Ero innamorato di quel progetto ed avrei compiuto qualsiasi sacrificio per farlo nascere e per
garantire una rendita a vita ai miei figli.
Infatti ero assillato, giustamente e coscienziosamente, soffrendo di una patologia seria dall’età di 17
anni, dalla consapevolezza che sarei potuto morire non in terza età ma molto prima, come capitato a
mio nonno che passò a miglior vita a soli 51 anni per un ictus improvviso pur senza patire malattie
impegnative come la mia, per cui il mio auspicio principale era quello di lasciare ai miei figli
un’attività lavorativa di successo, redditizia.
Il mio progetto poteva esserlo non solo dal punto di vista economico ma anche sotto l’aspetto
sociale, opzione sempre molto gradita alla famiglia, da sempre, da generazioni. Operare per il bene
del prossimo, per il bene comune, era un auspicio prioritario dalle nostre parti, presente
radicalmente nei nostri cromosomi.
La nascita o la morte del mio brillante progetto dipendevano tutte, però, dai soci che avrei
incontrato sul mio cammino, dalla loro serietà o viceversa dalla loro meschinità, e purtroppo in
Italia, a suo tempo - perché oggi la situazione è leggermente migliorata - reperire soci seri era un
vero terno al lotto.
L’Italia non era pronta a garantire, e non lo è ancora oggi - ai cittadini semplici come me, figli di
persone normali e non di imprenditori di successo o faccendieri che avessero già a disposizione
mezzi economici importanti - il successo di progetti validi che meritavano di essere tutelati in tutte
le sedi, come avviene in altri Paesi, anche europei.
Tra i miei progetti politici principali vi erano, infatti, e vi sono ancora, proposte di legge in favore
dello sviluppo di attività imprenditoriali ideate da persone assolutamente normali come me, non
aventi mezzi economici adeguati e dovendo necessariamente riferirsi a fondi di soci o partner
finanziari.