Corriere della Sera - 18.03.2020

(C. Jardin) #1


12 Mercoledì18Marzo2020 CorrieredellaSera


IVOLTI ELESTORIE


SonolaprimalineadellalottaalCovid-19,


quelliacuichiediamoricetteeancheconforto


Eccolevocidichitutelalasalutesulterritorio


Primopiano L’emergenzasanitaria


Noi,medici

difamiglia

AlfredoCuffari,Roma


«Ilmiocollegaèmorto


Ioescodallaquarantena»


È


tornato lunedì in ambulatorio
dopo 14 giorni di auto
isolamento. «Avevo incontrato
RobertoStella poco prima che
scoprisse di avere il virus. È morto il 9
marzo. Oggi sefosse qui sarebbe il
primo a fare i flash mobcon la
chitarra. Amava Eric Clapton»,
ricorda ilcollega e amico di una vita
Alfredo Cuffari, medico di famiglia a
Marino,Roma, 1.500 pazienti. È
passato alla Asl a ritirare
l’equipaggiamento anti-Covid.
«Glielo descrivo.Un camice intessuto
leggero, una parannanza
impermeabile, occhiali, mascherina
con filtro FFP2. LaRegione ci ha

promesso 3 kit di questo genere a
settimana ma non in tutte le Asl
avviene laregolare distribuzione».
Così lui si è organizzato perconto
suo. Il fratello, amante di bricolage ed
allergico, gli ha passato le sue
mascherine, non professionali.
Cognati e fratelli hanno dato vita a
una raccolta inter familiare per
procurargli delle mini scorte. Il lavoro
in ambulatorio è scandito da
appuntamenti distanziati, per evitare
i pazienti sul pianerotto lo. All’inizio è
stata un’impresa farcomprendere
l’importanza di attendere all’aria
aperta. Ora il clima ècambiato. «Sono
momenti in cui avverti ilvalore del
rapportocostruitocon i pazienti. A
volte mi chiamano solo per un
conforto. Non li ho mai sentiti tanto
vicini». Nonvedeva l’ora di rientrare
nello studio,come se stare acasa
fosse un tradimento neiconfronti di
tutti gli altricolleghi che rischiano,
lavorano «a mani nude» e qualche
volta si infettano. «Mivengono in
mente letturecome Centomila
gavettedighiaccio e Unanno
sull’altipiano ».
MargheritaDeBac
©RIPRODUZIONERISERVATA

Alfredo
Cuffari,
medico
di famiglia
a Marino,
in provincia
di Roma.
Ha in
gestione
circa 1.
pazienti

❞Sono
momentiin
cuiavverti
ilvaloredel
rapporto
costruito
coni
pazienti.Mi
chiamano
soloper
unsupporto

ErikaConforti, Milano


«Pochiguanti,20mascherine


Nonsiamoprotettibene»


L


a (seconda) laurea in Medicina,
la specializzazioneconclusa il 9
gennaio, i primi pazienti accolti
in studio a Milano il 3febbraio. E
appena due settimane dopo è scop-
piata l’epidemia. Erika Conforti, 35
anni, è una dei medici di famiglia in
prima linea — macon le armi spun-
tate — nella battagliacontro il Covid-


  1. Dall’inizio dell’emergenza ha
    rivoluzionato l’ambulatorio. «Ricevo
    su appuntamento facendo entrare un
    paziente allavolta — racconta — e
    avvisandolo della necessità di
    mascherina.Stimolo lacomunica-
    zione viatelefono e invio le ricette via
    mail, quando possibile». E per chi ha


febbre o sintomirespiratori? «Li
seguo pertelefono.Per chi ha avuto
contatticon un positivo, attivo la
quarantena e segnalo ilcaso all’Ats
(ex Asl, ndr ). Ma i tamponivengono
fatti solo in ospedale». In questi
giorni i pazienti sono spaventati e la
contattano anche per sintomi lievi.
«Da una parte la paura è un bene
perché sprona al rispetto delleregole.
Dall’altra i pazienti chiedono e ci
ringraziano per il supporto psicolo-
gico». Conforti è anche guardia
medica e in questaveste le ècapitato
di visitare malati di Covid-19. «Come
medici dicontinuità assistenziale ci
sono statiforniti mascherine ffp3 o
ffp2, guanti ecamici monouso».
Come medici di famiglia, invece,
«abbiamo ricevuto solo 20 mascheri-
ne chirurgiche, un pacchetto di
guanti e una bottiglietta di disinfet-
tante». Così è impossibile visitare da
vicino chi ha sintomi sospetti. Erika
non teme di ammalarsi, «il rischio fa
parte del lavoro. Ho scelto di fare il
medico perché aiutare la gente è per
me carica vitale, mavorrei evitare di
essereveicolo di infezione per altri».
SaraBettoni
©RIPRODUZIONERISERVATA

Erika
Conforti,
35 anni,
ha accolto
i primi
pazienti
nel suo
studio due
settimane
prima
dell’epidemia

