Libero - 22.07.2019

(Barré) #1

PIETRO SENALDI


■«Delle ultime puntate della com-
media dei finti equivoci tra Di Maio e
Salvini mi importa niente. Capisco
che, in quanto italiano, sia rilevante
anche per me dove va questo governo
e come finirà la vicenda, ma non ho
nulla in proposito da dire. Non sto a
commentare o a inseguire l’ultimo
tweet di nessuno».
Vedo, in effetti ultimamente scri-
ve sempre meno di politica, cosa
stravagante per un politologo: non
le interessa più?
«Bisogna intendersi su cos’è la poli-
tica. Per me non sono le diatribe ver-
bali a cui assistiamo tra Lega e Cinque-
stelle, quella è una parodia della politi-
ca e non merita analisi perché cam-
bia di giorno in giorno, per poi non
cambiare mai. Affrontare temi come
la riforma della giustizia, il divario tra
Nord e Sud, il crollo del sistema scola-
stico: questo dovrebbe voler dire occu-
parsi di politica. E i giornali potrebbe-
ro fare la loro parte».
Colpa dei giornali se si parla trop-
po di politica e se ne fa poca?
«I quotidiani si sono prima subordi-
nati alla tv, e ultimamente anche a fa-
cebook e twitter: si limitano troppo
spesso a ripetere le notizie dei tg o a
rilanciare le dichiarazioni che i politi-
ci fanno sui loro social, ma così perdo-
no importanza agli occhi dei lettori e
dei politici stessi».
Cosa dovrebbero fare invece?
«Disinteressarsi delle esternazioni
quotidiane dei politici, lasciandoli ai
loro social e smettendo di appagarne
la vanagloria, e invece iniziare loro,
magari, a fare politica affrontando in
chiave costruttiva i temi del Paese. Se
cominciassero a farlo, i politici forse
smetterebbero di tener conto solo del-
la tv e tornerebbero a occuparsi di co-
se serie. Certo, capisco che è più sem-
plice fare da megafono ai politici, ma
alla lunga così si diventa marginali».
In vacanza, nel giorno del suo set-
tantasettesimo compleanno, il profes-
sor Ernesto Galli della Loggia trova ci
sia poco da festeggiare a livello nazio-
nale. Non ha fiducia in questo gover-
no ma neanche in quello che verrà,
qualunque esso sia. È annoiato dal di-
battito politico e perplesso di fronte a
un Paese che non pare interessato a
guarire i propri mali atavici, ma nep-
pure a lenirli, al punto che ormai non
se ne parla neppure più, ci si limita a
tirare avanti alla giornata.
Non crede che i politici preferi-
scano facebook ai quotidiani per-
ché così non sono chiamati a con-
frontarsi con un interlocutore?
«In parte può essere così, ma sono
convinto che i leader passino ore su
facebook perché credono davvero
che la politica si faccia in questo mo-
do. È la sola cosa che in un certo sen-
so hanno imparato fare, e la fanno
ignorando che il Paese se ne va per i
fatti suoi».
E dove si sta avviando l’Italia?
«Al declino, come si evince dai prin-
cipali dati economici e sociali. Abbia-
mo ancora la mafia e la camorra, i
nostri studenti sono poco preparati,
ci trasciniamo mali secolari. Abbiamo
perso troppi treni, specie negli anni
Ottanta, quando le cose andavano an-
cora bene».
Ma non declina tutta Europa?
«Certo, dal momento che la storia è
andata come è andata e siamo un con-
tinente diviso privo di alcun peso rea-
le. Ma il declino italiano è particolare.


Veneriamo la Costituzione per ragio-
ni ideologiche anziché riformarla.
Avremmo dovuto cambiare la forma
di governo, non possiamo più avere il
bicameralismo e una diarchia tra Pa-
lazzo Chigi e Quirinale di modo tale
che ci ritroviamo poi premier per ca-
so e solo di facciata come Conte. An-
che la giustizia meritava una riforma
capace di farle acquistare presso i cit-
tadini il credito che aveva perduto e
di fornire al Paese un servizio assoluta-
mente essenziale».
Lo scandalo del Csm ha assestato
un colpo definitivo alla credibilità
della magistratura?
«La credibilità della magistratura
era in caduta libera già da prima, e
non potrebbe essere diversamente vi-
sto il cattivo funzionamento della giu-
stizia stessa. Non esistono ospedali
cattivi con medici rispettati, e così è
per i tribunali».
Colpa della politicizzazione delle
toghe?
«La politicizzazione esiste ma è co-
sa, credo, che interessa soprattutto
una minoranza della popolazione. Al-
la maggioranza interessa di più avere
un processo in tempi brevi, equo,
semplice e poco costoso. Se non ce
l’ha, è allora, semmai, che comincia a
fare caso alla politicizzazione dei ma-
gistrati».
Vuole anche lei la separazione
delle carriere tra giudici e pm?
«Vorrei soprattutto un maggior uso
della giuria, che consentirebbe ai citta-
dini di essere giudicati dai propri pari
e obbligherebbe i magistrati, io credo,
a una modifica culturale dei propri
comportamenti e del proprio atteggia-
mento, troppo spesso castale».
Un argomento sul quale lei torna
da tempo è la crisi dell’istruzione.
Il suo ultimo libro in merito, “L’au-
la vuota” (Marsilio), è un atto d’ac-
cusa pesantissimo al mondo della
scuola. Non ritiene di avere un giu-
dizio troppo negativo? In fondo
non facciamo che sfornare cervelli
in fuga che fanno gola all’estero...
«In ogni naufragio c’è qualcuno
che si salva. Il fatto che abbiamo un
certo numero di ottimi studenti che il
nostro mercato del lavoro non sa valo-
rizzare non cancella la realtà fotogra-
fata dagli ultimi test Invalsi: la prepara-
zione media dei nostri ragazzi specie
nel Mezzogiorno è penosa».
Colpa dei professori?

