Vanity Fair Italy - 14.08.2019

(Grace) #1

62


VanityGrandeMagia

Era la «vetta», le ginocchia su cui arrampicarsi come su
una montagna, «e c’era sempre la sua mano a sorreggermi».
Una figlia racconta il padre. Lo fa attraverso un film, che ini-
zialmente hanno pensato e lavorato insieme, commentando
spezzoni del lavoro di lui seduti sul divano nello studio del
regista, fermando le inquadrature e accalorandosi nei ricordi.
Durante la lavorazione lui però è scomparso – e come vedre-
mo non è stato l’unico lutto che l’ha colpita. Lei tuttavia non
ha rinunciato, e oggi Citizen Rosi (diretto con Didi Gnocchi,
distribuito da Istituto Luce) è pronto e sarà presentato alla
Mostra del Cinema di Venezia, come evento fuori concorso.
Poi lo vedremo in sala, e in seguito su Sky Arte.
Carolina Rosi adesso ha 53 anni, suo padre era France-
sco – Franco, per familiari e amici – Rosi, autore di Salvatore
Giuliano, del Caso Mattei, di Lucky Luciano, dell’ultimo La
tregua. Leone d’oro alla carriera nel 2012, è stato il regista
per antonomasia del cinema politico dell’Italia anni ’60-70.
Un cinema forte e appassionante, di cui si sono perse a lungo
le tracce, che aveva il suo volto simbolo in Gian Maria Vo-
lonté. Franco era sposato con Giancarla, sorella di Mariuccia
Mandelli (Krizia), matrimonio che si era concluso nel 2010
con la tragica fine di lei, in casa, per un incendio. Lui è scom-
parso a 92 anni, nel gennaio 2015. Nel novembre dello stesso
anno la scomparsa di Luca De Filippo, compagno di vita e di
teatro di Carolina. Che però ha fatto proprio il moto di suo
padre: «Andiamo avanti!».
Nella casa in cui è cresciuta, a due passi da Trinità dei Mon-
ti, ci sono foto e memorie, ma è forte anche il senso di quel
guardare a domani: tutto ristrutturato, fresco, il balconcino
pieno di erbe aromatiche e una cucina affaccendata perché
la proprietaria ha anche un’azienda agricola dove produce
olio e pomodori e all’alimentazione tiene moltissimo. Sotto
il Vesuvio dipinto che sormonta il divano, Rosi si acquatta e
si giustifica: «Ho il terrore di vedermi grassa. Per fare queste
foto, è una settimana che non mangio e non bevo vino. Una
volta facevo cinema (è stata attrice anche per il padre, ndr),
adesso con il teatro l’attenzione all’immagine non serve. E
poi, dopo quello che è successo, lo champagnino alle 7 di sera
è un buon conforto. D’altra parte, ho nettissima la consape-
volezza che la vita va vissuta in modo intenso, impulsivamen-
te, non negandosi niente».

Lei in questa casa è cresciuta, che ricordi ha?
«La casa era aperta a tutti, ogni notte si cenava a ripetizio-
ne. Ricordo Antonello Trombadori, onorevole del Pci, che
qui passava le nottate. Scorsese, Coppola, Monicelli che era
simpaticissimo, Scola, Fellini: entrava chiunque dalle nove
di sera alle sei di mattina. Io venivo mandata a letto, ma mi
nascondevo sulla scala a chiocciola e ascoltavo quelle che
erano meravigliose risse più che discussioni. E poi c’era il
côté delle carte di mamma: lei dormiva solo due ore, ed era
una grande giocatrice. Mio padre si addormentava sul diva-
no e alle otto di mattina ritrovava lei e gli altri – una volta
persino Andreotti disse: “Devo andare a giocare a carte con
Giancarla” – avvolti in nuvole di fumo».
A che cosa giocava sua madre?
«A poker, una volta è stata arrestata in una bisca clande-
stina con Mina. La questura chiamò mio padre, che rispose:

