Il Settimanale 32

(Francesco CaccavellaNHp1fh) #1

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Storia di Luca Valle, da calciatore professionista a


imprenditore che dietro il magazine Home Italia ha creato


un gruppo con 75 studi di architettura e 30 aziende


di Claudio Brachino

«Ecco come da piccolo


general contractor


ho conquistato la Cina»


VENERDÌ 14 APRILE 2023

L


uca Valle è il direttore di Home Italia,
rivista che non è più soltanto una rivi-
sta ma è diventata la vetrina di un’im-
presa che realizza ovunque vere case made
in Italy. Come è avvenuto il passaggio da ma-
gazine di design all’architettura reale?
Il passaggio è arrivato cinque anni fa, quando
ci siamo resi conto che vendere solo pubblicità
per le aziende di arredamento made in Italy la-
sciava un po’ il tempo che trovava, così ci siamo
trasformati in general contractor: oggi all’in-
terno di Home Italia ci sono 75 studi di archi-
tettura da tutto il mondo e 30 aziende italiane
d’arredo. Con questa squadra ci presentiamo
sui mercati internazionali dove il nostro core
business è il servizio chiavi in mano al cliente
finale. Ad esempio, se un cliente compra casa
a Miami possiamo realizzare tutto il progetto
e tutto l’arredamento made in Italy; alla fine lo
pubblichiamo sul magazine, quindi oggi la rivi-
sta è diventata un biglietto da visita.
Voi realizzate l’intera struttura a livello in-
gegneristico, mentre l’hardware viene fatto
da altri.
Non siamo un’impresa di costruzione, quindi
quando i clienti ce lo richiedono affidiamo il
subappalto a terzi, possiamo però realizzare il
progetto da zero.
Qual è la parte del mondo da cui vi arrivano
più richieste?
Oggi il 68% del fatturato lo realizziamo in Cina,
è quello il nostro mercato: i cinesi vogliono le
case all’italiana. Poi vengono America ed Emi-
rati Arabi. L’ultima richiesta che abbiamo avuto
è stata a Shanghai, dove un grande costruttore
ha realizzato tre alberghi e ci ha chiesto di fare
tutto il progetto chiavi in mano. Abbiamo com-
prato gli arredamenti dalle nostre imprese e in
questo caso abbiamo gestito anche il trasporto,
quindi la dogana, lo sdoganamento e tutti i cer-
tificati di origine. Abbiamo completato queste
tre strutture dopo tre mesi, perché ora c’è sem-
pre qualche imprevisto legato alla distribuzio-
ne e ai prodotti dei materiali, con i tempi che si
sono allungati a causa del Covid e dell’aumento
delle materie prime.
Quali sono i nuovi paesi in cui vi aspettate di
espandere il business?
Negli Emirati Arabi stiamo crescendo tanto, è
un buonissimo mercato, anche se è partito già

da anni e c’è molta concorrenza di tante azien-
de italiane. Tel Aviv in Israele secondo me è un
mercato molto interessante che sta nascendo
adesso, dobbiamo essere pronti a entrarci.
Quanti dipendenti ha Home Italia?
Abbiamo una struttura di 21 persone e diverse
società esterne che collaborano con noi.
Possiamo quindi definirla una Pmi del made
in Italy: la storia di un giovane che ha inven-
tato qualcosa che non c’era e sta creando po-
sti di lavoro, una struttura che andrà avanti
anni e che rappresenta un modo industriale
di trasformare il made in Italy. Sono storie
professionali, non filosofiche e intellettua-
li...
È più facile nascere con una famiglia alle spalle
che ti consegna l’azienda, in quel caso devi solo
portare avanti una continuità. Se guardiamo
alle molte realtà e alle molte storie si scopre che
i figli tante volte non sono all’altezza dei genito-
ri ma questo è un tema molto delicato. Nel mio
caso sono partito da zero: fino a 32 anni ho gio-
cato a pallone, prima nel Cesenatico – città dove
sono nato – poi ho fatto fino alla
serie C1. Sicuramente se avessi
giocato in serie A magari non
avrei iniziato a lavorare, a fare
l’imprenditore, avrei gestito
i soldi in campi diversi. Ma
se giochi come me a livel-
li medio-alti, quando
smetti devi reinven-
tarti. Ho lavorato
per un anno come
commerciale in un
giornale di moda e
dopo mi sono mes-
so in proprio perché
avevo questa indole,
il calcio e lo sport a li-
vello professionistico
ti portano comunque ad
allenarti, a provare sem-
pre a essere il numero uno.
Bisogna avere tanta perse-
veranza, nei primi anni ho
avuto dei momenti in cui avrei
voluto mollare perché le diffi-
coltà sono state tante. Oggi
ho 42 anni, le cose stanno

andando abbastanza bene perché cerco sempre
di crescere. E se dovessero andare male avrei la
consapevolezza che io e il mio team abbiamo
comunque sempre dato il massimo.
Prospettive, sogni?
Crescere sempre di più senza fare il passo più
lungo della gamba. Un mio sogno nel casset-
to è quello di creare una serie di showroom
Home Italia nel mondo. Anticipo che il 20 apri-
le all’Hotel Gallia di Milano, in occasione della
kermesse del Salone del Mobile, faremo un
evento per ufficializzare l’apertura del primo
showroom Home Italia nella sede del Louvre
Furnishing Art Center a Guangzhou, in Cina. È
un grande traguardo rincorso da diversi anni
perché trovare il cliente cinese che garantisse
anche un piano di espansione nel tempo non è
stato facile: ce l’abbiamo fatta e ora abbiamo la
possibilità di presentare e soprattutto distribui-
re quelle aziende del made in Italy che oggi non
sono ancora presenti in Cina.
Della Cina si parla sempre come di una po-
tente protagonista della nuova geopoliti-
ca, conflittuale con l’America per quanto
riguarda il primato della componentistica
e dell’elettronica, con un mondo distante
e complicato. Com’è, in concreto, il rap-
porto con i cinesi quando ci si tratta per-
sonalmente?
La mia impressione è che sono persone con tan-
ta voglia di fare. Sono grandissimi lavoratori e si
stanno avvicinando moltissimo al made in Italy,
alla nostra architettura, al nostro design, sono
cresciuti tanto in questi anni, anche se al Salone
del Mobile si vedono ancora i cinesi che fanno
le foto ai nostri arredi per copiarli e riprodurli...
Qual è stata la chiave vincente della vostra
comunicazione?
Il marketing è la cosa più importante, oggi
molte società hanno al loro interno dei fondi
d’investimento. Per diventare un brand devi
essere conosciuto nel mondo e per fare que-
sto, come azienda d’arredamento, devi avere
gli showroom. Ci sono aziende che ne hanno
50, 100 in ogni angolo del pianeta e diventano
brand. Ma sono casi in cui esiste sempre una
potenza economica di sostegno. Noi di Home
Italia siamo auto liquidati, non abbiamo fondi
d’investimento e abbiamo fatto tutto con le
nostre forze. La chiave, nel nostro piccolo,
è stata la correttezza, la perseveranza e
il passaparola. Poi abbiamo ovviamen-
te investito tanto su sito e social. n

Luca Valle
direttore di Home Italia
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