«No. Colpa soprattutto di 30 anni di
riforme sbagliate che stanno dando i
loro frutti. Non siamo riusciti a coniu-
gare educazione di massa e scuola di
qualità: l’equazione è fallita quando
per motivi ideologici si è pensato che
il punto decisivo fosse quello di “de-
mocratizzare” la scuola, di dare l’auto-
nomia ai singoli istituti, e di rivedere
radicalmente i programmi. E soprat-
tutto che fosse una cosa molto pro-
gressista promuovere tutti».
Allora è vero che lei è diventato
un reazionario?
«Non m’importa che lo si pensi. Mi
limito a osservare che sono un reazio-
nario le cui idee vengono ripetute die-
ci anni dopo dai progressisti».
Questo significa che il mondo si
sta spostando a destra?
«Ma lo sa che questa è una tipica
affermazione di sinistra?».
Torniamo allora alla cultura: le
celebrazioni per Camilleri le sono
sembrate eccessive?
«Siamo un Paese ammalato di reto-
rica, specie quando c’è un morto di
mezzo. Ho letto cose incredibili su Ca-
milleri, tipo che sarebbe stato un mae-
stro dell’umanità, che ha passato la
vita a difendere i deboli e gli oppressi
e così via con i voli pindarici. Non esa-
geriamo, è stato un buon scrittore ma
non era Tolstoj. Non mi meraviglierei
se tra cinque anni nessuno si ricordas-
se più di lui se non come l’inventore
di Montalbano. Siamo fatti così...».

SI è iscritto anche lei nel club de-
gli anti-italiani?
«Ho combattuto una vita contro
questa espressione. Io sono italiano,
come lei e come tutti, ahinoi. E non
esistono italiani buoni e italiani catti-
vi, siamo tutti sulla stessa barca».
Come si raddrizza questa barca?
«Con serietà e realismo, due ele-
menti che in questi decenni sono
mancati a tutta la società italiana, non
solo alla classe politica. La serietà ti
impone di parlare solo di cose delle
quali hai conoscenza e che misuri in
base al risultato, non alla demagogia.
Il realismo è il suo parente stretto e ti
obbliga a restare con i piedi per terra e
non proclamare ad esempio, neppu-
re per scherzo, la fine della povertà».
La società sta regredendo, con il
ritorno a immense ricchezze e tra-
giche e sconfinate povertà?
«Non esageriamo. La globalizzazio-
ne è stata criminalizzata ma ha causa-
to un abbassamento del tenore di vita
solo in Europa. In Africa e Asia essa
ha contribuito a tirar fuori dalla pover-
tà assoluta due miliardi di persone. La
ricchezza mondiale è cresciuta, ma
c’è più gente con cui spartire la torta».
Il nostro anti-globalismo quindi
è egoismo?
«No, è la reazione a un fenomeno
inevitabile che le nostre classi dirigen-
ti non hanno saputo né capire in tem-
po né gestire. In particolare la sinistra
non ha capito le gravi conseguenze
sociali della globalizzazione sul mon-
do del lavoro e sulla localizzazione
delle produzioni industriali. La man-
cata previsione e gestione di questi
problemi ha gettato nell’incertezza e
nelle difficoltà economiche un parte
importante della popolazione euro-
pea e posto le basi del disordine politi-
co attuale. Anche lo scontro sull’immi-
grazione è figlio di una serie di errori
fatti a proposito della globalizzazione
e del multiculturalismo ritenuto suo
presunto, inevitabile effetto».
L’immigrazione sta dilaniando il
mondocattolico. Papa Francesco è
molto popolare, però le chiese con-
tinuano a svuotarsi e, tra chi anco-
ra ci va, parecchi sono critici con il
Pontefice dell’accoglienza...
«Il calo dei fedeli è dovuto soprattut-
to, io credo, alla secolarizzazione che
colpisce tutte le società occidentali,
non lo legherei specificatamente a
questo papato. Francesco si è molto