❞Ricevosu
appunta-
mento
facendo
entrareun
paziente
allavoltae
inviole
ricettevia
mail,
quandoè
possibile

Massimo Buzzetti, Bergamo


«Sonofinitoinospedale


Paura?Sì,matornoinpista»


È


ancora affaticato, si sente dalla
voce. Massimo Buzzetti, 61 anni,
medico di base a Bergamo, è a
casa dopo sette giorni di ricovero
all’ospedalePapa Giovanni XXIII.Sta
aspettando di sottoporsi ai due
tamponi checertifichino la guari-
gione, pertornare in pista, se saranno
negativi. È stato tra i primicolleghi ad
ammalarsi. In quel momento, Berga-
mo non era ancora la provinciacon
3.993contagiati, 460 morti, e 118 su
600 dottoriko tra malattia e qua-
rantena. Erano tre giorni dopo Codo-
gno: «Il 24 ho iniziato a stare male,
avevo lafebbre e qualchecolpo di
tosse, ero prostrato. È durata quattro

giorni, poi è passata. Sono rimasto
sfebbrato due giorni, poi è ripartita.
Sono stato acasa subito, nonvolevo
essereveicolo di infezione. Quando
ho iniziato a desaturare, ho chiamato
il 112 e mi hanno portato in ospedale.
Sono statofortunato, sì, ho avuto solo
bisogno dell’ossigeno». Ha avuto
paura: «Mi sono spaventato,
conoscevo la malattia perché la stavo
studiando. La desaturazione poteva
preludere a un periodo transitorio di
insufficienzarespiratoria o, peggio,
alla necessità di rianimazione. In
questa malattia puoi peggiorare
all’improvviso». Ai pazienti l’ha detto
subito. Ora, lo stanno sommergendo
di chiamate, anche 30 in un pomerig-
gio. «Non essere sulcampo ad
assisterli mi ha creato angoscia. Al
lavorotorno, appena posso. C’è ansia
per leforniture di protezione». È
successo proprio a lui che, previ-
dente, prima dell’ondata si era procu-
rato una trentina di mascherine e un
migliaio di guanti. «Sarà stata una
mia leggerezza, prevedendo che l’Ats
non ci avrebbe riforniti avevotenuto i
presidi per momenti peggiori».
GiulianaUbbiali
©RIPRODUZIONERISERVATA

Massimo
Buzzetti,
61 anni,
medico
di base
a Bergamo,
è stato
ricoverato
e aiutato
con
l’ossigeno

❞Nonpoter
essere
sulcampo
adassistere
ipazienti
micrea
angoscia
Mac’è
ansiaperle
fornituredi
protezione

Bruno Sacchetti, Rimini


«Consiglioerassicuro:


cisiimprovvisapsicologi»


«A


ll’inizio mi chiedevano se
gli animali trasmettevano
il virus, ora perfortunac’è
un po’ più diconsapevolezza. Ma il
nostro modo di lavorare ècambiato,
oltre a occuparci delle malattie,
siamo diventati un po’ sociologi e un
po’ psicologi». Bruno Sacchetti dal
suo ambulatorio vicino alla Darsena
di Rimini ne ha viste in 40 anni da
medico di famiglia. E purtroppo ha
visto anche tanti riminesi a
passeggio, due domeniche fa, in
barba ai divieti. «Ilcoro navirus mi ha
cambiato la vita e anche l’approccio al
medico di base ècambiato»,
ammette. Ilcapoluogoromagnolo è il

terzo inregione per numero di
contagi e decessi, dopo Piacenza e
Parma. Sacchetti segue 1.500 pazienti,
il massimoconsentito. La prima
chiamata alcellulare è alle 7.30 e il
telefonocontinua a squillare fino alle


  1. Persino il sabato e la domenica.
    «Mi chiamano anche solo per essere
    rassicurati, basta un po’ ditosse e
    scatta la chiamata, ma è il nostro
    compito, non mi tirocerto indietro»,
    confida il dottore. «Telefonano anche
    solo per chiederecome usare
    l’autocertificazione per gli
    spostamenti o se possonoreca rsi a
    trovarsi unconoscente, oppure
    ancoracome devonocomportarsicon
    gli anziani che abitanocon loro». La
    preoccupazione è tanta e Sacchetti
    offre il suo supporto. «Continuo,
    come d’altronde i mieicolleghi, a
    ribadire le norme basilari per evitare
    il diffondersi delcontagio: stare in
    casa, mantenere le distanze, lavarsi le
    mani... oggi ci ritroviamo a occuparci
    delle salute dei pazienti non solo
    prescrivendoterapie o medicinali, ma
    ripetendo loro di seguire norme di
    buon senso».
    AndreaRinaldi
    ©RIPRODUZIONERISERVATA


Bruno
Sacchetti,
medico da
40 anni a
Rimini,
assiste
1.
pazienti, il
numero
massimo
consentito

❞Bastaunpo’
ditosse
escatta
lachiamata
ec’èchi
chiede
come
comportarsi
congli
anziani
cheabitano
conlui
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