Vanity Fair Italy - 14.08.2019

(Grace) #1

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VA N IT Y FA I R

STORIE

14 AGOSTO 2019

VanityBuonaLettura

C l’avevo incontrata su Facebook: una richiesta di amici-
zia, alcuni contatti in comune, amici da social network, come
dire: gente che non conosci davvero. Ma qualche nome era
noto (autori di libri, altri giornalisti) così avevo schiacciato
«accetta». Aveva subito cominciato a commentare in modo
brillante alcuni miei post, a farmi un mucchio di complimenti
per i miei articoli e, in poco tempo, era diventata una presen-
za costante della mia vita virtuale, trasformata poi in reale
quando – qualche mese dopo quel primo contatto – aveva
preso un treno solo per venire a un incontro pubblico al qua-
le prendevo parte. C aveva una faccia simpatica, una
professione che teoricamente avrebbe dovuto
impegnarla molto, ma nella realtà no. Aveva, anzi,
una grandissima disponibilità di tempo e di energie che usa-
va anche per coltivare la nostra amicizia non più mediata dal-
lo schermo. In poche settimane molti dei miei contatti social
(compresi quelli che conoscevo anche nella vita vera) erano
diventati anche suoi. Quando mi capitava di andare nella sua
città – che non è la mia – era sempre molto sollecita: veniva
a prendermi alla stazione, mi portava una bottiglia di vino
che certi suoi parenti producevano, mi teneva compagnia in
quelle serate da trasferta che altrimenti avrei passato da sola,
raccontandomi della sua vita, chiedendomi della mia. Con il
tempo mi aveva presentato qualche persona a lei vicina, tra
cui spiccava una dentista molto elegante, ma sostanzialmente
era come se il nostro rapporto fosse schermato o perlome-
no sbilanciato. Crescendo ho imparato che le persone danno
quello che riescono. La simmetria non è di questo mondo.
Amen, mi dicevo.

Viaggiavo moltissimo, allora, e C si premurava sempre di
sapere che stessi bene, che avessi una bella storia da scrivere
poi sul giornale. Una volta, ero ad Haiti, il mio cellulare si è
bloccato per il raggiungimento della soglia di spesa. Solo la
pazienza di C – ore al telefono con la Vodafone – ha fatto sì
che io tornassi raggiungibile. Non avevo quasi mai occasio-
ne di ricambiare le sue incessanti e non richieste gentilezze,
perché lei non mi domandava mai nulla, né io intuivo mai
un suo bisogno. Per sdebitarmi in qualche modo, per un suo
compleanno, le regalai degli orecchini. Credo, poi, sia andata
a cambiarli perché li trovava troppo frou frou.
A un certo punto ho notato dai social che era diventata
amica di una persona che conoscevo anche io: una donna
molto bella e intelligente. Di nuovo commenti sagaci, battute:

cose che avevo già visto. Leggevo questi scambi e ne ero con-
tenta, un po’ perché mi pareva che le due avessero cose in
comune, un po’ perché – a quel punto cominciavo a dare dei
contorni al disagio che qualche volta provavo con lei – spe-
ravo che questo nuovo rapporto d’amicizia potesse distrarla
e allentare la pressione che sentivo su di me. Se non facesse
ridere – perché io non sono una persona famosa – potrei dire
che, più che da amica, si comportava da fan. Io e la donna
bella&intelligente eravamo buone conoscenti con un’amica
in comune, ovviamente a sua volta amica di C.
Come spesso accade a quelle come lei, bella&intelligente
era single da un po’, ma a un certo punto sulla sua bacheca
era apparso un uomo che commentava molto, metteva cuo-
ricini, e si intratteneva con b&i in scambi di messaggi che
erano palesi schermaglie amorose. Il profilo di lui – confesso,
ero andata a guardare – era strano: un soprannome e un co-
gnome, la foto ritraeva Paperon de’ Paperoni. «È una perso-
na importante», mi disse C, che ormai era molto amica di b&i
e ne raccoglieva le confidenze, «non può esporsi». Poi, nei
giorni, arrivarono i dettagli: vive ad Amsterdam, fa l’architet-
to, viaggia moltissimo. Fu il particolare della casa con piscina
all’aperto (ad Amsterdam) a lasciarmi davvero perplessa per
la prima volta. Non dissi nulla. Venne fuori che erano
molto innamorati, ma che non si erano mai visti.
C mi raccontava di diversi appuntamenti mancati all’ultimo
minuto per improvvisi e improrogabili impegni di lavoro di
lui, surrogati da notti passate a chattare in privato sui social.
«Non parlano al telefono?», domandavo stupita. «No, lui ha
una grave forma di balbuzie, preferisce così», lo difendeva lei,
che naturalmente gli era già amica su Facebook e ci conver-
sava amabilmente.
Intanto C aveva conosciuto i miei figli – che la trovavano
la più simpatica delle mie amiche –, cenato a casa mia, mi
aveva regalato altri prodotti tipici della sua regione, più una
piccola teglia di melanzane alla parmigiana, che mi aveva
messo in mano mentre salivo su un treno. Dirle di no, argi-
nare questo suo accudimento, era diventato impossibile. Che
cosa provavo io? Le volevo bene? Me lo sono chiesta spesso
dopo l’epilogo di questa storia. Perché ero amica di una per-
sona che in fondo non sentivo davvero come tale? Perché ac-
cettavo cose, attenzioni, telefonate, messaggi, consigli senza
mettere un argine ma, nemmeno, senza perdere quella resi-
stenza? Non sono mai riuscita a rispondermi. C’era qualcosa,
in lei, che mi respingeva profondamente. A un certo punto
ho pensato fosse il suo profumo, un profumo che – mi aveva
detto – andava moltissimo là dove viveva lei. Mi è capitato
di risentirlo un paio di volte in tempi recenti. Una di queste
lo portava una ragazza seduta accanto a me in aereo. Era un
volo mezzo vuoto, mi sono spostata.
Nel frattempo – venivo abbastanza puntualmente infor-
mata – i due innamorati avevano pianificato tutti i dettagli

Dirle di no, arginare


questo suo accudimento,


era diventato impossibile.


Le volevo bene?

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