Il Settimanale 32

(Francesco CaccavellaNHp1fh) #1
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U


n esempio perfetto, costruito con
tenacia e fedeltà all’origine, di come
e perché una piccola azienda che
fabbrica solo illuminazione, riesca a diven-
tare un brand di eco mondiale con il 95% di
export. Lumina – nome anche su misura – è
stata fondata dalla famiglia Cimini: fattura
intorno ai 5 milioni di euro e rappresen-
ta la più coerente attuazione della formula
della Bauhaus, Form und Funktion. Con una
coerenza che l’ha resa più famosa e vendu-
ta all’estero che in patria, perché all’estero
e persino in Medio Oriente il raffinato mini-
malismo degli apparecchi illuminanti è par-
ticolarmente apprezzato.
Come recita la presentazione online, Lumina
è luce pura da sempre. «Tant’è vero che la
lampada di maggior successo e tuttora la più
ricercata dai progettisti in tutto il mondo è
la prima, la Daphine – sottolinea Ettore Cimi-
ni, titolare dell’azienda – con un’idea di base
semplice ma efficace: un diffusore orienta-
bile, un braccio articolato in due segmenti e
un trasformatore elettromeccanico su una
base cilindrica tra due calotte metalliche».
Daphine nasce dalla filosofia progettuale del
padre Tommaso Cimini: «Tanta luce, poca
lampada», che è ancora l’essenza di ogni
prodotto che porta il nome di Lumina, l’a-
zienda fondata nel 1980. Non solo Daphine
ma anche altre collezioni firmate da archi-
star, che raramente accettano impegnativi
progetti per le Pmi, interpretano il principio
di una razionalità senza tempo. Un nome
per tutti: Foster+Partners, un big dell’archi-
tettura è tra i designer di Lumina.
Il segreto di questo savoir faire così speciale?
«La nostra fortuna è di aver sempre realizza-
to tutto all’interno dell’azienda – spiega Et-
tore Cimini – tutto è controllato sin dall’ini-
zio, comprese le fasi della verniciatura e solo
escludendo i componenti elettronici. E poter
vantare e offrire un made in Italy real-
mente 100% italiano diventa un
grande vantaggio competitivo. Ma
anche nelle nostre presenze negli

Lumina, controllata dalla famiglia Cimini, fattura 5 milioni ed esporta il 95%.


Una Pmi dal successo planetario grazie soprattutto a Daphine, lampada di cui


si sono innamorati i più grandi architetti, a cominciare da Norman Foster


per conto della Artemide molte lavorazio-
ni». Ma furono i fratelli Cassina a suggerire
di tentare la via della produzione in proprio,
dal momento che aveva acquisito un ‘espe-
rienza preziosa, realizzando i trasformatori.
Così nel 1975, alla Fiera Campionaria di Mila-
no, debutta la prima lampada, quella Daphi-
ne che diventerà pietra miliare e simbolo
stesso della futura azienda che si chiamerà
Lumina nel 1980.
«A consacrare il nostro successo – ricorda Ci-
mini – fu una giornalista della rivista tedesca
Shoener Wohnen che scrisse una recensione
così entusiasta da procurarci quasi subito
molti compratori e arredatori. Da allora il
mercato tedesco è sempre stato il più impor-
tante e il più costante e oggi rappresenta il
30% del fatturato». Che cosa ammirano di
più i progettisti di questo percorso così im-
prontato a un minimalismo molto lontano
dai “birignao” del lusso tanto di moda? «Ri-
spondo con una frase del grande Magistretti:
‘un buon progetto si deve poter raccontare
per telefono’, come risultato di una grande
semplicità e essenzialità». Ed è questo mix
di tradizione assistita dalla tecnologia scelta
con misura e senza eccessi, che attirò irre-
sistibilmente l’archistar Norman Foster nel
2009, quando “scoprì” Daphine e la comprò
per le sue case. Cominciò così un sodalizio,
seguito da altri con celebrati architetti, che
ha arricchito il catalogo raffinatissimo di Lu-
mina. Con sempre al centro la star, Daphine,
declinata in tante versioni di un’attualità
senza tempo ma, per il suo minimalismo,
adatta a qualsiasi spazio e location. n

SALONE DEL MOBILE 2023


di Paola Guidi e Franca Rottola

anni, al Salone, abbiamo cercato di differen-
ziarci, dimostrando e mostrando in vetrine
illuminate e in evidenza tutti i componenti
che progettiamo e realizziamo in
fabbrica. Questo per raccontare
l’iter progettuale e costruttivo,
per dimostrare in trasparenza la
qualità della manifattura italiana. Noi
cerchiamo sempre dei contenuti, tecnici e
formali, perché devono tradursi in quelle
che io chiamo macchine illuminanti e fun-
zionanti».
Una ispirazione così netta e costante agli
ideali del good design delle origini e della Bau-
haus ha creato intorno a Cimini e a Lumina
un’immagine difficile da umiliare o sminuire
con la contraffazione. Perché vanta un’altra
prerogativa esclusiva tutta italiana: quella di
saper fare rete, dalla quale escono prodotti
difficili da riprodurre perfettamente su scala
industriale di massa. Difficile e troppo co-
stoso. «Mi piacciono le sfide, ma soprattutto
quando posso coinvolgere altre aziende con
le quali collaborare, perché è dalle diversità
che emergono le soluzioni».
Oggi Lumina appartiene per il 61% a Ettore e
per il 32 al fratello Andrea che segue la parte
amministrativa. Ed Ettore segue tutto l’iter
tecnico, anche perché ha saputo mettere a
frutto il percorso di studi al rinomato istitu-
to tecnico Ettore Conti di Milano, fucina di
esperti in progettazione e manifattura della
miglior meccanica. «La mia fortuna è che ho
potuto frequentare ben presto il mondo del
design, perché nel laboratorio di famiglia a
Baggio, vicino a Milano, venivano realizzati

L’azienda che accende la luce


grazie alle stelle del design

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