vario titolo, mentre il sottoscritto, fondatore dell’iniziativa, era ancora non inquadrato e
lavorava duramente a favore di tutti, percependo occasionalmente soltanto rimborsi spese.
Il curatore fallimentare, infatti, aveva descritto somme ingenti, circa1 50 mila euro se non
ricordo male, liquidate a favore dei manager tra i quali proprio i soci denuncianti.
- Il tribunale non aveva mai concesso, nonostante le mie ripetute richieste, l’acquisizione
degli estratti dei conti bancari e delle copie di tutti gli assegni emessi, assolutamente
necessarie in un paese civile sia per condannare che per assolvere un imputato su cui
pendeva l’accusa specifica di distrazione delle somme versate dai soci.
- Gli estratti dei conti correnti e le copie degli assegni, se acquisiti dal Tribunale, avrebbero
dimostrato, ulteriormente, non solo la mia totale estraneità rispetto ai capi di imputazione -
di cui peraltro il curatore aveva negato l’evidenza - ma anche la falsa testimonianza dei soci
denuncianti in relazione al mancato ottenimento di somme a qualsiasi titolo.
- Anche per questo evidentemente, il tribunale non aveva mai concesso l’acquisizione degli
estratti di conto corrente bancari e le copie degli assegni: per tutelare i denuncianti
dall’accusa di falsa testimonianza ed evitare che emergesse la verità.
- Tutto il processo, quindi, si svolse con la prova della entrata in società dei fondi dei soci, ma
mai con documentazione attestante l’uscita di quei fondi cioè l’effettivo utilizzo.
- Il tribunale clamorosamente non interpretò a dovere una mail, che consegnai proprio in
udienza di 2° grado, che mi discolpava del tutto in quanto chiedevo all’amministratore, il
mio denunciante principale, come avesse speso i soldi raccolti dai soci, ottenendo risposte
dettagliate a riprova della mia assoluta estraneità riguardo alla gestione finanziaria
dell’azienda. Invece, udite udite, l’illustrissimo, sapientissimo, reverendissimo giudice di
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