“Non la conosco!”. Ma avevano un rapporto fortissimo, nel-
le loro differenze».
Come erano come coppia?
«Lei prima aveva una storia con il musicista Lelio Luttazzi,
lui con Nora Ricci, da cui aveva avuto una figlia con proble-
mi (poi morta in un incidente d’auto a 15 anni, ndr). Mia ma-
dre con le sue boutique permetteva all’artista di non inqui-
narsi, portava i soldi a casa. E aveva una grandissima ironia.
Si sono molto amati e rispettati: mamma per non turbare la
concentrazione di papà non andava neanche sul set».
Lei invece i set di suo padre li ha frequentati, ha anche
recitato per lui. Ma quando faceva provini per altri registi,
il suo cognome pesava?
«A volte non mi volevano neanche alle audizioni. E poi, figlia
di Rosi, ideologicamente rifiutavo certi film. Ai provini erava-
mo sempre io, Valeria Golino e Francesca Neri. Ma se la par-
te non era impegnata lasciavo stare. Stimavo Nanni Moretti,
la Archibugi, però non riuscivo a entrare in quella cerchia
come attrice. Finché ho iniziato a lavorare come aiutoregista
e lì, con le stesse persone, sono nate amicizie folgoranti».
Però a un certo punto il cinema l’ha mollato.
«Perché ho incontrato il teatro. In realtà il cinema mi piace
moltissimo. Però avendo avuto un padre autore, che diceva
sempre “Devi sentire il pugno nello stomaco”, come regista
mi sono tenuta da parte».
Finché è arrivato Citizen Rosi.
«Accompagnai Franco a Parigi: c’era una retrospettiva e ri-
masi folgorata. Gli dissi: dobbiamo fare una cosa per vede-
re che cosa è successo in Italia da quando sono usciti i tuoi
film. Così è nato questo lavoro (che più che un omaggio vuole
raccontare, attraverso la sua filmografia, l’impegno politico e
sociale di Rosi, ndr). Purtroppo, strada facendo lui è morto.
Ma sono andata comunque avanti».
Invece, con sua zia Krizia si era «tirata indietro».
«Mi trattava come la figlia che non aveva, e a 18 anni sono
andata a lavorare con lei. Ma era completamente dedita al
suo lavoro, io non potevo tenere la tv accesa perché diceva
che mi avrebbe fatto ammalare... Da bambina avevo fumato,
frequentato persone di ogni tipo, perché i miei genitori vole-
vano che ragionassi, senza divieti. Con la zia no, così ho finto
un attacco di appendicite, e me la sono fatta togliere pur di
non tornare a Milano da lei. C’è rimasta molto male, non ha
pianto solo perché aveva una maschera all’ortica».
Lei è piena di tatuaggi: di questi che pensava suo padre?
«Non gli piacevano proprio, ma al massimo commentava con
“Mah”. Ho avuto un’educazione “sobria”. Ricordo solo uno
schiaffo: a 18 anni, quando un ragazzo mi accompagnò a ca-
sa in Porsche. Di solito Franco a quell’ora dormiva, ma vide
l’auto e si infuriò: “Chi è quello stronzo di padre che ha dato
una macchina da 100 milioni in mano a un ragazzino?”».
C’è un film di Rosi cui è particolarmente affezionata?
«Carmen: gli feci uno scherzo, mi vestii da gitana e mi misi tra
la folla di donne che assistevano alla corrida... Franco diede il
ciak e dopo poco si sentì: “Stoooop!! Ma tu che ci fai lì?”. Alla
fine però mi filmò, seduta nella Plaza de Toros che mi sventa-
gliavo con le amiche di Carmen, con una musica meraviglio-
sa. Quello che mi convince meno è Dimenticare Palermo: ci
doveva essere Richard Gere, ma il film slittò e Cecchi Gori
Free download pdf