La vergogna di ricevere assistenza da carcerato non l’avrei mai saputa controllare, né in quel
frangente e né in futuro perché si sarebbe sparsa la voce a macchia d’olio nel settore, ed avrei avuto
distrutta la mia buona reputazione di medico serio e capace!
Era un rischio troppo alto ed infatti pregai Dio sia di farmi passare la fibrillazione sia di non far
intervenire proprio i miei colleghi, i miei amici, medici ed infermieri, del 118!
Una parte della mia preghiera fu esaudita infatti non conoscevo nessuno dei sanitari intervenuti,
l’altra relativa alla fine della fibrillazione non ancora, ma sapevo che senza flebo idonea non sarei
guarito e quindi non vedevo l’ora di arrivare in ospedale!
Giunto al pronto soccorso i sanitari mi portarono in barella nelle salette mediche ed eseguirono un
elettrocardiogramma dal quale risultò chiaramente che la fibrillazione era ancora in atto, per cui mi
praticarono la tanta agognata flebo.
Fu una situazione molto imbarazzante perché affianco a me, alla mia barella in ospedale, c’erano
piazzate due guardie con la scritta molto in evidenza “Polizia Penitenziaria”, e si capiva
chiaramente che erano lì per piantonare proprio me!
Mi guardai attorno per verificare che in giro non ci fossero colleghi o pazienti che mi conoscevano,
per evitare situazioni pericolosissime per la mia professione, e fortunatamente non riconobbi
nessuno.
Dopo una ventina di minuti la fibrillazione iniziò a passarmi ma ebbe un comportamento che non
era mai capitato in precedenza: passava per pochi minuti ma poi ritornava!
Era inspiegabile davvero, la terapia endovena non riuscì ad essere efficace come lo era stata altre
volte! Doveva essere successo qualcosa di impegnativo!
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