguale approccio con maschi e femmine, di trattarli allo
stesso modo. Ma Elsa mi dice che mia figlia le racconta dei
ragazzi di cui si innamora, con me non lo fa».
Quando guarda i suoi figli, che cosa vede di sé e cosa le
sembra assolutamente alieno?
«Capita che alle due del mattino facciano un casino bestia-
le e che la casa sia letteralmente sottosopra. Guardo mia

moglie e le chiedo: “Dove abbiamo sbagliato?”. Elsa, come
del resto fa mia madre, mi risponde: “Stai scherzando, ve-
ro? Tu eri un incubo, e così sono i tuoi figli!”. Quel mucchio
di energia è un fatto genetico».
Restando sui geni, che cosa pensa dell’emancipazione
femminile?
«Sono cresciuto in una famiglia femminista, in cui le donne
erano molto considerate. Ho sempre notato una certa diffe-
renza rispetto a quello che vivevano gli amici intorno a me».
In che senso?
«Ricordo la sensazione che non dessero tutti importanza
all’uguaglianza, all’essere sullo stesso piano. In casa nostra
ci hanno fatto notare molte volte che quello che si dice è
il risultato di conversazioni, di cose sentite dire, e che non
siamo nemmeno consapevoli della provenienza delle no-
stre convinzioni, le prendiamo per buone. Voglio dire che
ignoriamo il potere di certe parole, e anche rispetto alle
donne dobbiamo disimparare comportamenti che abbia-
mo assimilato per troppo tempo».
Quando si deve riparare la macchina, chi lo fa: lei o sua
moglie?
«Io sono più fisico, è vero, e quando si deve fare qualco-
sa di pratico sono bravissimo. Ma se occorre un approccio
emotivamente più calcolato, la verità è che Elsa è molto
migliore di me».

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Sono cresciuto


in una famiglia


femminista, dove


le donne erano


molto considerate


The New York Times


/Contrasto

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