esposto sul tema immigrati, assumen-
do una posizione radicale sull’acco-
glienza; giocoforza è stato divisivo.
Ma il tema per la verità prescinde dal-
la fede, tant’è che troviamo atei
pro-accoglienza e cattolici contro l’ac-
coglienza».
Un cristiano non dovrebbe uni-
formarsi al pensiero del Pontefice?
«Nello scontro sull’immigrazione
non ci sono, a me pare, questioni reli-
giose o teologiche in ballo. Esiterei
molto a dire, ad esempio, che chi si
oppone agli arrivi indiscriminati è un
anti-cristiano. Il contrasto all’immi-
grazione indiscriminata è una questio-
ne molto importante che riguarda in
special modo la vita quotidiana delle
classi popolari di molte aree urbane
del Paese. Come si fa a dire che chi
vive nelle periferie e non vuole un
campo rom vicino non è cristiano? Bi-
sognerebbe trovarsi al suo posto e vi-
vere le sue giornate per giudicare».
La crescita di Salvini è dovuta al-
la posizione sugli immigrati
«Non solo. È legata al fatto che il
leader leghista riesce a intercettare e
farsi paladino di temi forti legati ai pro-
blemi della gente. Questioni anche
trasversali, tant’è che su sicurezza,
pensioni e immigrati si è andato a
prendere pure molti voti a sinistra».
Viceversa, come spiega il tracol-
lo di M5S lei, che è tra gli elettori
pentiti della Raggi?
«Le ragioni del mio pentimento sul
voto romano sono intuitive. Più in ge-
nerale, penso che i grillini stiano per-
dendo consensi perché hanno fatto
troppe promesse senza combinare al-
cunché. Specie al Sud, la loro roccafor-
te, alla fine si è dimostrato che non
avevano alcuna ricetta salvifica oltre
al reddito di cittadinanza che peraltro
non riguarda affatto solo il Sud. E poi
M5S è stato surclassato mediatica-
mente da Salvini».
Il governo è agli sgoccioli?
«Chi lo sa? Lo spettacolo quotidia-
no è stucchevole. Ma personalmente
sono arciconvinto che anche se doves-
se cambiare il governo e subentrasse,
per esempio, un esecutivo M5S-Pd, o
anche un governo tecnico, in realtà
non cambierebbe nulla. Dappertutto
mancano visione, coraggio e strumen-
ti culturali, in più non ci sono né le
risorse né gli strumenti istituzionali
per governare bene, a cominciare dal-
la macchina dello Stato che fa acqua
da tutte le parti».
E la sinistra come sta, gli servi-
ranno vent’anni per risorgere?
«Da quella parte non mi pare di ve-
dere segnali confortanti. Anche lì il
personale politico è in complesso
quanto mai scadente. Direi che lo sta-
to della sinistra ben riassume la crisi
della classe dirigente politica e non
solo politica nel suo complesso».
Attualmente la sinistra sta caval-
cando il Russiagate, ma la vicenda
pare non fare breccia nell’opinio-
ne pubblica: come se lo spiega?
«L’elemento giudiziario è abusato.
Gli italiani sono saturi e poco propen-
si ormai a credere a inchieste e com-
plotti. La nostra opinione pubblica è
storicamente abituata da decenni a
vedere i partiti che ricevono finanzia-
menti dall’estero, perché dovrebbe
scandalizzarsi proprio ora? Siamo un
Paese con scarso orgoglio nazionale e
un passato in cui il denaro di prove-
nienza dubbia e straniera ha costitui-
to un presupposto tacito della nostra
quotidianità democratica».
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Ernesto Galli della Loggia: chi mi critica tra 10 anni dirà ciò che dico ora


«Non mi importa se mi danno del reazionario»


Il politologo: «La scuola italiana è fallita per troppa democrazia e progressismo. Tra cinque anni forse non ci si ricorderà di Camilleri»


Ernesto Galli della Loggia, politologo, è nato a Roma il 18 luglio 1942(LaPresse)

RUSSIAGATE
«È normale che l’opinione
pubblica sia indifferente al
presunto scandalo:
l’elemento giudiziario è
abusato e i soldi di dubbia
provenienza dall’estero non
sono una novità per i politici»

ACCOGLIENZA
«Come si fa a dire che chi
vive in periferia e non vuole
un campo rom non è
cristiano? Bisognerebbe
trovarsi al suo posto...»

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lunedì
22 luglio
2019

ITALIA

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