Il Settimanale 32

(Francesco CaccavellaNHp1fh) #1

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Panta rei, l’umiliazione


di Eridano che fin da piccoli


abbiamo imparato a temere


Fa male vedere agonizzare un fiume da sempre visto


con sospetto da chi abita vicino per le sue inondazioni,


ma che ritma le nostre abitudini. Protagonista di racconti


e ambientazioni da Dante a Tasso, da Bacchelli a Guareschi


di Roberto Pazzi

Roberto Pazzi
Scrittore, poeta
e giornalista 

VENERDÌ 14 APRILE 2023

F


a davvero male veder agonizzare quel
Po che accoglie con gli affluenti delle
sue due rive l’anima del Bel Paese dalle
Alpi agli Appennini, nella sua parte più set-
tentrionale. Quel Po la cui lunghezza, fin da
bambini, avevamo imparato essere di ben 652
chilometri. Nato dal Monviso, in Piemonte,
traversata tutta la pianura, il fiume si getta
«su la marina dove il Po discende / per aver
pace co’ seguaci sui», come narra Francesca
da Rimini nell’Inferno dantesco. Vivendo a
Ferrara, a soli sette chilometri dal Po, sono
cresciuto nell’abitudine a temerlo per le sue
ricorrenti e devastanti inondazioni. Spettro
di un’antica paura di morire affogati è nella
mia città l’assoluta rarità di fontane, quasi a
voler rimuovere la costante minaccia dell’ac-
qua dalle fantasie dei ferraresi.
Ho ancora negli occhi i giorni del novembre
del 1951 in cui il Po a lungo rimase sospeso
nell’immaginario padano per la possibilità di
esondare sulla riva destra, a Ferrara. Ricor-
do ancora mio nonno Virgilio salire i 92 gra-
dini di casa mia, nel centro della città, con
un sacco di farina sulle spalle, prevedendo
di trasferirsi da mio padre con gli altri suoi
figli, visto che abitavamo più in alto di loro.
E lassù, a casa mia, nel palazzo della Cassa
di Risparmio, i miei nonni avrebbero fatto
il pane per tutta la famiglia, raccoltasi come
in un’arca di Noè, in attesa che le acque tor-
nassero a scorrere nel loro consueto alveo. Il
Po ruppe invece il 14 novembre nel Veneto,
facendo vittime e danni tali da suscitare una
generosa gara di solidarietà e di soccorsi, dei
“fratelli d’Italia”.
Quell’alveo, a vederlo oggi da Torino, stret-
to come un ruscello fra i suoi “murazzi”,
sembra la pallida ombra di sé stesso. Attra-

verso ben quattro regioni, il
Piemonte, la Lombardia, il
Veneto e l’Emilia il Po, con la
sua odierna magrezza, ci ri-
corda che il pianeta azzurro si
sta velocemente riscaldando
mentre molte specie animali si
stanno estinguendo. Né ci con-
forta rammentare che ci sia
stata nella storia della Terra
un’altra “grande moria” tale
da uccidere quasi il 90% della
vita per il surriscaldamento.
Ora tocca a noi impedire, ric-
chi di tutta la nostra scienza,
l’irreversibilità di questo im-
mane disastro, rimediando il
male che abbiamo ereditato e
aggravato. Se non ci cogliesse
il dubbio che proprio la traco-
tanza della nostra scienza, con
le applicazioni delle sue meta-
stasi tecniche, abbia ridotto a
questo stato il nostro clima.
Sta di fatto che oggi ci sono
punti in cui nel suo medio
corso, si può attraversare il
Po a piedi, emergendo sabbie
e isole dalle acque che era-
vamo abituati a vedere di un
perenne cupo verde. In certi punti la navi-
gazione diventata impossibile, ha umiliato il
Po a fiumiciattolo, fra barche arenate, pon-
ti superflui, pontili abbandonati. Immagini
che evocano la desolata desertificazione di
certe regioni siberiane del prosciugato lago
Aral. E pensare che da ragazzo, in un mese
di luglio degli anni Settanta, per una sicci-
tà di proporzioni ben più modeste, profittai

dell’esiguità delle acque per fare un bel ba-
gno nel Po e stendermi poi sulla sabbia, ad
asciugare al sole. La cosa proibita, anche per
il pericolo delle nascoste correnti, tingeva
di sfida il piacere inusuale di quel bagno, in
acque ancora pulite. Quel giorno in mezzo al
Po evocavo i versi di Ungaretti: «Stamani mi
sono disteso/ in un’urna d’acqua / e come
una reliquia/ ho riposato ... e qui meglio/ mi
sono riconosciuto/ una docile fibra/ dell’u-
niverso».
Difficile non evocare un’altra fotografia del
Po, questa volta del 1929, quando invece, per
un inverno di straordinario rigore, le acque
gelate consentivano a ferraresi e ai vicini
veneti, di attraversarlo a piedi, sulle lastre
spesse di ghiaccio. Da tempi degli Etruschi,
quando si chiamava Eridano, il
Po ritma le nostre abitudini, le
nostre stagioni, le nostre atte-
se, come un custode della no-
stra vita, piantati qui come sia-
mo al centro della pianura più
vasta d’ Italia. A Ferrara più
sensibile è quel vuoto per l’as-
soluta mancanza di riferimenti
visivi che spezzino l’orizzonte,
come una montagna, una col-
lina, un lago, un mare. In quel
vuoto quasi sarmatico, il genio
dell’Ariosto collocò la compen-
sazione del pieno con le leg-
gende medievali rivissute con
animo rinascimentale nel suo
Orlando furioso. E al Belvede-
re, in mezzo al Po, l’isola oggi
inesistente, la corte Estense
riunita intorno al duca Alfon-
so II assisté nel 1573 alla prima
rappresentazione dell’Aminta
del Tasso, l’altro grande poeta
di Ferrara. In tempi più vicini a
noi, un’altra penna ha immor-
talato il mito del Po, legandolo
alla storia e alle sue mutevoli
stagioni, quasi il fiume sia una
stella fissa, nel firmamento del
divenire che travolge ogni for-
ma della civiltà. Ed è la penna magistrale di
Riccardo Bacchelli, con Il mulino del Po. Il
romanzo dall’età napoleonica narra una saga
famigliare che arriva fino ai nostri giorni.
Ma è tutto il corso del Po ricco di echi let-
terari, di rimandi a varie interpretazioni po-
etiche, fra epica e narrativa. Come dimenti-
care, nella bassa reggiana, Brescello, il paese
affacciato sul Po dove l’Enza vi confluisce,
immortalato dalla satira di Giovannino Gua-
reschi, con i suoi libri su Don Camillo e Pep-
pone? Quelle pagine dell’eterno scontro fra
Ghibellini e Guelfi, aggiornate al contrasto
fra comunisti e democristiani, sono nel dna
della nostra moderna identità storica. Ma è
forse nella metafora eraclitea del panta rei,
del “tutto scorre”, che il Po riconosce la ve-
rità più alta della sua forza simbolica, quel-
la del Tempo, lungo le cui rive nasciamo e
scompariamo, in un eterno divenire... n

Spettro di un’antica paura di morire affogati è nella mia città


l’assoluta rarità di fontane, quasi a voler rimuovere la costante


minaccia dell’acqua dalle fantasie dei ferraresi. Oggi ci sono


punti in cui, nel medio corso, si può attraversare il Po a piedi...

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