Ci incontrammo in centro e parlammo in piedi, senza sederci sulle panchine.
Mi guardò con un’espressione molto seria, sofferente ma controllata, autorevole ma non autoritaria,
dolce e nello stesso tempo determinata.
Invocò tutte le virtù possibili ed immaginabili per potermi convincere, per far brezza nel mio cuore
e nella mia coscienza.
In quella occasione fu un padre particolarmente amorevole, premuroso, fiducioso che una vita
migliore per me fosse possibile, e mi fece un lungo discorso: “Giovanni, io so che tu stai soffrendo
molto, che ti stanno capitando situazioni difficili che non dipendono da te e che non riesci più a
gestire. Non negarlo, so tutto. Questa non è la vita che ti abbiamo voluto offrire io e tua madre, noi
abbiamo fatto sacrifici enormi per rendere felici tutti i nostri figli e siamo stanchi di vederti così
sofferente. Non ne possiamo più, ci piange il cuore. Tu non sei adatto alla vita che stai conducendo,
non sei nato imprenditore, è vero che concepisci ottimi progetti, è vero che i problemi non
dipendono da te ma da terze persone e da situazioni veramente assurde, me adesso è arrivato il
momento di cambiare vita! Ricordati com’eri da piccolo, quanto eri bello e dolce, quanto eri
simpatico e brillante, e che tutti ti chiamavano “il poeta”! Gio, questa non è vita per te! Eri uno
studente di medicina brillante, avevi un futuro roseo e tutti eravamo orgogliosi di te! Hai scelto
invece queste strade terribili, contro la nostra volontà perché ti avevamo avvisato che in Italia ci
sono grossi problemi, soprattutto al sud, e non è facile far nascere aziende e neanche gestirle!
Ascoltami ti prego!”.
Lo ascoltati con attenzione ma anche con preoccupazione perché avvertii che di li a poco mi
avrebbe chiesto qualcosa di improponibile per me in quanto qualsiasi forma di impegno, per
cambiare vita, mi sarebbe risultato impossibile considerate le mie gravi fragilità psicofisiche.